Innovazione
25 settembre, 2025Presto che è tardi. La Nasa gioca d’astuzia e coglie tutti di sorpresa annunciando che il primo volo abitato, destinato a percorrere l’orbita lunare, partirà già a febbraio 2026. La Luna non è più soltanto poesia e crateri. È tornata a essere scacchiera geopolitica su cui Stati Uniti e la Cina si contendono la mossa che cambia la partita.
Si riaccendono i razzi per la corsa alla Luna e la Nasa anticipa a sorpresa la prima finestra di lancio per Artemis II, fissandola al 5 febbraio 2026. La missione Artemis nasce per riportare l’uomo – e la donna – sulla Luna. Fra vari stop and go, Artemis II sarebbe dovuta partire nel 2024, poi rimandata al 2027, adesso anticipata a febbraio del prossimo anno. Sembrano dettagli da poco ma non lo sono, se letti nell’ottica della gara “a chi arriva primo” che la Cina ha ingaggiato con gli Stati Uniti, che non vuole arrivare seconda.
La Nasa schiaccia sull’acceleratore con Washington che vuole riaffermare la leadership nel “deep Space”, mentre Pechino stringe i bulloni del proprio programma di allunaggio. E qui c’è il primo dato da rilevare: Artemis II non porterà gli astronauti sulla Luna, non ancora, perché si tratta di una missione di volo in orbita Lunare, quindi intorno al satellite.
Un volo “di prova” in vista della missione Artemis III che invece è programmata per rimettere il piede sulla regolite, il suolo lunare. Bisogna affrettarsi con i check per poter puntare dritti e sicuri all’obiettivo. Una virata netta rispetto alla retorica degli scorsi anni: messi in sordina i claim identitari – “la prima donna”, “la prima persona di colore sulla Luna” – l’Agenzia si è concentrata sul collaudo dei sistemi per evitare i problemi, come lo scudo termico di Orion registrato al rientro di Artemis I, era il novembre 2022. La priorità, insiste Houston, è la sicurezza.
E la cornice politica non è un dettaglio. La Cina è li è che corre: ha completato i test di decollo e atterraggio del lander Lanyue, che dovrebbe portare due astronauti a mettere la bandierina sul polo sud lunare entro il 2030. Perché è lì, tra ombre perenni e possibili riserve di ghiaccio, che si giocherà la partita delle risorse: acqua da scindere in ossigeno e idrogeno, carburante e materiali per costruire le basi permanenti della colonizzazione umana. E allora la Nasa rilancia: Blue Origin è già pronto per condurre il rover Viper - entro fine 2027 – utile a mappare le caratteristiche del polo sud lunare.
Artemis II viene prima di tutto, ora. Si preparino dunque gli astronauti che comporranno la crew: Reid Wiseman, comandante, Victor Glover, che della missione sarà il pilota, e i due mission specialist, Christina Koch e il canadese Jeremy Hansen. Con buona pace degli europei che erano pronti per la convocazione, e forse si consolano pensando “allora mi chiameranno per andare sulla Luna”. Speriamo. Intanto guardiamo ai nuovi quattro astronauti che, dopo decine di anni, saranno i primi a solcare il limite invisibile dello Spazio profondo a bordo della Orion “Integrity”. Il nome lo hanno scelto i componenti dell’equipaggio per celebrare il lavoro integrato di migliaia di persone che lavorano al successo della missione.
Durerà in tutto dieci giorni, Artemis II: la navicella Orion sarà sganciata dal lanciatore e comincerà il suo “balletto nello Spazio”. Due orbite intorno alla Terra, e poi gli astronauti guideranno la capsula “in manuale” per verificarne la facilità di manovra in vista di attracchi futuri, che siano alla stazione Gateway o al lander lunare. Per i poco attenti, diremo che né Gateway né lander sono ancora “al loro posto nello spazio”, quindi si tratterà di simulazioni in vista di sviluppi futuri. Siamo in ritardo, ma lo abbiamo già detto.
Poi sarà la volta dei test di comunicazioni di navigazione con il Deep Space Network, perché i sistemi di comunicazione GPS e TDRS sono forti e potenti, ma ci sono dei coni d’ombra che potrebbero rendere complesse le comunicazioni con lo “Space control” a Terra. Superata la checklist si passerà al “translunar injection”: una spinta del modulo di servizio rimetterà la prua di Orion in rotta verso la Luna, lungo una traiettoria a ritorno libero. Orion si spingerà 4.700 miglia oltre il lato nascosto, quasi 400 mila chilometri dalla Terra. E poi la gravità farà il suo lavoro, riportando naturalmente la capsula verso casa per l’ammaraggio nel Pacifico, al largo di San Diego, frenata dai paracadute.
Artemis II è quindi la prova generale dello Show, ma senza l’orchestra. Artemis III è deputata a riconquistare la Luna, obiettivo Polo Sud. Ma la strategia della Nasa risulta forse un po' barocca, se confrontata con l’approccio cinese. L’architettura della missione americana, infatti, prevede che l’equipaggio non scenda con Orion, perchè il trasferimento avverrà in orbita lunare su Starship-HLS di SpaceX, una versione senza scudo termico del gigantesco veicolo da 122 metri con booster Super Heavy. Bello eh, ma ancora da perfezionare, fra test finiti in esplosioni e l’incognita del rifornimento in orbita – necessario a caricare il propellente per l’allunaggio – che non è mai stato eseguito. Dalle retrovie l’ex amministratore Nasa, Jim Bridenstine, fa notare che la dipendenza dall’HLS di SpaceX potrebbe trasformarsi nel tallone d’Achille della missione, e incidere pesantemente sul calendario dello sbarco lunare. Si sta pensando forse ad un “piano B” che utilizzi un lander più semplice e risolva il problema del rifornimento in orbita, realizzabile in cinque anni. In quest’ottica la Nasa ha già ridotto da 13 a 9 i siti candidati per l’allunaggio di Artemis III nella regione australe lunare, e la scelta finale dipenderà anche dall’allineamento Terra-Luna alla data reale di lancio.
Intanto i ritardi hanno già morso almeno tre volte la coda di Artemis II. La missione sarebbe dovuta partire nel novembre 2024. I problemi a Orion – scudo termico e procedure di sicurezza connesse, oltre a elementi del supporto vitale – hanno imposto rinvii a catena. Oggi la Nasa parla chiaro: tra febbraio e aprile 2026 esistono cinque finestre utili, l’ultima attorno al 26 aprile. Ma la volontà è tentare già a inizio febbraio, se la campagna di test darà tutte le garanzie.
Sul tavolo resta la sfida con la Cina. Pechino avanza secondo un copione serrato e non è un mistero che a Washington si tema un sorpasso storico sul traguardo dell’allunaggio. Non è solo questione di prestigio: chi metterà per primo una presenza stabile al polo sud detterà standard, rotte logistiche, catene del valore di un’economia tra Terra e Luna che si prospetta fiorente.
Per questo Artemis II vale molto più del suo profilo “di prova”: è la cartina di tornasole della credibilità americana nello Spazio profondo. Tutto questo ci fa ripensare all’epopea di Apollo 8, ma con un lessico tecnologico e politico tutto nuovo. Da quella traiettoria a ritorno libero, l’America spera di riemergere con la libertà di scelta più importante: decidere tempi e modi del prossimo allunaggio. Perché la Luna non è un punto d’arrivo: è una piattaforma, su cui si sta già giocando la partita del secolo.
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