Innovazione
22 agosto, 2025Articoli correlati
Lo sbarco sulla luna è solo la punta dell'iceberg. La Cina punta a diventare la culla tecnologica del mondo. A partire dall'intelligenza artificiale
La Luna si rispecchia sulle acque immobili del lago occidentale di Hangzhou in un’afosa notte d’estate, facendosi spazio tra i canti dei grilli e le luci delle ghirlande colorate che incorniciano i tetti rossi delle pagode. A lei da secoli legano sogni e speranze generazioni di cinesi. Ma forse mai così tante e così vaste come in questi anni.
«Stiamo per sbarcare sulla Luna», dice Chunlin Zhou, professore di robotica presso l’università dello Zhejiang, di cui Hangzhou è capitale provinciale. «L’atmosfera in Cina è perfetta. Lavoriamo tutti insieme verso gli stessi obiettivi e lo facciamo velocemente». Parla dall’incubatore di startup in cui il governo regionale alimenta le giovani promesse tecnologiche del futuro, e dove lui in questi mesi sta mettendo a punto una macchina di precisione che potrà aiutare a curare alcuni casi di metastasi.
Zhou racconta di come la Cina, per massa demografica e livello di sviluppo, abbia bisogni che altrove non si manifestano, e di come tutta la popolazione sia invitata a trovare soluzioni per soddisfarli al meglio delle proprie capacità. «Come quella volta, qualche anno fa, che mi chiamarono per chiedermi come disegnare una mappa della superficie lunare», continua: «Suggerii l’utilizzo di un drone con telecamera che sfruttasse la bassa attrazione gravitazionale della Luna. Ma non so poi se abbiano adottato la mia soluzione». Quello di cui è certo, questo giovane scienziato, è che gli Stati Uniti non ce la faranno a tornare sulla Luna. Almeno non prima della Cina, che mira ad allunare i suoi taikonauti entro il 2030.
La competizione tra la vecchia e la nuova potenza mondiale è diventata talmente intensa – e non solo tra le stelle – che ormai vivono in due mondi uguali e paralleli, cercando di dipendere sempre meno dalle risorse dell’altro per limitare i ricatti e non condividere i successi.
Pechino ha capito da oltre un decennio che il vero campo di battaglia per la supremazia globale non è più la finanza né l’energia, ma la tecnologia. È lì che si gioca il predominio economico del futuro, con ramificazioni che spaziano dall’industria militare alla corsa spaziale. Per trent’anni la Cina ha cavalcato la tigre della manifattura a basso costo, costruendo su questo modello una crescita vertiginosa. Ma quando ha intuito che quel modello stava esaurendo la sua spinta propulsiva, ha cambiato rotta con decisione: ha spostato capitali e risorse verso l’innovazione tecnologica, scommettendo su batterie elettriche, infrastrutture digitali e intelligenza artificiale.
Ad aiutarla è stato il suo modello economico, il “capitalismo con caratteristiche cinesi”, che è poi una collaborazione efficiente tra il governo, che detta gli indirizzi di sviluppo, allocando le risorse maggiori in settori di sua scelta, e le società pubbliche e private, che ne raccolgono le indicazioni e le trasformano in investimenti e progetti. Un sistema, tra l’altro, che l’America di Donald Trump sembra rassegnata a imitare, come non fosse più in grado di indicare un percorso alternativo, democratico e liberale.
Così la tecnologia ha finito per diventare parte del quotidiano cinese. Droidi come R2-D2 di Guerre Stellari, consegnano i pasti in alberghi e ristoranti; cani di metallo accompagnano la polizia in azioni di pattugliamento o sostituiscono i soccorritori sulle scene di un disastro ambientale e droni autocisterna spengono incendi ai piani alti dei grattacieli che costituiscono il cuore della maggior parte delle metropoli contemporanee.
Intorno agli stessi edifici hanno preso a volare i taxi del cielo, gli eVTOL (vedi il numero 33 de L’Espresso) – 60 euro per una corsa a Shenzhen – e i droni delle consegne a domicilio del colosso Meituan che, solo l’anno scorso, ha consegnato 200mila pasti per via aerea.
Unitree Robotics, fondata nel 2016, è diventata un colosso della robotica (impenetrabile per i media stranieri come gran parte delle principali società tecnologiche cinesi) grazie allo sviluppo di umanoidi avanzati, che Pechino utilizza come strumento di propaganda durante le principali celebrazioni nazionali. Secondo un recente rapporto di Morgan Stanley, il 56 per cento delle società mondiali legate allo sviluppo degli umanoidi, settore ancora nella sua infanzia, si trova in Cina.
In qualsiasi centro commerciale e perfino nelle nuove piazze all’aperto, dove i cittadini urbani si ritrovano la sera per sfuggire al caldo estivo, tra fontane verticali e girandole di luci, sono immancabili le insegne di Huawei e Xiaomi. Le due aziende offrono nello stesso negozio non più solo gli ultimi modelli di cellulare ma anche gadget tecnologici per la casa e automobili elettriche a guida semiautonoma, disponibili in colori sgargianti, che vanno dal rosa fucsia al verde acquamarina. Una passeggiata, una telefonata, un’auto nuova: tutto nella stessa serata.
