Inchieste
marzo, 2025

Ti regalo Auchan e tu mi paghi

Uno dei punti di vendita della catena Auchan a Milano
Uno dei punti di vendita della catena Auchan a Milano

Dietro la svendita a un euro del patrimonio immobiliare italiano del colosso francese una maxitangente agli ex vertici Conad. Girata attraverso lo schermo di una società con base in Lussemburgo e in cui figurano i parenti dei vecchi manager sotto inchiesta della società leader della grande distribuzione. Al centro il broker Mincione, già dentro lo scandalo vaticano del palazzo di Londra

Se esistesse una hall of fame dei manager italiani, nei primi posti ci sarebbe stato di sicuro anche il nome di Francesco Pugliese da Taranto, classe 1959. Pochi dirigenti d’azienda possono vantare una carriera come la sua, e risultati paragonabili. Quando a 45 anni è arrivato al vertice di Conad il fatturato del consorzio della grande distribuzione alimentare con base a Bologna era di 6,4 miliardi. Quando è uscito, dopo oltre 18 anni e a 64 d’età, superava i 20. Pugliese aveva fatto le scarpe anche alla potente e imparentata Coop. E perfino ai potentissimi francesi: ma quello non l’avesse mai fatto…

 

Il problema è l’epilogo. Perché la causa che ora minaccia di macchiare la sua cavalcata trionfale è proprio la partita francese. Il reato principale per cui la procura di Bologna l’ha indagato assieme ad altre persone, coinvolte secondo i magistrati nell’operazione di cui stiamo per parlare, fino al 2012 neppure esisteva. La corruzione tra privati, perché è questa l’ipotesi, è stata introdotta nel 2012 dal governo di Mario Monti. E prevede pene tutto sommato modeste, tre anni al massimo nel caso di imprese non quotate in Borsa. Ci sono poi altre fattispecie connesse, come l’autoriciclaggio. Ma se le indagini, e magari le sentenze, confermassero quanto sta già emergendo, saremmo di fronte a uno dei casi più clamorosi nel mondo degli affari da quando quel reato di corruzione è stato esteso ai rapporti fra privati.

 

Tutto comincia nel 2019, quando Conad acquisisce in blocco le attività italiane del gruppo francese Auchan. La digestione è lenta e complicata, ma soprattutto presenta aspetti decisamente singolari. Sono quelli che all’inizio del 2022 rivela Milano Finanza, contribuendo a far emergere con un’inchiesta e alcuni articoli successivi dettagli sconcertanti. Le attività italiane di Auchan si sono rivelate un disastro in piena regola, al punto che nel 2018 la holding francese ha dovuto svalutarle per ben 440 milioni. Non bastasse, oltre a cederle a costo zero, si impegna a riconoscere a Conad un badwill altrettanto generoso pur di liberarsi di quell’ormai ingombrante fardello. Si profila quindi per il gruppo bolognese un affare clamoroso. Nel pacchetto ci sono migliaia di dipendenti, è vero, ma anche un enorme patrimonio immobiliare. Ed è adesso che entra in scena un altro personaggio chiave della storia: Raffaele Mincione. Il 14 febbraio 2019, giorno di san Valentino, Conad e Pop 18, la società del gruppo lussemburghese WRM di Mincione, costituiscono dalla notaia milanese Debora Ferro la Bdc Italia. È la società veicolo nella quale verranno collocati tutti gli asset ex Auchan. Conad ha il 51 per cento, mentre il restante 49 appartiene a Mincione.

 

 

Ma qui bisogna aprire una parentesi. Chi è il finanziere con base nel Granducato che compare all’improvviso in questo business? Di Raffaele Mincione si è già parlato per le sue iniziative sul fronte bancario, riguardanti in particolare la Banca popolare di Milano, ma anche un tentativo di scalata a Carige. La sua strada avrebbe anche incidentalmente incrociato quella del futuro presidente del Consiglio, l’avvocato Giuseppe Conte, che era all’epoca il braccio destro di Guido Alpa. Nel consiglio di amministrazione di Carige, Alpa rappresentava secondo la ricostruzione del Fatto quotidiano, proprio l’azionista Mincione allora impegnato in una contesa con l’industriale Vittorio Malacalza per il controllo della banca genovese. Conte ha smentito di aver avuto un qualsivoglia ruolo nella vicenda Carige. La stessa presidenza del Consiglio ebbe tuttavia occasione di precisare che nel maggio del 2018, prima di assumere l’incarico di premier, Conte aveva redatto un parere pro-veritate «per conto della società Fiber 4.0 di cui il sig. Mincione risulta presidente».

