Il dibattito sul ddl Cirinnà allarga il fronte di quella che potrebbe sembrare una battaglia della destra, esclusiva di Gasparri e del prossimo raduno contro le unioni gay. Lo spettro dell’utero in affitto, agitato anche dai cattolici del Pd, è però un tema caro a pezzi del femminismo e della sinistra

Certo Carlo Giovanardi e Mario Adinolfi sono in prima linea, e così le sentinelle in piedi che hanno già iniziato una staffetta di preghiera continua contro il dl Cirinnà, sul modello dei digiuni radicali. Sì, è Angelino Alfano che chiede pene più severe per chi ricorre alla pratica della gestazione per altri (ed è Emma Bonino a ricordargli come sia già reato in Italia, punito fino a due anni di reclusione).

Il ritorno del family day però, è accompagnato questa volta da un fronte più largo che sta chiedendo la modifica di un articolo della legge Cirinnà sulle unioni civili, che il 26 gennaio arriva alla prova dell’aula del Senato. Non tutti si ritroveranno nella piazza di fine gennaio - su cui ancora non è arrivato il patrocinio della Cei - perché nel Pd, ad esempio, non c’è più nessuno che si dica contrario all’intera legge sulle unioni. È però il capitolo adozioni ad allargare il fronte teocon per come lo abbiamo sempre conosciuto, da Binetti a Formigoni.La leva usata per attaccare il dl Cirinnà è infatti quella di indicare dietro il meccanismo della stepchild adoption, dell’adozione del figlio del partner, una “legalizzazione” di fatto della maternità surrogata. Monica Cirinnà, che difende il suo testo e scommette che gli oppositori non otterranno alcuna modifica (e questo nonostante Alfano sia tornato a parlare di un «possibile effetto valanga», perché «le unioni civili non fanno parte del programma di governo»), ricorda che l’utero in affitto è vietato dalla legge 40, ma sono proprio suoi colleghi di partito a accusarla di ipocrisia.

La senatrice Emma Fattorini, ad esempio, da giorni ripete che «il ricorso all’utero in affitto non deve essere il pretesto per boicottare la legge sulle unioni», ma che «sarebbe un’ipocrisia non riconoscere che a quella pratica devono ricorrere le coppie di maschi omosessuali per generare». A poco serve che Cirinnà dica che la gestazione per altri è in minima parte una pratica a cui ricorrono coppie gay, e che invece è pratica prevalentemente eterosessuale: «Noi siamo contenti di approvare finalmente la legge sulle unioni gay», dice un’altra senatrice dem, Rosa Maria Di Giorgi, renzianissima, per scollarsi di dosso l’accusa di omofobia, «non siamo noi a non voler riconoscere diritti di coppia agli omosessuali: il nostro tema è l’utero in affitto, ed è un tema generale».

Potremmo però ancora essere nel pieno della questione cattolica, che attraversa come di consueto anche il Pd con le sue varie anime. Ma che sia un tema caro non solo ai cattolici, la gestazione per altri, lo aveva già dimostrato l’appello lanciato da un troncone di quello che fu il movimento di Se non ora quando. L’appello di Snoq-Libere contro l’«utero in affitto» - chiamato così proprio per sottolinearne gli aspetti critici - ha già fotografato come l’agitazione che sta caratterizzando il quadro politico in vista del dibattito in Senato sulla legge Cirinnà per le unioni civili, non è solo una questione cattolica. Lo è, sì, ma non soltanto.

E se nel Pd arriva anche una richiesta di espulsione per l’eurodeputato Silvia Costa (accusata dall’esponente dem, Cristiana Alicata, per aver usato l’espressione «lobby gay»), la questione è dunque più complessa di come la vorrebbe ridurre anche l’ex Pd Paola Binetti, protagonista di precedenti Family Day. Secondo la deputata di Area popolare (il gruppo composto da alfaniani e l’Udc) quello di queste ore non sarebbe «solo un confronto dialettico tra Pd e Ncd», ma tra il Pd, «sempre più a sinistra», «e quel che resta dell'antica tradizione culturale della Democrazia cristiana». Una questione cattolica, che però è rifiutata dalle sue sponde nel Partito democratico: «Non è una questione tra cattolici e laici», ha scritto la dem Fattorini, «non è una questione tra destra e sinistra».

I nomi che hanno firmato l’appello di un pezzo del femminismo sembrerebbero dar ragione a Fattorini. Ma poi nel Pd c’è chi nota come l’obiettivo finale della battaglia di Di Giorgi, Fattorini e degli altri dem che chiedono la modifica sulle adozioni, sia il mancato riconoscimento delle famiglie omosessuali, battaglia tipica della Cei. Le coppie sì (che è sempre più di quanto non sia disposto a riconoscere Giovanardi) ma famiglie no, e quindi niente matrimonio, e niente figli - che si possono condividere al massimo in affido. È come se il problema fosse il certificato anagrafico dei minori: non devono comparire due genitori dello stesso sesso. Ed è proprio questa, infatti, la mediazione che stanno tentando in queste ore, ed è la mediazione che - ad esempio - il dem Giorgio Tonini offre ad Alfano: «Considero interessante la soluzione dell'affido al posto della stepchild adoption. Una strada del genere può essere percorsa solo se allarga il consenso sul testo».

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