Siamo uno dei Paesi che consuma di più. Ma agli ultimi posti per efficienza delle reti idriche. Andrebbero costruite più dighe e quelle esistenti mancano di manutenzione. Ma ci si ricorda del problema solo quando c'è una crisi. Per dimenticarsene subito dopo

Mancanza di acqua per irrigare i campi. Bacini a secco. Infrastrutture fatiscenti. E un mese di aprile che è stato il più caldo di sempre, in bilico fra un 16,7 per cento di zone in allerta arancione e un altro 1,5 per cento dove la situazione si tinge di rosso. E che comprende anche alcune regioni del Sud Italia. Secondo le analisi dell’Osservatorio Valore Acqua pubblicate nel Libro Bianco 2024, il nostro Paese si conferma come uno dei più “idrovori” d’Europa, posizionandosi al primo posto per consumo di acqua minerale in bottiglia – 249 litri pro capite, 159 in più della media Ue – e al terzo posto per consumo domestico di acqua potabile con 62 metri cubi annui pro capite. Di contro, l’infrastruttura idrica resta inadeguata e obsoleta: con il 41 per cento dell’acqua prelevata che viene dispersa nelle reti di distribuzione (dati relativi al 2021), 8.303,8 metri cubi/km annui di perdite lineari, l’Italia si piazza a fondo classifica per perdite idriche. E «fanno acqua», è proprio il caso di dirlo, pure gli investimenti nel Servizio Idrico Integrato (Sii), pari a 59 euro per abitante. Ben al di sotto della media Ue che è di 82 euro.

 

«Definirei la situazione una nuova realtà e non un’emergenza», esordisce Edoardo Borgomeo che insegna Gestione delle risorse idriche all’Università di Cambridge e ha vinto lo scorso anno il Premio Asimov dell’Istituto nazionale di Fisica nucleare per la divulgazione scientifica – la giuria è formata da studenti – con il libro “Oro blu. Storie di acqua e cambiamento climatico” (ed. Laterza). «Il ciclo dell’acqua è completamente alterato: pensiamo all’alluvione in Emilia-Romagna dove in due giorni è caduta la pioggia di due mesi. Quando la temperatura si alza, evapora più acqua, e l’aria calda è capace di trattenere più vapore acqueo. Siccità e alluvioni sono le facce della stessa medaglia: nel momento in cui si verifica la prima, subito dopo arriveranno le seconde. È un ciclo idro-illogico per cui ci ricordiamo dell’importanza della gestione dell’acqua solo quando c’è una crisi. Inoltre in tutta la penisola esiste il problema dello stoccaggio: dighe e bacini che sono il “conto in banca” dell’acqua, si riempiono di sedimenti che è oneroso pulire. Per quanto riguarda l’agricoltura, il comparto che assorbe di più, andrebbe incentivata l’irrigazione a goccia ma anche una scelta più intelligente delle coltivazioni adatte nei vari terreni. Sintetizzando: la gestione della siccità è una questione politica. Potrebbe sorgere un impianto di desalinizzazione a Olbia?».

 

Eppure, per non compromettere la stagione estiva ormai iniziata, in Sardegna l’imprenditore turistico Giovanni Sanna, che, tramite il gruppo Studiovacanze, gestisce e controlla 18 strutture ricettive, i dissalatori li ha comprati di tasca propria: «Una località come Budoni passa da 6 mila a 50 mila abitanti e abbiamo oltre diecimila posti letto, quindi bisognava attrezzarsi per tempo», spiega Sanna che ha investito a oggi 260 mila euro. «Il primo è già in funzione alla Caletta di Siniscola e relativo porto turistico. In assenza di piogge non vedo alternative e prevediamo di acquistarne altri». Insomma, se i primi a essere sacrificati sull’altare della siccità saranno i campi e gli allevamenti, subito dopo nella lista dei tagli ci sono i turisti. Per non parlare, poi, del lungo elenco delle incompiute: nel 2015 i consorzi sardi hanno speso 12 milioni di euro per realizzare opere di gestione delle acque reflue, collaudate ma mai entrate in funzione. Nel frattempo, le aziende a secco della Nurra, zona nord-ovest della regione, hanno visto scemare la raccolta dei carciofi. Stessa situazione in Baronia, provincia di Nuoro, dove esiste da anni un progetto di invaso da 100 milioni di metri cubi ma, dato che la diga è all’interno di un parco, alcuni amministratori locali sono contrari.