Resasi conto che non avrebbe mai potuto competere con il resto del mondo sul motore a combustione, la Cina 15 anni fa ha deciso di puntare sui veicoli elettrici, forte di una produzione straordinaria di batterie elettriche e dei progressi quantici sul software digitale, i due elementi fondanti della nuova mobilità. Secondo l’International Energy Agency, la Cina ha venduto l’anno scorso 11 milioni di veicoli elettrici, ovvero il 65 per cento della produzione mondiale di 17 milioni, di cui la metà al mercato domestico.
Le auto elettriche non sono il solo settore caro alla transizione verde in cui la Cina eccelle. Oltre che nelle batterie elettriche, è leader mondiale nella produzione di pannelli solari e pale eoliche, al punto che, con solo queste due rinnovabili, sarebbe in grado di soddisfare i bisogni energetici di un Paese grande come la Polonia.
Contestualmente Pechino si è lanciata nello sviluppo dei modelli fondativi dell’intelligenza artificiale, del quantum computing e delle biotecnologie. «Le nuove forze produttive», sono state definite dal governo, quelle che, aldilà del nome che sa di marxismo, dovrebbero condurre la Cina alla conquista del predominio economico mondiale. Hangzhou e Shenzhen, metropoli immerse nel verde tropicale e circondate dall’acqua, ne sono diventate le futuristiche capitali: le San Francisco cinesi.
«Hangzhou è l’unica città al mondo dove ben tre diverse organizzazioni – una startup, un ente governativo e un colosso informatico – sono determinate a offrire modelli di Ia fondativa per il resto del mondo», spiega nel laboratorio che è diventato anche la sua casa, Wang Jian, il padre del Cloud di Alibaba, il colosso digitale cinese rivale di Google e fiore all’occhiello di Hangzhou: «Si tratta di Deepseek (la società che a gennaio ha terremotato la Silicon Valley, presentando un modello aperto di Ia che compete con OpenAi), lo Zhejiang lab (dove oggi lavora Wang) e Alibaba cloud».
«Sedici anni fa nessuno credeva nel potenziale economico del Cloud – racconta – ma io avevo capito che i siti internet non erano solo siti: erano le fondamenta di una nuova economia». Così Wang insistette per radunare oltre diecimila webmaster cinesi in questo fazzoletto di terra stretto tra le colline di Hangzhou, dove il governo locale aveva già tracciato le strade pur in assenza di edifici. «Tenemmo il primo convegno con gli sviluppatori di applicazioni all’aperto, all’incrocio tra più strade, e pregammo che non piovesse», ricorda con nostalgia. Era solo l’inizio. Sul cloud di Alibaba è stata costruita una delle più famose società di videogiochi al mondo, MiHo Yo, da noi conosciuta per il videogioco Genshin Impact. «Tre studenti dell’Università Jiaotong a Shanghai mi chiamarono per lamentarsi del fatto che il mio Cloud non funzionasse bene, ma in realtà avevano problemi con la programmazione del primo videogioco», ricorda con orgoglio Wang che, per aiutarli, prese il primo treno per Shanghai e si ritrovò in una stanzetta in cui l’aria condizionata era un lusso: «Senza Cloud quei tre non avrebbero mai potuto costruire il loro successo», ovvero una società da oltre 5 miliardi di fatturato, entrata a fare parte delle prime 15 società private al mondo.
Ma quei tempi sono già preistoria: oggi Wang, che considera il rapporto tra l’Ia e l’uomo equivalente a quello tra la penna e il cervello, lavora al primo modello fondativo di Ia basato non sul linguaggio ma sui dati scientifici. «I dati sviluppati negli ultimi 100 anni per capire il mondo devono entrare a fare parte dell’Ia», dice, «uno strumento che tra dieci anni daremo per scontato, e che porterà alla portata di tutti la capacità di scoperta di cose nuove e la soluzione di nuovi problemi».
«L’intelligenza artificiale, in quanto tecnologia strategica alla guida della nuova rivoluzione scientifica e tecnologica e della trasformazione industriale, sta profondamente cambiando il lavoro e la vita delle persone», ha dichiarato il presidente cinese Xi Jinping lo scorso aprile: «Il governo attribuisce grande importanza allo sviluppo dell’Ia», ha aggiunto, sottolineando lo sforzo attualmente chiesto agli scienziati cinesi.
Questo impegno si riflette nei numeri reali. Nel 2023, la crescita della spesa cinese in ricerca e sviluppo ha raggiunto l’8,7 per cento, superando quella degli Usa (1,7 per cento) e della Ue (1,6 per cento), secondo i dati Ocse: un aumento che sta portando a una veloce riduzione del divario tra i rivali. Al netto della parità di potere d’acquisto, la spesa cinese in ricerca e sviluppo nel 2023 ha raggiunto il 96 per cento del livello statunitense, in aumento rispetto al 72 per cento di dieci anni prima. La Luna è molto vicina.
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