 

Il nome del finanziere, a poca distanza di tempo, salta poi fuori in un’altra operazione, stavolta immobiliare. Si tratta dell’acquisto a prezzi stratosferici di un immobile a Londra per cui la procura del Vaticano tira in ballo il cardinale Giovanni Angelo Becciu. L’inchiesta della Santa Sede, che si conclude con le condanne di quasi tutti i coinvolti, mette in relazione gli interessi di Mincione con quelli di Gianluigi Torzi, broker dell’affare, titolare della Jci Capital ltd. Una società, come emerge dalle carte vaticane, che poteva contare su un advisory board di profilo altissimo: c’erano il futuro presidente del Consiglio di Stato Franco Frattini, ex ministro degli Esteri del governo di Silvio Berlusconi, quindi Giulio Tremonti, a sua volta ex superministro dell’Economia del medesimo governo, e infine l’ex ambasciatore e vicepresidente di Leonardo Giovanni Castellaneta. A dimostrazione del livello delle proprie relazioni, c’è una foto scattata a una cena che Torzi invia a un gruppo WhatsApp nel giugno del 2019. E dove, accanto a Torzi e Frattini, compaiono Giancarlo Innocenzi Botti, ex deputato di Forza Italia, ex commissario dell’Agcom ed ex presidente di Invitalia, nonché Francesco Rocca, ex capo della Croce Rossa oggi presidente della Regione Lazio.

 

Per completezza d’informazione va ricordato che, dopo la condanna del tribunale vaticano, Mincione ha avviato una causa civile a Londra contro la segreteria di Stato della Santa sede. Il motivo? Vuole un risarcimento per un procedimento che avrebbe ingiustamente offuscato la sua reputazione. Ma torniamo all’operazione Auchan. Mincione si ritrova dunque azionista di minoranza nella società in cui sono collocati tutti i beni ex francesi. Conad ha la maggioranza, ma non ha interesse a consolidare la Bdc Italia. Anche perché è previsto nei patti che alla fine del percorso, quando attività e immobili ex Auchan saranno stati distribuiti presso le varie cooperative e i punti vendita del consorzio, il socio di minoranza ne rileverà l’intero capitale. Con due distinte mosse. Un 5 per cento finirà alla società lussemburghese Time and Life S.A., la cui sede legale coincide con quella di Pop 18. Mentre il restante 46 per cento è destinato al veicolo societario già titolare del 49 per cento. Normale ingegneria finanziaria, se non fosse per un particolare. A un certo punto spunta un accordo riservato nel quale si stabilisce che la cessione a Mincione della tranche più grossa, ovvero il 46 per cento della società nella quale sono parcheggiati tutti gli asset appartenuti ad Auchan avverrà, alla fine dell’operazione, a un prezzo «che le Parti, in considerazione degli oneri di ristrutturazione di Auchan e delle società controllate (…) nonché dei conferimenti, quantificano sin da ora definitivamente in euro 1,00». Un solo euro. Possibile? Possibile che al termine della divisione dei pani e dei pesci francesi ai consorziati non rimanga più nemmeno un negozietto, un magazzino, un sottoscala? Al punto che il valore della società in cui è finito tutto quel ben di dio sia ridotto a zero?

 

Nessuno, in realtà, è in grado di saperlo. L’entità degli eventuali resti, cioè del patrimonio ex Auchan che non è stato distribuito a valle non è nota, perché mancano a quanto pare i bilanci.

 

 

Ci sono però delle cosette che fanno drizzare le orecchie ad alcune centrali cooperative aderenti al consorzio. La prima è che mentre il 46 per cento della Bdc Italia verrebbe ceduto al prezzo simbolico di un euro, per quel misero 5 per cento destinato all’altra società lussemburghese una valutazione invece esiste. Viene comunicata al consiglio di amministrazione Conad il 4 agosto 2021, ed è ben diversa. Sono 16 milioni di euro. In proporzione, l’intera società varrebbe 320 milioni; significa che il 46 per cento vale almeno 147 milioni. Qualcosa più di un solo euro. La seconda cosetta riguarda i compensi degli amministratori di Bdc Italia: presidente Pugliese, vicepresidente Mincione, e fra i componenti non manca il direttore finanziario di Conad Mauro Bosio. Come detto, i bilanci sono difficili da trovare. Ma circola una bozza dei costi del solo primo esercizio, il 2019, durato neppure nove mesi. E lì c’è scritto che gli amministratori hanno avuto diritto alla bellezza di 2 milioni 989mila euro. Dettaglio che sembra cozzare con quanto previsto dall’accordo quadro confidenziale, dove c’è scritto che al presidente e al suo vice spetterebbero rispettivamente per il loro mandato diecimila e cinquemila euro oltre al rimborso spese. E gli altri 2 milioni 974mila euro come si giustificano?

