Inchieste
27 novembre, 2025Articoli correlati
Truffe globali, pagamenti anonimi di droga e armi, riciclaccio: le valute digitali sono le nuove lavanderie del denaro sporco. Usate anche dal regime di Putin, per reclutare agenti tricolori e sorvegliare le nostre città, da Milano a Roma. La nuova inchiesta internazionale de L'Espresso con Icij
Frodi finanziarie, truffe online, evasioni fiscali, pagamenti anonimi per droga e armi, riciclaggio di denaro sporco, in un crescendo di reati che culmina in operazioni di spionaggio e manovre di stampo eversivo contro le democrazie, anche in Italia. Una montagna di illegalità nascoste sotto la coltre delle criptovalute, che come un manto di neve sporca cela e silenzia tutto. Da quando ci sono le monete virtuali, la strategia investigativa di Giovanni Falcone – descritta con il celebre invito a seguire i soldi, follow the money – è diventata complicatissima.
Le autorità di controllo, a livello mondiale, hanno finora inflitto più di 5 miliardi e 800 milioni di dollari di multe e risarcimenti a carico di società che gestiscono piattaforme di criptovalute, come dimostra un'inchiesta giornalistica internazionale, intitolata The coin laundry, coordinata dal consorzio Icij (rappresentato in Italia da L'Espresso). La difficoltà di tracciare i movimenti di valute digitali e identificare i beneficiari le rende uno strumento pericoloso e preoccupante: molte piattaforme sono diventate colossali lavanderie di denaro nero. L'inchiesta giornalistica prova che anche grandi società già sanzionate per aver violato le norme anti-riciclaggio, continuano a essere utilizzate da fiduciari di boss del narcotraffico, centrali di truffe finanziarie, evasori miliardari, perfino pirati informatici nordcoreani. Ma c'è anche una storia italiana, in apparenza una piccola vicenda lombarda, che ha attirato l'interesse dei giornalisti stranieri perché svela, con rara precisione e ricchezza di dettagli, uno dei segreti dell'apparato spionistico più temuto al mondo: i servizi russi pagano in criptovalute.
I protagonisti di questo caso simbolo si chiamano Pericle Santoro e Iginio Felice Carlomagno. Sulla carta sono due tranquilli immobiliaristi brianzoli, lavorano in tandem e con la loro società, Elyon Company di Monza, amministrano e gestiscono appartamenti e condomini. Santoro ha 35 anni, è nato in Svizzera, ma risiede a Lesmo, vicino ad Arcore, mentre Carlomagno è di Seregno.
La loro società italiana è nata nel 2023, ma ha un'antenata in Svizzera, dove Pericle Santoro e il fratello minore Tiberio avviano già nel 2017 la società-madre di un'omonima Elyon Company. Nel 2022 la compagnia fa spazio a un nuovo socio e gerente ingombrante, un broker di Palmi, Roberto Recordare. La sua storia è raccontata nell'articolo a pagina 16. Qui va anticipato solo che, pochi mesi di entrare nella società svizzera, era stato bollato, nei rapporti di polizia di un'indagine calabrese (già allora pubblici), come ipotetico riciclatore di somme enormi: un'accusa che poi è caduta, archiviata per mancanza di riscontri. Ma da quegli accertamenti è emersa una verità non smentita dall'interessato: Recordare è un personaggio in grado di muovere soldi in ogni dove, attraverso conti aperti in svariate nazioni e carte di credito intestate a fiduciari, cioè prestanome legali, reclutati nell’Europa dell'Est e nei Paesi arabi.
L'alleanza tra il broker di Palmi e i brianzoli dura sei mesi: alla fine dell'anno il big calabrese lascia la Elyon svizzera. E nello stesso periodo Pericle Santoro fa il salto di livello. Nella sua società elvetica entra un altro italiano, Giuseppe Giudice, classe 1972, che è da tempo in affari con Iginio Carlomagno. Poco dopo, proprio Santoro e Carlomagno fondano la Elyon italiana. E negli stessi mesi diventano protagonisti di una spy story alla James Bond, che pagheranno cara: indagati dalla Procura di Milano, intercettati anche con cimici nascoste in macchina, perquisiti dai carabinieri del Ros, nella primavera del 2024. Per i due imputati ora è in corso l'udienza preliminare davanti alla giudice Anna Laura Minerva: entrambi hanno chiesto, tramite i loro avvocati Massimo Rotatori e Fabrizio Negrini, di essere ammessi al rito abbreviato, che riduce di un terzo l'eventuale pena. Il prossimo 19 febbraio il giudice dovrebbe decidere se rinviarli a giudizio.
All'origine del caso sembra esserci un legame familiare. Santoro ha una moglie moldava, un Paese in bilico tra Est e Ovest, al confine con l’Ucraina. È preoccupato per la guerra, simpatizza per la Russia di Vladimir Putin, vuole fare qualcosa e si mette a cercare su Internet un modo per avvicinare i servizi segreti di Mosca. Per evitare controlli, usa Telegram. Con quel canale criptato manda tre email, in italiano, inglese e russo, agli indirizzi istituzionali dell’Fsb, successore del Kgb. Scrive di essere disposto a collaborare in nome della pace. E assicura: «Abbiamo competenze, abbiamo strutture, abbiamo tecnologia e sappiamo muoverci».
