Italico pallone
Fenomeno nostalgico
Chiedo scusa al lettore e alla lettrice (non per dire: immagino siano un paio in tutto) se torno sul tema a me molto caro dell’immaginario fascista che permea il calcio italiano di vertice. Un paio di settimane fa - come da giudizio successivo a questo - mi sono occupato della lite tra Ibrahimovic e Lukaku, guadagnandomi una quantità di insulti milanisti sui social paragonabile al numero di virologi attualmente ospiti delle varie tv, i quali, se messi uno accanto all’altro, cingerebbero l’intero equatore. Per due giri completi. Tra i miei hater, un tizio si vantava di essere stato bloccato dall’attuale presidente della Federcalcio, Gravina, già conducator del Castel Di Sangro, come da immortale libro - oggi introvabile - del premio Pulitzer Joe McGinniss che ne ritraeva le prodezze con occhio non proprio benevolo. A riprova, il mio contestatore pubblicava lo screenshot del profilo Twitter di Gravina - ora cancellato - nel quale campeggiava una frase nientemeno che di Italo Balbo: «Chi vola vale, chi non vola è un vile», alla quale Gravina sosteneva di aver ispirato i trionfi della sua società sportiva. Non credo troppo alle coincidenze, ma d’un tratto, diciamo, i numeri in fascio-font imposti a tutte le squadre della serie A, il logo della Lega di chiara ispirazione littoria, i natali del campionato spostati nel 1931 dopo che se ne erano correttamente festeggiati i 60 anni nel 1996, la serie B che si proclama «campionato degli italiani» (del resto si gioca al sabato) e il suo presidente Abodi in odor di candidatura per Roma in quota Destra, mi sono parsi meno sparuti, come episodi.
Finché non mi è giunta la copertina del mensile “L’arbitro”, organo ufficiale dell’Aia, sulla quale, per festeggiare i 110 anni dell’associazione, campeggiava un trittico tricolore di fischietti la cui silhouette non avrebbe sfigurato al Foro Mussolini. Che oggi si chiama “Italico”, ma presso il quale troneggia tuttora un obelisco istoriato col nome del crapone sotto il quale, peraltro, si fece fotografare trionfante un giornalista di Raisport il cui padre curiosamente faceva il presidente del Coni e non il lattoniere-tapparellista. Si tratta con ogni evenienza di episodi che solo la mia malafede satirica collega in una linea retta, maschia, imperiale. Che però vi prego di ricordare quando gli spalti torneranno il palco del livore organizzato, e qualcuno dagli uffici di chi comanda parlerà di episodi isolati e comminerà qualche multa ridicola. Salvo poi, come da copione del Ventennio, tirare diritto.
Giudizio: A loro!
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Luca Bottura
Tizio che sbaglia
Due settimane fa avevo parlato della brutta lite tra Romero Lukaku e Zlatan Ibrahimovic nel derby di Coppa Italia. All’epoca erano disponibili diversi video nei quali Ibrahimovic dava della scimmia (monkey) all’avversario, salvo poi correggersi in asino (donkey). O almeno così pareva, perché successivamente lo stesso Lukaku ha escluso ogni intento razzista da parte dell’avversario. Siccome avevo invitato Ibra a scusarsi per quel che aveva detto, dato che scusarsi è tipico di chi commette un errore magari in buonafede, prendo atto che la realtà è diversa da come pareva fosse, dunque che le mie premesse erano sbagliate, e mi scuso io. Perché, appunto, come sopra.
Giudizio: Come sopra.