 

Dalla Sardegna alla Sicilia dove nell’agro di Caltanissetta la diga di Gibesi attende di essere ultimata: attorno, 15 mila ettari coltivati a uva da tavola e pesche di alta qualità. A valle, il Comune di Licata che non ha acqua. «Contiamo almeno una ventina di dighe mai collaudate e, se continua così, mangeremo le angurie importate dall’Egitto visto che quelle della piana di Catania avranno vita dura», denuncia Rosario Marchese Ragona, imprenditore agricolo di Agrigento, dal 2022 presidente di Confagricoltura Sicilia. «Giro l’isola in lungo e in largo e i danni più ingenti si vedono sui foraggi: il poco fieno che c’era si è bagnato e le spighe di grano sono inconsistenti. Per non parlare degli alberi da frutta, privati delle ore di freddo necessarie per la buona maturazione. E il problema è anche di tipo sociale perché si ripercuoterà sull’occupazione. Non vogliamo il contributo di 100 euro a ettaro ma chiediamo che le reti siano riparate, che siano realizzati laghi artificiali nei parchi fotovoltaici, che si incentivino i dissalatori». Intanto la Regione ha calcolato che servono circa 700 milioni di euro per affrontare questa emergenza strutturale, rimodulando la programmazione dei fondi di sviluppo e coesione assegnati dal governo. Si inizia con 300 milioni per invasi, reti e acquedotti: dalla diga Garcia nel Palermitano a Messina per l’impianto di Piana di Mojo. E, nella nuova programmazione, il governatore Renato Schifani inserirà anche una quota destinata a rimettere in funzione i desalinizzatori di Trapani, Porto Empedocle e Gela.

 

Se le isole piangono, anche il Centro Italia non se la passa benissimo. «Da noi il problema maggiore è derivato dalle scarse nevicate che alimentano la Sorgente del Verde a Fara San Martino (noto nel mondo come il paese della pasta, ndr) con un gettito di 1.200 litri al secondo grazie al quale copriamo l’80 per cento del fabbisogno», spiega Gianfranco Basterebbe, presidente Sasi, gestore idrico del Chietino a servizio di ben 87 Comuni. «Quest’anno sulla Maiella è caduto un solo metro di neve contro i 6 del 2023. Di contro, lungo la costa da Ortona a Vasto, sono attesi 450 mila turisti che si sommano ai 200 mila residenti. Avremmo bisogno di 1.500 litri di acqua al secondo e ne abbiamo 1.200. Grazie ai fondi del Pnrr stiamo lavorando sulla ricerca perdite con sei squadre al lavoro e su una nuova condotta oltre a un potabilizzatore modulare che si approvvigiona dal lago di Casoli. Negli ultimi dieci anni abbiamo già investito 200 milioni di euro».

 

Ma la coperta è sempre troppo corta. «Il 60 per cento dei fiumi italiani è in sofferenza, si parla molto dell’acqua che vediamo, ma poco della condizione in cui versano le falde: secondo i dati dell’Ispra, metà dei corsi sotterranei è di qualità scadente», sottolinea Augusto De Sanctis, attivista di Forum H2O. «Il Testo unico dell’Ambiente dice che le Regioni devono individuare i bacini potabili, ma poi queste risorse vanno difese a livello ambientale. Ebbene, sono quasi tutte inadempienti. Un esempio? In aree fondamentali per l’approvvigionamento idrico hanno realizzato cave di pietra. Senza contare l’aspetto socioculturale legato all’acqua, decisamente sottovalutato: in sua assenza, non solo non si vive e non si coltiva nulla, ma non c’è nemmeno produzione industriale».