La Elyon svizzera, poi liquidata proprio mentre nasceva quella italiana, aveva un ampio oggetto sociale: «Analisi, progettazione e realizzazione di soluzione tecniche; gestione di brevetti e qualsiasi altra proprietà intellettuale su tecnologie meccaniche; esportazione di diritti d’autore».
Tra ottobre e dicembre 2023 l’intelligence del Cremlino, dopo aver studiato a distanza Santoro, lo contatta. La sua proposta di collaborazione viene accettata, con una cautela: pagamenti anonimi, in criptovalute. Dai servizi russi arrivano le prime richieste, così riassunte nelle carte giudiziarie: «Studiare un progetto per istituire un sistema di video-sorveglianza a Milano, Roma e altre città, mediante l’installazione di dashcam, le telecamere da macchina, a bordo dei taxi». Le aspiranti spie italiane avrebbero dovuto assicurare «il controllo delle videocamere e della memorizzazione dei relativi dati ai servizi d’intelligence russi». L'ordine successivo è inquietante: «Fornire la mappatura dei sistemi di video-sorveglianza di Milano e identificare le cosiddette zone grigie, cioè non coperte da telecamere». Luoghi per azioni segrete.
Nel gergo spionistico, Santoro e Carlomagno vengono «coltivati». Poco per volta, un passo dopo l'altro, sono messi alla prova e invitati a fare di più. Per esempio, vengono chiamati ad allestire, sempre a Milano, una rete di «case sicure»: strutture per ospitare cittadini russi. Visitatori particolari: vietato identificarli e registrarli, niente documenti. L'ultimo incarico prima del blitz dei carabinieri è il più allarmante: «Reperire documenti classificati della Nato relativi al conflitto russo-ucraino e fotografie di obiettivi militari sensibili presenti sul territorio italiano».
I servizi di Mosca chiedono anche di creare dossier personali, in particolare su un certo Roberto B., residente a Roma, definito «esperto di sistemi elettronici e telematici del comparto sicurezza con esperienze pregresse nello scenario russo». Pericle Santoro si attiva. Va a Roma, fa una foto all'esperto, gli parla. Del signor B. si sa che in passato frequentava le fiere delle armi e prima della guerra raccoglieva informazioni anche per i russi sui nuovi materiali. Ma ha collaborato anche con autorità italiane, per esempio bonificando uffici di politici.
I carabinieri intanto scoprono che Santoro viene effettivamente pagato da entità estere in criptovalute di due tipi: Usdt, della piattaforma Tether; Eth, di Ethereum. Le indagini hanno individuato i cosiddetti wallet, i codici dei portafogli digitali (equivalenti all'iban dei conti bancari) coinvolti nelle transazioni. Per ricostruire i flussi, i magistrati della procura di Milano, l'aggiunto Eugenio Fusco e il sostituto Alessandro Gobbis, si sono rivolti alla speciale sezione criptovalute dei carabinieri, che è dotata di un sofisticato programma di tracciamento, chiamato reactor, usato anche dall’Fbi. Ne risulta che il wallet collegato ai servizi russi ha trasferito in Italia un valore di almeno duemila euro: è una somma modesta, ma va tenuto presente che erano degli anticipi, le attività di spionaggio non erano ancora iniziate e si sono interrotte subito dopo le prime perquisizioni, appena è emersa l'indagine. Agli atti restano le prove di due trasferimenti di criptovalute: il 25 gennaio 2024, per l'equivalente di 500 euro, a favore dell’account sulla piattaforma Binance controllato da Santoro, che li ha spostati su un altro deposito e poi prelevati il 31 gennaio; la seconda tranche il 3 aprile 2024, per un valore di 1.500 euro, sullo stesso account di Binance.
Gli investigatori dell'Arma hanno usato tutti i mezzi per identificare il wallet di provenienza, che avrebbe potuto svelare una delle tesorerie segrete usate dai servizi russi per fare pagamenti anonimi. Ma l'intelligence di Mosca ha inserito le transazioni in un «mixer», un programma che mescola tanti flussi diversi e rende impossibile ricostruirne l'origine.
I magistrati di Milano non hanno applicato l'accusa di spionaggio, perché si concretizza solo quando è avvenuta la «cessione o acquisizione di informazioni segrete». Santoro e Carlomagno sono invece imputati di «corruzione del cittadino da parte dello straniero»: un reato, previsto dall’articolo 246 del codice penale, che punisce chi «riceve o si fa promettere denaro o qualsiasi utilità al fine di compiere atti contrari agli interessi nazionali». Da notare che la corruzione russa, per i pubblici ministeri, è «aggravata dalla finalità di eversione dell’ordine democratico» italiano. Santoro e Carlomagno non hanno risposto alle domande inviate da L'Espresso anche a nome del consorzio Icij.
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