Consumatori

Il mercato libero dell'energia è un flop: ecco perché le bollette salgono

di Fabio Pavesi e Gloria Riva   10 luglio 2024

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La liberalizzazione del settore elettrico e del metano non sta riducendo i costi per i consumatori, anzi. Tutta colpa di un semi monopolio, favorito anche dal Servizio a Tutele Graduali

Il mercato dell’energia è finalmente libero. Libero di far lievitare i costi in bolletta. Con il mese di giugno, si è definitivamente estinto il mercato tutelato dell’elettricità, per andare verso la liberalizzazione, in linea col resto d’Europa. Come nel caso della telefonia, la liberalizzazione dovrebbe portare a un abbattimento dei costi. In teoria. In pratica si rischia il contrario. Gli indizi che qualcosa sia andato storto nel tentativo, dettato da Bruxelles, pilotato maldestramente da Roma, di liberalizzare i costi di gas e luce, sono palpabili ogni qualvolta viene addebitata la spesa dell’energia: nonostante sia rientrata l’emergenza energetica, provocata dalla guerra in Ucraina, il costo dell’energia per i cittadini continua ad aumentare. Spoiler: la verità è che ad assorbire le fiammate inflazionistiche è sempre il consumatore. Come per la benzina: quando i prezzi del greggio salgono, l’adeguamento alla pompa è immediato; ma quando scendono, la discesa del prezzo è lenta e vischiosa. Perché è questo il momento in cui le aziende del petrolio speculano e aumentano i margini di profitto. Nel caso delle bollette di luce e gas il canovaccio è identico: gli indici Pun per la luce e l’indice Psv per il gas, che stabiliscono il prezzo all’ingrosso della materia prima, hanno segnato forti rialzi nel 2021, per poi triplicare letteralmente nel 2022. Tutto ciò si è abbattuto in automatico sulle bollette del mercato libero. Quando poi la febbre sui prezzi ha cominciato a scendere, gli indici sono tornati entro la norma, ma l’adeguamento dei costi applicati al consumatore è stato lento e parziale, facendo la fortuna delle utilities che, nei loro bilanci, segnano giganteschi extra-profitti, come dimostra L’Espresso analizzando i rendiconti economico-finanziari di 2 colossi energetici del Paese: A2A, la municipalizzata quotata in Borsa e posseduta dai Comuni di Milano e Brescia; ed Enel. Partiamo da A2A, i cui ricavi si sono ridotti di un terzo tra il ’22 e il ’23 – da 23,1 a 14,7 miliardi – a causa del forte calo dei prezzi medi di luce e gas all’ingrosso, crollati in media del 60-70%. Tale calo è stato solo in parte compensato da un lieve incremento dei volumi venduti. L’impatto sui costi per l’azienda è stato immediato, con un taglio secco dei costi della materia prima. Non così i margini di profitto, che invece sono saliti: da 1,5 miliardi del 2022 a 1,97 miliardi l’anno successivo. Più 30%, che ha portato l’incidenza del margine sui ricavi dal 6,5% del ’22 al 13,4% del ’23, praticamente raddoppiando la profittabilità industriale. Concentrandoci sulla divisione mercato, che vende luce e gas ai clienti, il balzo del margine industriale è stato prodigioso: da 125 milioni a 299 milioni di euro. In un solo anno. Anche il primo trimestre ’24, con prezzi all’ingrosso in discesa ulteriore, i margini di A2A hanno continuato a correre: ricavi in discesa del 33% sul primo trimestre del ’23, ma margine lordo salito del 40% e l’utile netto del 70%. Una forbice che si allarga a favore della redditività di A2A, con costi di acquisto compressi molto di più dei ricavi sui prezzi praticati alla clientela. Stesso copione in Enel. Prendendo la divisione Mercati Finali, dove l’Italia ha un peso rilevante, il margine industriale tra il ’22 e il ’23 è decollato: da 1,7 miliardi a 5,27 miliardi. Evidentemente, mentre nel 2022 è stata l’azienda ad assorbire il colpo inflazionistico, dato che i contratti a prezzo fisso erano bloccati, Enel si è rifatta l’anno dopo con i nuovi contratti, molto remunerativi, dato che i costi della materia prima erano crollati, mentre le nuove bollette hanno “faticato” a recepire sul prezzo quella caduta del costo di luce e gas all’ingrosso. Stessa cosa per il primo trimestre del ’24: i ricavi della divisione mercati finali sono ancora in calo del 21%, mentre il margine di profitto industriale è salito del 30%.

 

