L'Australia in fiamme. La neve in Sicilia. Gelate nel deserto. Tifoni spaventosi nel Sud-est asiatico. Sono i picchi di un meteo folle. Ma una spiegazione c'è. Eccola

Piove da mesi. Nevica in Sicilia. E persino in Alto Adige dicono che tanta neve non si vedeva da decenni. Non solo: il 9 gennaio è stato battuto il record italiano di freddo: il meno 34,6 registrato nel 1971 sul Plateau Rosa è stato polverizzato dal meno 43,8 registrato sulle Pale di San Martino. Così molti si sono chiesti: ma che razza di riscaldamento globale è mai questo? E qualcuno si è persino spinto a dire che la neve a Messina è la lampante dimostrazione che i profeti dell'effetto serra avevano torto marcio. Ebbene no. Anzi, sbaglia di grosso chi pensa di sfruttare l'inondazione a Roma e il gelo in Puglia per dichiare obsoleta ogni richiesta di abbattere le emissioni di anidride carbonica e degli altri gas che devastano il clima. Perché un'inverno come questo, registrato in contemporanea con la siccità record in Argentina, gli uragani mai visti sull'Atlantico, e i cinquanta gradi in Australia dimostra, ancora una volta, che qualcosa di terribile sta succedendo là fuori. Qualcosa che ha reso imprevedibile il clima, che ha scompigliato le curve, ha generato picchi nel tempo che fa. E, in fondo, ci ha reso molto molto più vulnerabili.

Lo stupore oggi, in Italia, nasce dal ritrovarci nel mezzo di un tipo di inverno a cui ci eravamo disabituati. "Un inverno così è stato raro negli ultimi 15 anni", spiega Stefano Tibaldi, meteorologo di fama internazionale, per 13 anni in forza al Met-Office britannico e ora direttore dell'Agenzia ambientale dell'Emilia Romagna: "Ma l'anomalia di quest'anno rientra in una normale variabilità naturale del clima". Anzi, non illudiamoci: il tempo di quest'anno non segna una svolta duratura. E non cambia di una virgola le previsioni a lungo termine dei climatologi, per i quali le bizze atmosferiche non sono che irrilevanti scostamenti di curve che puntano sempre verso un innalzamento della temperatura globale del pianeta. E infatti, a dispetto delle intemperanze del meteo che ci fanno sentire freddo a Messina e caldo insopportabile a Buenos Aires, il 2008 è stato il decimo anno più caldo dal 1880 a oggi. "La tendenza verso un riscaldamento globale prosegue inesorabile, a causa dell'aumento di anidride carbonica che l'uomo emette in atmosfera", ribadisce Vicky Pope, responsabile della Divisione Cambiamento climatico del Servizio meteorologico britannico: "Il fatto che un anno faccia un inverno un po' più fresco non cambia nulla".

Perché i climatologi guardano col telescopio i disastri a venire nei prossimi decenni, e un po' si irritano se qualcuno chiede cosa accadrà nel breve periodo. Così sembra impossibile avere previsioni adeguate a gittata anche di 3-6 mesi. "Compito difficile ma affascinante", spiega Antonio Navarra, responsabile del Centro euro-mediterraneo per i cambiamenti climatici di Lecce: "Sapendo che è possibile conoscere lo sviluppo delle temperature degli oceani da qui a tre mesi, si tratta di trasporre l'evoluzione di queste temperature - che dipendono da fenomeni come la corrente calda El Nino nel Pacifico - alle temperature dell'atmosfera. Purtroppo è più facile prevedere che tempo farà fra tre mesi ai Tropici che in Europa, l'area in assoluto più imprevedibile".

Non stupisce quindi che i responsi meteo delle varie organizzazioni che ipotizzano i Long Range Forecasting possano risultare anche contrapposti. E così, mentre la Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration) statunitense prevede per l'Italia e parte dell'Europa meridionale un'estate più fresca e umida della media stagionale, la Iri (International Research Institute for Climate and Society), che mette insieme diversi modelli, prevede caldo e poche piogge. Entrambe, comunque, registrano eventi fuori norma. Paradossalmente non sono d'accordo se siano fuori norma nel senso del caldo-secco, o nel senso del freddo-umido.

Le difficoltà di prevedere che tempo farà a media gittata obbligano i meteorologi a capire come evitare che le bizzarrie del clima si trasformino in guai per gli uomini. "Il cosiddetto riscaldamento globale", spiega Tibaldi, "significa aumento degli eventi meteorologici estremi, come uragani, ondate di calore, siccità prolungate alternate a piogge torrenziali, frane e alluvioni. Per questo, anche alle nostre latitudini la sfida dei servizi meteorologici è quella di saper prevedere a uno o più giorni di distanza non solo dove pioverà, ma anche quanto, in modo da poter prevenire il più possibile frane e alluvioni".

Insomma, bisogna attezzarsi a governare l'emergenza anche con un breve anticipo, visto che l'unica certezza che ci danno i modelli è che non ci sono certezze. Sottoposta a un'energia termica crescente, la macchina climatica si comporta in modo sempre meno prevedibile, con l'effetto di aumentare sia l'altalena del tempo durante l'anno, sia fra un anno e quello successivo. "Così piove sempre meno d'estate e sempre più in inverno, passando dalla siccità agli allagamenti, con il suolo che non riesce neppure ad assorbire le precipitazioni violente e improvvise", continua Tibaldi: "E anche fra un anno e l'altro le differenze possono essere enormi, mettendo in crisi interi ecosistemi".

Ma, in fondo, le montagne russe del clima planetario, raccontano proprio che prosegue, inesorabile, la deriva verso un mondo più caldo e turbolento. "I modelli prevedono temperature sempre più elevate nei paesi più settentrionali, come la Siberia e l'Artico, e aumenti di temperatura meno marcati sull'area mediterranea", spiega Antonio Navarra, che a Lecce con due nuovi supercomputer sta mettendo a punto modelli per simulare quella che sarà la variabilità climatica dell'area mediterranea nei prossimi decenni: "Anche le piogge dovrebbero intensificarsi ancora di più a Nord e diminuire di frequenza, ma probabilmente aumentare di intensità, alle nostre latitudini".

La strada sembra segnata, e gli esperti concordano che l'unica cosa che si può davvero prevedere è che torneranno gli eventi estremi, con migliaia di morti e costi inattesi. Il Programma ambientale delle Nazioni Unite ha calcolato che il 2008 è costato in termini di disastri climatici il doppio del 2007: 200 miliardi di dollari. "I cambiamenti climatici in atto hanno costi enormi", spiega Francesco Bosello, economista ambientale della Fondazione Enrico Mattei. L'ultimo rapporto dell'Ipcc ha stimato che per un aumento di temperatura da qui a fine secolo di 4 gradi, ci sarebbe una perdita di prodotto interno lordo mondiale dal 1 al 5 per cento. Una cifra enorme, che, commenta l'economista: "dovrebbe stimolare da subito fortissimi investimenti in termini di prevenzione e adattamento a questi cambiamenti".

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