Una sbirciatina su WhatsApp? Secondo la giustizia italiana, non è un atto innocuo. Sarebbe violazione della privacy e, più precisamente, accesso non autorizzato a un sistema informatico. Per questo reato, la legge prevede pene severe e fino a 10 anni di reclusione. Accedere senza permesso alle chat WhatsApp di altri equivale, quindi, a introdursi abusivamente in un sistema informatico.
Lo dice la Cassazione
Il fatto di cronaca riguarda una coppia di Messina e la causa di separazione: il marito è entrato in possesso di messaggi dell’ex moglie, prelevandoli dal telefono di lei, con l’intento di usarli in tribunale a proprio favore. La causa è giunta al grado di giudizio finale: la Cassazione ha confermato la condanna dell’uomo per accesso abusivo a sistema informatico e violazione di corrispondenza.
Un sì a tempo
Conoscere la password di un cellulare non autorizza all’uso indiscriminato dei contenuti dello stesso, dice la sentenza della Cassazione. La concessione è specifica, chiara e temporanea. L’utilizzo oltre i limiti concordati o impliciti rappresenta un abuso. In questo caso, sfruttare una vecchia password per controllare le chat o entrare in possesso di informazioni personali non autorizzate è penalmente rilevante.
WhatsApp e le prove in tribunale
Parliamo della possibilità di utilizzare i messaggi WhatsApp in tribunale: possono costituire prove in un processo solo se sono stati ottenuti in modo lecito. Ad esempio se lo scambio riportato riguarda i due soggetti in causa. In caso contrario, le conversazioni acquisite illegalmente non solo perdono valore probatorio, ma rafforzano la posizione dell’accusato come autore di un reato.