Il premier si prepara a spendere ogni possibile carta in vista della consultazione del 4 dicembre. Va in Tv, sfida D'Alema e Zagrebelsky, e mentre si accende la macchina della propaganda, dalla manovra vuole un colpo come gli 80 euro per le Europee

Si è preso tutto il tempo possibile, fino al 4 dicembre, per recuperare il vantaggio che oggi, per il momento, i sondaggi assegnano al no. Ma Matteo Renzi non è preoccupato, sa che gli stessi sondaggi fotografano una maggioranza di indecisi e sa di potersi sparare ancora un sacco di cartucce vincenti, un po’ come gli 80 euro in busta paga lo sono stati per le ultime Europee, successo elettorale su cui il premier si è poggiato per mesi, dandosi slancio per tenere a bada la minoranza del partito e gli alleati in parlamento.

Stare al governo, insomma, ha i suoi vantaggi, e dalle parti di Renzi non capiscono perché non approfittarne. D’altronde anche il compleanno di Totti è una scusa buona per alleggerire sì, e ricordare però che «Basta un Sì», come twitta il comunicatore dem Francesco Nicodemo, che contando i governi che si sono succeduti dall’esordio in serie A del "Pupone", ricorda nello specifico come, approvata la riforma, solo la Camera darà la fiducia al governo.



Per carità, la campagna referendaria avrà tutta una sua strategia, ci sono da spendere oltre 620mila euro per montare palchi, stampare volantini e affiggere manifesti. Per pagare le sponsorizzazioni sui social network e le spese vive del comitato inaugurato a piazza Santi Apostoli, significativamente la piazza dell’Ulivo della prima vittoria, di Romano Prodi e del suo programma elettorale. Programma che i renziani assicurano di aver ripreso, loro, e che la minoranza Pd dice che invece è stato tradito, che all’epoca l’obiettivo era tutt’altro, e che la riforma di Renzi&Boschi - come dice l’ex dem Pippo Civati, segretario di Possibile - «è quella che il centrodestra ha sempre voluto. Ed è molto più simile a quella che è stata bocciata nel 2006». I soldi arrivano per la gran parte dai rimborsi elettorali, che il Pd si è aggiudicato raccogliendo anche lui le firme, attività generalmente lasciata alle opposizioni, e per 120mila euro dalle donazioni.



Ci sarà spazio per gli slogan, che non vanno per il sottile e puntano, ad esempio, sul tema del taglio delle poltrone: «Basta un Sì per cancellare poltrone e stipendi», è la frase del manifesto arancione che indispone i costituzionalisti del No, come Mauro Volpi. Professore di diritto costituzionale a Perugia, Volpi, «se proprio ai tagli bisogna pensare quando si riforma la Costituzione», ricorda al premier che molto di più si sarebbe risparmiato «se invece di creare un Senato di 100 nominati, si fossero migliorati i regolamenti parlamentari, lasciate le due camere, e diminuiti di un terzo tanto i deputati quanto i senatori». O ancora, «che molto più, e senza bisogno di una legge costituzionale, si sarebbe risparmiato tagliando le indennità di entrambi».

A Volpi risponde il manifesto, che ha un messaggio sicuramente più diretto, e rispondono poi i costituzionalisti del Sì. Tra loro c’è la professoressa Carla Bassu, dell’Università di Sassari, che spiega, ad esempio, come non sia vero che a questo punto era meglio abolire veramente il Senato - critica che arriva dal fronte del No. «Perché, è vero che bisognava superare il bicameralismo perfetto che rende lentissimo il Parlamento: ci sono leggi che negli anni sono state approvate rapidamente, ma il più dei testi si inabissa. Ma si è deciso giustamente di tenere una camera delle autonomie per alcune funzioni e per un compito di riflessione. Che non sia di elezione diretta non deve però scandalizzare: è così in molti Paesi».



Ci sarà spazio, quindi, da qui a dicembre, per accurate e martellanti strategie di comunicazione e per creatività più o meno applicata, come quella in cui si eserciterà Tobia Zevi, dirigente del Pd e consigliere del ministro Gentiloni, che - per dire - vuole percorrere mille chilometri a piedi per il Sì, in giro per l’Italia, toccando tutte le regioni e cercando di volta in volta compagni di viaggio: «Un po’ come Forrest Gump», dice. «Meno male che abbiamo spostato la data al 4 dicembre», ha scherzato con lui Roberto Cociancich, senatore dem e coordinatore del comitato per il Sì, «così almeno non devi farli di corsa». La campagna sarà anche genuina, sì, ma Renzi poi punta molto sulla spinta della manovra.



Siccome svelare le carte non è un problema che lo riguarda, il premier è andato persino in tv a dire cosa ha in mente. La tempistica, la discussione del Def in aula, lo aiuta. Ospite di Del Debbio, su Rete4, si è alzato e - un po’ come Silvio Berlusconi faceva da Bruno Vespa - su una lavagna ha segnato i sogni nel cassetto. La quattordicesima raddoppiata per le minime, l’anticipo pensionistico. Più flessibilità dall’Europa per i migranti.

«L'Italia», dice il premier presentando il Def, «chiederà un indebitamento ulteriore di 0,4 punti percentuali per il sisma e per la gestione dell’immigrazione». Mancava una grande opera, ma l’ha aggiunta dall’assemblea che celebra i 110 anni del gruppo Salini-Impregilo, dicendo che se l’azienda pensa di farcela il governo è pronto a spingere perché il ponte sullo Stretto si faccia: «Se voi siete in grado di portare le carte e sistemare ciò che è fermo da dieci anni», ha detto, «noi lo sblocchiamo». Pronti a «completare il grande progetto di quella che Delrio chiama la Napoli-Palermo, per non chiamarla Ponte sullo Stretto, ma che è di fatto il collegamento tra Napoli e Palermo, in un'operazione che porta centomila posti di lavoro».



Sono le opposizioni a sostenere che anche il Ponte sullo Stretto faccia parte della strategia per il Sì. Leggono così le parole del premier la destra, il Movimento 5 stelle e Sinistra Italiana. In realtà Renzi già in un’altra occasione aveva aperto al Ponte. Già una volta aveva smentito il Renzi del 2010 che da Firenze scriveva: «Vogliamo un Paese che preferisca la banda larga al ponte sullo Stretto». Renzi punta più sull’effetto della manovra e degli argomenti della sua riforma, che sosterrà nella prossima direzione del partito per stanare definitivamente la minoranza dem e poi con un tour in Italia.

Andrà poi spesso direttamente in tv come farà già venerdì su La7 per un confronto con Zagrebelsky moderato da Enrico Mentana. Si sta pensando di organizzare un dibattito anche con Massimo D’Alema, convinti che tra i due non ci sia partita. E infine c’è la Leopolda, appuntamento fisso che cadrà proprio a ridosso del voto, forse il 20 novembre.

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