Un'indagine di Arera sta verificando se negli ultimi anni vi siano state delle distorsioni del prezzo dell'energia. L'Espresso ha verificato che alcuni costi in bolletta, come la commercializzazione e la vendita di energia, applicati dai gestori, sono aumentati del 66%. Molto più dell'inflazione aumentata al 20%

L'energia costa meno, ma non per chi paga la bolletta

Se tre indizi fanno una prova, c’è davvero qualcosa che non quadra in bolletta. Un mese fa, il primo a dire che «c’è alta confusione. Il mercato libero fatica a proporre condizioni migliorative rispetto al mercato tutelato» è stato il presidente di Arera, l’Autorità di regolazione per l’energia reti e ambiente, Stefano Besseghini.

 

Poi Mario Draghi, nell’intervento al simposio Cotec in Portogallo, ha affermato: «La Commissione europea dovrebbe avviare un’indagine indipendente sul funzionamento dei mercati energetici». A ruota la premier Giorgia Meloni, nel question time alla Camera: «Continuo a ritenere che tra le varie cause del caro energia ci sia anche qualcosa nella formazione del prezzo ed è quello su cui il governo si sta concentrando ora». Chissà a cosa stava alludendo. Ecco la pistola fumante. Il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli (FdI), ha affermato che Arera a ottobre scorso ha avviato un’indagine sul funzionamento del mercato, dove si forma il prezzo, a seguito delle numerose sollecitazioni per valutare se vi siano stati comportamenti speculativi.

 

Un’operazione verità sul fronte del costo dell’energia elettrica sarebbe cosa buona e giusta, specialmente a un anno dall’obbligo alla libertà di gestore, che non ci ha reso più ricchi. Anzi. Tutta questa facoltà di scegliere l’operatore preferito ha contribuito a renderci diffidenti rispetto al principio della libera concorrenza.

 

Un po’ ce lo potevamo aspettare, visto che Enel ha una posizione dominante (detiene oltre il 40 per cento della fornitura al mercato libero, fonte Arera) seguito da pochi altri operatori che insieme controllano oltre il 90 per cento del settore. Primo: la liberalizzazione britannica del mercato dell’energia ha dimostrato che la concorrenza, per funzionare, deve avere competitor alla pari, ovvero fette di mercato non superiori al 20 per cento ciascuna. Secondo: Enel, ma anche altri operatori, sono partecipate pubbliche e lo Stato, che incassa i dividendi, ha interesse affinché i ricavi siano ottimi.

 

I dati di Arera sulla spesa prevista per il consumo energetico confermano che nel mercato libero a giugno 2024 si pagavano 0,34 euro al kwh, a febbraio (ultimo dato disponibile) si è passati a 0,39 euro. Contro gli 0,31 euro di chi è rimasto sotto al cappello della maggior tutela. Insomma, il costo è aumentato, anziché essersi ridotto. Si dirà che è colpa della geopolitica, di Putin, dell’instabilità, ma non è proprio così: se andiamo a studiare l’evoluzione dei prezzi della sola componente energetica si vede che la geopolitica ha effettivamente influenzato il costo della materia nel 2022 quando, a causa dell'aggressione russa all’Ucraina, il prezzo (il Pun) è aumentato da 0,06 euro al kwh a 0,22. Dopodiché, le politiche intraprese per non dipendere dal gas russo hanno ridotto il Pun a 0,12 euro al kwh e, suppergiù, il costo è sempre rimasto attorno a quella cifra.

 

E allora perché la bolletta resta stratosferica? L’Istat dice che ad aprile, rispetto a un anno fa, l’energia pesa il 4,6 per cento in più. Una delle ragioni è che scegliere l’offerta più conveniente sul mercato libero è complicato. Questo perché, oltre al prezzo dell’energia, ci sono altre voci da valutare, come il trasporto, gli oneri di sistema e una miriade di altri capitoli di spesa che non si ripetono l’uno uguale all’altro fra le 700 aziende di servizi: quindi le offerte non sono confrontabili. Lo dimostrano, ancora, le statistiche di Arera secondo cui è infinitesimale la percentuale di famiglie che, cambiando fornitore, sceglie tariffe più convenienti: ad esempio, a dicembre solo 36mila famiglie hanno scelto una tariffa più conveniente, gli altri 241mila consumatori sono, per così dire, finiti dalla padella alla brace, fra le braccia di un’azienda non competitiva. E questa statistica è sovrapponibile a tutti i mesi precedenti.

 

Oltre al costo della materia prima, il prezzo finale dipende dai costi per trasporto e gestione contatore, dagli oneri di sistema e dalle imposte. La prima componente su cui riflettere è la “materia energia”, composta dal Pun, ovvero il prezzo dell’energia all’ingrosso, più lo spread (cioè il margine di guadagno applicato dal fornitore), più i costi di commercializzazione e vendita (anche questi fissati dal gestore) e gli oneri di sbilanciamento determinati da Terna e Arera. 

 

Dunque, un fornitore può guadagnare di più giocando sulle componenti di spread, commercializzazione e vendita. Studiando l’evoluzione dei prezzi di tali componenti si vede che il Pun dal 2022 è rimasto stabile, lo spread si è tenuto mediamente attorno allo 0,04 euro per kwh, mentre i costi di commercializzazione e vendita – dal 2022 al 2025 – sono cresciuti del 66 per cento, molto più dell’inflazione, che è aumentata di circa il 20 per cento. L’effetto della liberalizzazione avrebbe dovuto abbattere queste due voci, ma di fatto è avvenuto l’esatto opposto.