Perché i consumatori non si ribellano alle bollette stratosferiche? Si ribellano, eccome. Fanno segnalazioni alle associazioni dei consumatori, che a loro volta si rivolgono all’Antitrust, che a sua volta infligge sanzioni, soprattutto rivolte alle pratiche commerciali scorrette, come la modifica unilaterale dei contratti. Ad esempio, racconta a L’Espresso Marco Vignola, responsabile energia di Unione Nazionale Consumatori, nell’ultimo anno si è verificato il fenomeno degli aumenti per i contratti a prezzo bloccato in scadenza, «con aggiornamenti delle quote quintuplicati, passati da 11 centesimi a 50 centesimi per i kWh di elettricità consumati, o da 45 centesimi a 2,5 euro per i metri cubi di gas utilizzato. Le comunicazioni sono state inviare ai clienti a inizio ’23 e chi non ha compreso l’aumento, o non ha ricevuto la comunicazione, non si è reso conto immediatamente del salasso». Le nuove tariffe sono entrate in vigore in estate, quando i consumi sono più bassi, e si sono manifestate in tutta la loro pesantezza a inizio 2024 con le bollette autunnali: «Abbiamo ricevuto moltissime segnalazioni e aspettiamo le valutazioni dell’Antitrust», aggiunge Vignola. Dal 2019 a oggi l’Antitrust ha avviato almeno nove istruttorie, che si sono concluse con altrettante sanzioni milionarie, senza risparmiare nessuno: quasi tutte le società hanno adottato pratiche commerciali scorrette o aggressive. «Ma le tempistiche dell’Antitrust sono tali che, salvo provvedimenti cautelari, le sentenze arrivano già dopo che la pratica scorretta si è conclusa e la normativa non prevede in quei casi che il consumatore sia indennizzato per il danno subito», spiega Vignola. Inoltre nulla toglie all’azienda di fare ricorso al Tar o al Consiglio di Stato, praticamente annullando le sanzioni il cui costo, tra l’altro, spesso è inferiore all’illecito guadagno. Terzo elemento di criticità sul fronte delle segnalazioni: sempre più spesso il Garante della Concorrenza e del Mercato adotta la strada della moral suasion, accorciando i tempi dei procedimenti, ma riducendo la funzione di deterrenza delle sanzioni.

 

Ci penserà dunque la liberalizzazione a spazzare via tutte queste inefficienze? Neanche per sogno. Attualmente sono 22,7 milioni i clienti passati al mercato libero, vuoi per scelta consapevole, vuoi perché folgorati dall'ennesima offerta telefonica che non sono proprio riusciti a rifiutare. Restano poco meno di 8 milioni di famiglie che hanno scelto di non scegliere, ovvero sono rimaste nel mercato tutelato fino allo scorso 30 giugno e, dal primo di luglio, sono passate al nuovo meccanismo del servizio a tutele graduali almeno fino al 2027. L’Arera ha calcolato un risparmio annuo di 130 euro per le famiglie che resteranno all’interno di questo perimetro, anziché buttarsi nel mare aperto del mercato libero: e fino all'ultimo, ha invitato i consumatori già passati al mercato libero a rientrare in questo regime (opzione scaduta il 30 giugno). In un certo senso, è proprio il servizio a tutele graduali a bloccare una vera e propria liberalizzazione.

 

Andiamo con ordine. Ad agosto dell’anno scorso, Arera pubblica il bando per offrire alle 700 utilities sul mercato la possibilità di aggiudicarsi uno dei 26 lotti per la gestione dei molti clienti rimasti nel mercato tutelato. Il bando, tuttavia, è stato disegnato su misura delle big del settore, rendendo complesso l’ingresso a operatori stranieri o innovativi. Prova ne è il fatto che l’operatore britannico Octopus, che dal 2022 sta cercando di conquistare fette di mercato in Italia, è riuscito ad accedere alla gara a suon di esposti e ricorsi. «Siamo stati ammessi, ma alla fine non siamo riusciti ad aggiudicarci nessuno dei lotti perché all’asta abbiamo offerto uno sconto troppo basso rispetto agli altri. Ma per noi il servizio deve essere di qualità ed economicamente sostenibile», racconta Giorgio Tomassetti, ceo di Octopus Energy Italia, società del gruppo che ha conquistato il Regno Unito, la Germania e altri 4 Paesi europei nel business energetico. Tomassetti racconta a L’Espresso che i concorrenti alla gara, pur di conquistare i lotti disponibili, hanno offerto sconti altissimi, che rischiano di riflettersi sui bilanci delle loro società nei prossimi tre anni o, ancor peggio, di essere compensati con rincari impropri sulle bollette dei clienti passati al mercato libero. I fornitori storici sono stati disposti a investire milioni di euro pur di vincere, nella ragionevole certezza di conservare quei clienti anche dopo il 2027. Facciamo un esempio, Enel, che si è aggiudicata il lotto Area Nord 1, è stata disposta a pagare 89 euro l’anno per ogni utente (quindi 267 euro per il triennio), il che significa un investimento di oltre 50 milioni, se si considera che le aree sono pressoché omogenee e contano ciascuna 200 mila clienti. Considerando tutte le sette aree vinte, l'investimento di Enel si attesta attorno ai 400 milioni. Edison, per conquistare il lotto Area Sud 3, che comprende Avellino, Benevento, Grosseto, Livorno e altre province, ha investito 200 euro per cliente, cioè 119 milioni di euro; altri 114 milioni per l’Area Sud 5 e così via. L’ammontare complessivo dell’investimento di tutte le utilities vincitrici si aggira attorno ai 2,2 miliardi di euro. Questi extra-costi, se non diventeranno una perdita nei bilanci delle società, dovranno essere compensati, scaricando sulle bollette di chi è passato al mercato libero, e che ancora non ha preso a cambiare – forsennatamente – compagnia fornitrice, come è successo anni addietro nel caso della liberalizzazione del mercato telefonico. 

 

Difficilmente avremo un bis di quel piacevole evento, perché la lettura della bolletta è complicata, e perché il mercato resta in un regime di semi-monopolio con Enel Energia che, nonostante la fine del mercato tutelato, ed essendosi conquistato sette lotti (il massimo possibile) del Servizio a Tutele Graduali, continua a coprire il 48,02% di market share, mentre il secondo e il terzo operatore, cioè Eni Plenitude e Hera Comm, insieme contano un altro 16%. Ci vorrà parecchio tempo prima che gli italiani si mettano in cerca di una tariffa più economica e affidabile.