 

Ma la terza cosetta è ancora più curiosa. Perché il 9 dicembre 2019, quando l’operazione Auchan è in pieno svolgimento, ecco un ulteriore accordo riservato. Questa volta i contraenti sono la Wrm capital di Raffaele Mincione e un’altra società italiana. Il suo nome è Ramaf srl, è stata costituita a Milano il 15 novembre del 2017. L’accordo è vergato in un documento di 15 pagine. Secondo ciò che lì è nero su bianco il gruppo del finanziere con base a Lussemburgo, che ha appena concluso un’alleanza strategica con Conad, utilizzerà i servizi della Ramaf srl per gestire alcuni non meglio specificati investimenti finanziari. In cambio, Mincione pagherà a questa società 10 milioni di euro, entro e «non oltre il 31 dicembre 2020».

 

Chi c’è dietro alla Ramaf srl? La risposta non è facile, perché c’è di mezzo una fiduciaria, la Eurofindleasing spa, nella quale è custodito il capitale. Ma un piccolo indizio viene dalla visura, nella quale compare il nome dell’amministratore unico. È Fabio Bosio, fratello del direttore finanziario di Conad, con il quale era in società in una modesta ditta immobiliare, la Cube Italy srl. Poi le insistenze di chi, nel consorzio Conad, vuole vederci chiaro, rendono obbligatorio comunicare ai soggetti interessati l’identità dei reali azionisti della Ramaf. Società, come risulta dai documenti, che «annovera tra i soggetti costitutivi la propria compagine sociale il dott. Pugliese Luigi e il dott. Bosio Paolo». I quali, scartando l’assai poco probabile eventualità di qualche omonimia, non possono che essere parenti, rispettivamente, di Pugliese e Bosio. La puzza di bruciato è sempre più forte. E comincia a montare la protesta. C’è chi preme per un chiarimento con successiva resa dei conti. Pugliese replica alle critiche non senza una punta d’indignazione rivendicando in pubblico lo spettacolare risultato dell’acquisizione a una convention del consorzio del gigante della grande distribuzione alimentare organizzata in pompa magna. Dice che con l’operazione Auchan ha portato al sistema Conad «quasi 700 milioni di valore». Ma poi forse gli scappa la frizione. Perché chiosa: «Ci saremmo potuti portare altri 300 milioni di patrimonio se l’avessimo fatta da soli». Cioè senza Mincione? Proprio così: «Siamo arrivati a questo chiedendo aiuto a un terzo, che non serviva. Ribadisco: non serviva».

 

Ma se non serviva, allora perché? Domanda che qualcuno, ora farà, ma non a una convention aziendale. Intanto sono stati sequestrati beni per 36 milioni e ci sono nove persone indagate, fra cui anche familiari di Pugliese, l’ex direttore finanziario Bosio e suo fratello. L’accusa principale è di aver ottenuto da Mincione 11,3 milioni attraverso una società di consulenza creata con il filtro di una fiduciaria. Scenario perfettamente compatibile con le rivelazioni di Milano Finanza. Tuttavia dall’indagine della magistratura emergono anche particolari che nella ricostruzione a suo tempo fatta da quel giornale (nel silenzio generale) mancavano. Per esempio che Pugliese, juventino sfegatato e appassionato di auto storiche, avrebbe corso una Mille miglia con una macchina comprata, riferisce l’Ansa, «proprio utilizzando i profitti in ipotesi di accusa illeciti». Vale sempre il principio per cui tutti sono innocenti fino a sentenza definitiva. Non ci stancheremo mai di ripeterlo. Perciò il condizionale è d’obbligo. Ma una cosa, senza condizionale, si può dire: comunque vada a finire, non è stato un bello spettacolo.

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