Le tappe italiane della Formula 1 sono un grande affare, ma non per l'Aci che le organizza e neppure per lo Stato, che le finanzia. In base ai contratti, gran parte dei ricavi vengono intascati dalla F1, che fattura all'estero, lasciando in Italia le briciole

Che differenza c’è tra il Pinocchio di Carlo Collodi e il presidente di Aci, Angelo Sticchi Damiani? No, le bugie non c’entrano. C’entrano invece quei furbacchioni del gatto e della volpe che prendono Pinocchio sotto braccio e lo portano prima a fare baldoria in un’osteria (a spese del burattino) e poi lo convincono a sotterrare le monete d’oro al Campo dei Miracoli, perché l’indomani ne sarebbe fiorita una bellissima pianta di zecchini. Torniamo a Sticchi Damiani, che ogni anno va con il cappello in mano dal ministro dei Trasporti e a batter cassa al Pirellone, nel tentativo – sempre fruttuoso – di racimolare i soldi necessari per pagare alla società Liberty Media Corporation l’obolo milionario, indispensabile per portare in Italia il gran circo della Formula Uno. Già, per vedere la Red Bull di Max Verstappen, la McLaren di Lando Norris e la Ferrari di Charles Leclerc sfrecciare sulla variante Ascari dell’autodromo di Monza bisogna pagare un sacco di soldi. La fee, cioè il contributo che l’ente pubblico Aci versa alla società privata di diritto inglese Fowc Ltd, Formula One World Championship Limited, che detiene i diritti della Formula Uno, attualmente ammonta a 45,7 milioni di dollari l’anno, di cui 20 milioni per il Gp di Monza. I restanti 25,7 milioni servono per la corsa del circuito di Imola, in primavera.

 

Gli accordi pluriennali stanno per scadere e dovranno essere rinnovati nel 2025. Pare però di capire che anche questa volta il coltello dalla parte del manico ce l’abbia la Formula Uno. Non certo una novità: sono più di quindici anni che i vertici della Formula Uno – prima l’astuto Bernie Ecclestone, ora l’italiano Stefano Domenicali, che sono i nostri gatto e volpe – si fanno assai desiderare e minacciano di non rinnovare l’accordo, se non a fronte di una sfilza di impegni. Nel 2014 l’allora numero uno della Fowc, Ecclestone, non ci aveva girato troppo intorno: «Non credo che faremo un altro contratto con Monza, il vecchio è stato un disastro dal punto di vista commerciale. Dopo il 2016, bye bye…». Eppure la sentenza di condanna a morte non c’è mai stata e alla fine l’Aci – e prima l’Aci Milano – ha sempre firmato un accordo (nel 2017 e un altro nel 2019) e versato il milionario obolo – e ha detto sì a tutte le migliorie richieste prima da Ecclestone, poi da Domenicali – pur di avere il Gran Premio di Monza e ora anche quello di Imola.

 

Un affare in termini di indotto. O, almeno, così dicono i comunicati stampa che a ridosso della gara snocciolano numeri: 473 milioni di euro di giro d’affari per il Gp di Monza, di cui 143 milioni di indotto diretto sulla Brianza, 80 milioni di ricadute sul sistema produttivo nazionale, 50 milioni di valore del brand e altri 200 milioni di valore mediatico. Questi i dati dello scorso anno. Visti dagli spalti, i tre giorni della Formula Uno sono un vero investimento. E allora perché il nostro 78enne Sticchi Damiani, manager in sella all’Aci dal 2011, che peraltro è finito nei guai perché tra il 2017 e il 2020 avrebbe depositato autocertificazioni fasulle sui redditi guadagnati alla segreteria dell’ente Aci (ma questa è davvero un’altra storia), ogni anno si presenta con il piattino da Stato e Regione Lombardia? Semplice: quello che dovrebbe essere un grande affare lo è per gli altri, ma non lo è né per l’Automobile Club d’Italia né per le casse pubbliche, che sganciano, ma non guadagnano quanto dovrebbero. Mentre Pinocchio, dopo essere stato fregato dal gatto e dalla volpe, prosegue oltre e non ci casca più, con la Formula Uno, ogni anno si paventano risultati strabilianti, ma il piatto piange sempre.

 

Angelo Sticchi Damiani

 

Dal 2017 è Aci a firmare gli accordi con la Fowc. In quell’anno il Gp di Monza ha significato per il bilancio di Aci un costo complessivo di 29,5 milioni di euro (21 milioni di euro per i servizi, ovvero la fee pagata alla Fowc, più altri 8,5 milioni per organizzazione ed eventi), ha generato incassi per 18,3 milioni: quindi l’utile netto è stato meno 11,2 milioni circa. Non esattamente un affarone. Anche nel 2023 l’Aci non ha guadagnato un centesimo dalla competizione, anzi. Il bilancio 2023 dice che Aci ha speso 36,3 milioni per l’evento e ne ha incassati 35,3. Considerando il cambio sfavorevole la perdita è di 2,3 milioni. Nonostante numeri da record: 304.134 spettatori nel weekend e, sugli spalti, la premier Giorgia Meloni accanto al grande capo della Formula Uno, il manager Domenicali, e all’ambasciatore della Formula Uno in Italia, Flavio Briatore. Un bellissimo palcoscenico per tutti, ma i conti continuano a non tornare.