 

E non è l’unica voce della bolletta a essere lievitata. Passiamo agli “Oneri di sistema” e “Oneri fiscali”. Dal 2021 il governo Draghi ha azzerato gli oneri di sistema, reintrodotti ad aprile ’23 dal governo Meloni. Inoltre, da gennaio 2024 è stata annullata la riduzione dell'Iva sul gas naturale, da cui dipende gran parte del Pun: era al 5 e Meloni l’ha rimessa al 10 per cento.

 

Non è tutto. In un’interrogazione parlamentare, il deputato Luigi Marattin, parlando dell’esigenza di abbassare il costo delle bollette, ha spiegato che «il governo, con la Legge di Bilancio, ha riassegnato per 20 anni senza passare da gara la concessione delle reti ai concessionari (Enel, ma non solo) a fronte di una compensazione economica che lo Stato incasserà. Peccato che questa somma finisce in bolletta, cioè la pagano le famiglie, maggiorata del 5,3 per cento perché vengono considerati “capitale investito”. Quindi Enel e gli altri concessionari pagano una somma allo Stato e noi tutti consumatori paghiamo quella stessa cifra (maggiorata) ai concessionari. Una mossa fatta per alzare le bollette degli italiani». Alle osservazioni di Marattin il ministro dell’ambiente Gilberto Pichetto Fratin non ha fornito risposta specifica. Ma alcuni giorni dopo l’Antitrust ha richiamato il Mase proprio sulla proroga delle concessioni perché è incoerente con la concorrenza, chiedendo di limitare l’estensione ventennale allo stretto indispensabile, dal momento che rischia di portare a un cortocircuito con i finanziamenti pubblici per gli investimenti (anche da Pnrr) che i distributori ricevono.

 

Le perle del governo sul fronte del rincaro bollette sono sufficienti a farne una splendida collana. In un altro question time, la premier Meloni ha invitato le opposizioni a una battaglia comune per il disaccoppiamento del prezzo del gas da quello delle rinnovabili a favore di una riduzione del costo dell’energia. Peccato che gli strumenti per disaccoppiare il prezzo dell’energia prodotta con le rinnovabili, rispetto a quello del gas già esistono, ma proprio il governo e i suoi ministri li stanno rallentando. Il primo sono le aste competitive, alle quali le rinnovabili potrebbero partecipare offrendo al mercato un prezzo più basso del Pun (fortemente legato al gas): ma il decreto Fer X per concedere al solare e all’eolico di parteciparvi non vede la luce da tre anni. A febbraio ne è uscita una versione transitoria che, anziché pianificare le aste competitive fino al 2028, come previsto dal Fer X, le organizza solo fino a fine 2025. Siamo a maggio e non ci sono le aste perché il governo, dopo l’annuncio del decreto, non ha pubblicato le regole attuative. Solo negli ultimi giorni il direttore generale di Mercati e Infrastrutture Energetiche, Alessandro Noce, ha promesso che sarà indetta soltanto una gara entro la fine dell’anno. Speriamo. Si potrebbe quindi affermare che Meloni, la battaglia per il disaccoppiamento, dovrebbe farla con il suo ministero dell’Ambiente. Lo stesso che, parallelamente, nel nuovo decreto Fer2 ha escluso l’eolico offshore da ogni procedura di incentivazione, nonostante rappresenti il 90 per cento della capacità da mettere nella relativa asta. Probabilmente perché il Mase ritiene più giusto investire sul nucleare, su cui però non esiste certezza rispetto al risparmio in bolletta e alla sostenibilità ambientale.

 

E mentre fotovoltaico ed eolico affrontano la burocrazia ministeriale, l’idroelettico paga dazio alle Regioni e, in base alle affermazioni della premier, sarà ingaggiato per offrire alle imprese un costo più abbordabile della bolletta elettrica. Con buona pace dei concessionari, che dovranno cedere un pezzo di utili per garantire all'industria un prezzo dell'energia più basso. L’acqua è la maggior fonte di energia pulita in Italia: vale il 40 per cento della produzione rinnovabile. «È un bene pubblico utilizzato per produrre energia su impianti che richiedono importanti investimenti», spiega Massimo Beccarello, docente di Economia all’Università Bicocca e direttore del Cesisp. Che spiega come le Regioni incassino parecchio dalla gestione degli impianti idrici: «Nel 2023 il valore dell’energia idroelettrica prodotta era stimabile in 5,4 miliardi di ricavi per i concessionari, gli introiti per i canoni regionali in 760 milioni di euro. Più i costi operativi di gestione degli impianti per 1,9 miliardi. Un margine lordo di 3,4 miliardi richiede una riflessione sulla sua “destinazione” in uno scenario di alti costi per la transizione energetica. In Lombardia, ad esempio, il canone è 35 euro a mw, più 2,5 per cento sull’energia prodotta, per un incasso di 180 milioni. Ma non è dato sapere come vengono investiti quei soldi che, alla fine, provengono sempre dalle bollette (ovvero dalle tasche) degli italiani». L’economista aggiunge: «La Commissione Eu, nel nuovo Action plan for affordable energy, ha proposto un nuovo modello di regolamentazione per garantire gli investimenti nel lungo periodo con il coinvolgimento dei gestori, degli enti pubblici e dei consumatori. L’idroelettrico potrebbe essere il primo a sperimentarlo».

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