Il bilancio del primo semestre 2015 fotografa un gruppo in ascesa, ma è ancora molto indietro rispetto ai concorrenti globali. Che investono in innovazione, ricerca e sviluppo

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Vola negli Stati Uniti. Corre in Europa. È tornata a produrre a pieno ritmo a Melfi e riacceso la fabbrica di Cassino, dove a fine anno sfornerà la nuova Giulia, la berlina che segnerà il ritorno dell’Alfa Romeo. Di questi tempi in casa Fiat-Chrysler le buone notizie superano di gran lunga le cattive, che pure non mancano, dalla frenata del cruciale mercato brasiliano al rallentamento della Maserati. E così il bilancio del primo semestre 2015 fotografa un gruppo in piena corsa. Le auto consegnate sono 2,2 milioni, così come un anno prima, ma il giro d’affari è cresciuto del 22 per cento e i profitti del 75, segno che l’azienda guidata da Sergio Marchionne attira clienti disposti a pagare di più per acquistare le sue automobili. Tutto bene, dunque?

Ai Senatori della Commissione Industria, che si sono riuniti in pieno luglio per studiare come dare fiato all’intera filiera dell’auto (risultato dell’analisi: incentivare l’insediamento in Italia di produttori stranieri), il dubbio che i guai della casa torinese non siano tutti alle spalle è venuto ascoltando la relazione di Fulvio Coltorti, direttore emerito dell’Area Studi di Mediobanca. Se si guardano i grafici, si nota come Fiat-Chrysler Automobiles (Fca) si muova, dal puntodi vista finanziario, da condizioni di partenza molto più deboli rispetto ai concorrenti. I capitali che ha investito provengono in gran parte da debiti, mentre gli azionisti delle case giapponesi e coreane hanno dotato le loro aziende di un patrimonio molto più consistente. E ancora: Nissan, Honda, Hyundai e Toyota capeggiano la classifica di chi ha investito i capitali a disposizione soprattutto in “attivi produttivi”, e cioè fabbriche, macchinari, magazzini. Fca è invece l’ultima della fila, essendo proporzionalmente più sbilanciata su altri due fronti.
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L’acquisizione di Chrysler le ha lasciato un elevato avviamento da ammortizzare, come in gergo vengono definiti in bilancio i costi pagati e non ancora recuperati dai margini della gestione. In più, ha in cassa tanta liquidità. Potrebbe sembrare un fattore positivo, in realtà non lo è. I quattrini cash, non investiti nella produzione, servono infatti a garantire i creditori sul fatto che in futuro il gruppo potrà rimborsare i propri debiti. Ma rendono poco. Confrontando i bilanci dei vari concorrenti, si può vedere infatti che i profitti più elevati sono generati dagli investimenti produttivi; e fare profitti elevati è un’esigenza primaria, perché solo chi può spendere nello sviluppo può far fronte alla sfida che si combatte sui mercati internazionali.

Anche qui Fiat non eccelle: grazie al rinnovo delle linee produttive e alla nuova fabbrica brasiliana di Pernambuco ha recuperato terreno su uno dei parametri, gli investimenti per addetto, dov’è al livello di Toyota, Nissan, Honda, e batte Volkswagen, Renault, Peugeot-Citroën (Psa). Ma è ancora in fondo alla classifica per il livello delle spese in ricerca e sviluppo, il fronte più caldo dell’innovazione. È questo, ha spiegato Coltorti, ciò di cui potrebbe occuparsi il governo, se volesse dare un futuro all’intero settore della componentistica auto, che esporta molto più della sola Fiat. Di qui l’idea lanciata in Senato: utilizzare il sito dell’Expo di Milano per dar vita a un centro ricerche dove le aziende del settore possano rivolgersi per migliorare i loro prodotti, favorendo l’innovazione dal basso, sul modello del Fraunhofer-Gesellschaft tedesco.

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