 

È forse possibile che il grande tesoro delle sponsorizzazioni, della pubblicità, dei diritti tv, dei servizi e tutto il resto resti in pancia alla società Autodromo Nazionale Monza Sias spa? Quest’ultima è controllata al 90 per cento da Aci e storicamente si occupa della gestione ordinaria dell’autodromo, nonché della gestione straordinaria del Gp. Andando a vedere i conti di Sias, si direbbe proprio di no. Va ricordato che questa società, quando assieme ad Aci Milano gestiva direttamente gli accordi con Ecclestone e la Formula Uno, aveva i conti in pessimo stato, al punto da essere stata travolta nel 2014 da un’inchiesta della Procura di Monza che si è conclusa con la condanna definitiva dei suoi vertici nel 2020 per reati fiscali e false fatturazioni per tre milioni di euro. Da quando Aci ha preso il timone della Sias, l’azienda ha dignitosamente galleggiato: nel 2023 ha generato utili per circa un milione di euro.

 

Ma dove finisce la ricchezza espressa dal Gran Premio? Fiumi di pubblicità, vip, sponsor, euforia generale. Un dubbio viene rileggendo con attenzione il dettaglio del bilancio Aci dedicato al Gp di Monza: alla voce sponsorizzazioni, i ricavi sono zero. Aci non incassa nulla dai tantissimi cartelloni pubblicitari, dalle centinaia di società che decidono di mettersi in mostra scendendo nella grande arena della Formula Uno.

 

La faccenda ricorda parecchio il caso sollevato dall’Amministrazione finanziaria indiana e dalla corrispondente sentenza emessa dalla Suprema Corte nel 2017 che aveva riscosso una certa eco mediatica. Sostanzialmente la Suprema Corte indiana affermava che il Buddh International Circuit di Greater Noida, periferia di Delhi, era una stabile organizzazione per la Formula Uno e che tutti i soldi che Fowc direttamente e indirettamente – tramite le sue società controllate che fanno parte della galassia del gruppo Liberty Media Corporation del Delaware, seguendo però un intricato labirinto societario – incassava dalle sponsorizzazioni, dalla vendita dei biglietti, dall’ospitalità al paddock, dalle richieste commerciali, media e marketing dovevano quantomeno essere tassate in territorio indiano. Invece no.

 

Stefano Domenicali

 

Leggendo le carte degli accordi fra la Formula One World Championship e la società indiana organizzatrice dell’evento, la Jaypee Sports International Limited, la Suprema Corte indiana aveva scoperto non solo che la Jaypee aveva pagato una fee da 40 milioni di dollari alla Fowc e che non si accomodava mai al banchetto delle sponsorizzazioni e dei ricavi, ma addirittura che la società Fowc, non avendo una stabile organizzazione in India, non pagava una rupia di tassa al governo locale per lo sfruttamento dei diritti commerciali che incassava. Questa sentenza, che poteva essere dirompente, in realtà è passata ampiamente sotto silenzio. L’Espresso ha chiesto conto ad Aci dei contratti stipulati con Fowc e le altre società satellite, ma l’ente si è detto impossibilitato a fornirne il dettaglio in tempi rapidi.

 

L’India – per la serie: punirne uno per educarne cento – ha dovuto dire addio per sempre al suo Gran Premio nazionale. Avrà anche smesso di perdere quattrini ogni anno, però il suo primo ministro non può più fare bella mostra in tribuna. La nostra sì, invece, con buona pace del senatore leghista Massimiliano Romeo, che a giugno se l’è presa con Sticchi Damiani: «Ora basta chiedere soldi. Da Aci vogliamo risultati», aveva tuonato, un po’ sconcertato, un po’ arrabbiato, per la quantità immane di quattrini pubblici drenati per il Gp di Monza. «Tra governo e Regioni gli abbiamo dato 80 milioni, mi chiedo come li abbiano spesi», ha detto Romeo a giugno, a poca distanza dall’ennesima richiesta allo Stato da parte del numero uno di Aci di ricevere ulteriori garanzie economiche per altri tre anni. Non è difficile capirlo, dove siano finiti quei soldi: ogni anno il Mit sgancia un contributo di 10 milioni per pagare metà dell’obolo da versare alla Fowc, indispensabile per portare a Monza la Formula Uno. La Regione Lombardia allunga altri 345 mila euro annui. Poi, sempre per mantenere Monza in Formula Uno, Domenicali ha preteso che l’autodromo di Monza fosse riqualificato: nuova pavimentazione, nuovi cordoli, raccolta e drenaggio dell’acqua, nuovo viale d’ingresso, nuovi sottopassi e nuovi percorsi pedonali. Migliorie pagate da Stato e Regione per un totale di 21 milioni di euro. Poi, per il futuro, c’è in ballo il progetto per la nuova tribuna sul traguardo, che sarà moderna, confortevole e con SkyBox. Come richiesto dai vertici della Formula Uno per consentire di vendere a prezzi più alti le hospitality al paddock. Non è tutto. Perché nel 2025 c’è da firmare il nuovo contratto pluriennale per mantenere Monza nel Gp dei prossimi anni, ma Domenicali ha alzato la posta: per essere nella rosa, 20 milioni di euro l’anno non bastano più. Ne servono almeno 30 di milioni, altrimenti Monza sarà scaricata. Tutte monetine che di anno in anno vengono seminate al Campo dei Miracoli. Com’è possibile che questa benedetta pianta di zecchini non germogli mai?