12 giugno: gli italiani votano in massa i referendum, il Cavaliere si rinchiude per tutto il weekend a Villa Certosa con due ragazze. L'immagine plastica di un premier del tutto indifferente ai problemi e alle richieste di un Paese

Qua crolla tutto... Profetica, Daniela Santanchè, sbigottita, quasi disperata, con l'amico Flavio Briatore che al telefono (intercettato) le racconta dell'ennesimo festino del premier. E già: todo cambia, tutto cambia nella società italiana, tutto crolla nell'Impero berlusconiano. E mentre milioni di italiani, giovani e anziani, no global e suore, domenica 12 giugno si mettono in fila per sbarrare la scheda dei referendum sull'acqua pubblica, sul nucleare, sul legittimo impedimento (alla fine saranno 27 milioni), il quasi settantacinquenne Silvio Berlusconi, il capo del governo, dimostra almeno in questo coerenza di intendimenti.

"Referendum fuorvianti e inutili", aveva annunciato il premier, "io non andrò a votare", la replica in farsa, vent'anni dopo, dell'infausto invito dell'amico Bettino Craxi. Ed eccolo qua, l'uomo che si vantava di essere l'Unto del Popolo, il più votato e il più amato dagli italiani, nella quiete di Villa Certosa, nello stesso angolo che già nel 2009 vide protagonista a sua insaputa l'ex premier ceco Mirek Topolanek. Eccolo nella sua tenuta, tra le palme, le piante, le tombe fenicie e, naturalmente, in compagnia di due giovanissime donne.

Per Papi Silvio sembrano, ancora una volta, "le ore liete del potere". E invece nel Veneto dell'asse Pdl-Lega, nella roccaforte leghista della provincia di Treviso, ad Arcore e a Pontida e nella Sicilia che dieci anni fa gli consegnò il trionfo elettorale il popolo gli volta le spalle. E le immagini di Berlusconi al mare rivelano una verità dura da accettare. Mai il Sultano (ormai lo chiama così anche l'amico Giuliano Ferrara) è apparso così lontano dal Paese che ha avuto l'ambizione di interpretare. Mai così arroccato nel suo bunker. Mai così solo.

Il leader con il sole in tasca ai suoi appare intristito, incupito dalla morte dell'amico di sempre Romano Comincioli, arrivata il giorno dopo i referendum. Inebetito di fronte ai nemici che si stanno moltiplicando. Distratto, svogliato, distante anni luce dalle questioni in agenda, nelle occasioni pubbliche e private, anche le più istituzionali. Ha suscitato imbarazzo, ad esempio, l'ultima visita al Quirinale, per discutere con il presidente della Repubblica di rimpasto di governo e di verifica. All'ordine del giorno c'era anche un primo sondaggio sulla nomina del nuovo governatore di Banca d'Italia che dovrà avvenire di concerto tra il governo e il capo dello Stato. Ma quando Giorgio Napolitano ha provato a sondare le intenzioni del premier sul nome del successore di Mario Draghi la risposta è stata a dir poco disarmante: "Non so, non si rivolga a me, se ne occupa Tremonti". Quasi che il premier non fosse già più lui.

Più o meno la stessa risposta che i ministri e i notabili del Pdl ottengono da molti mesi. E nel vuoto di iniziativa Giulio Tremonti parla da statista sull'equilibrio tra la riforma fiscale e i conti pubblici senza trascurare i toni anti-casta ("Più Alitalia e meno auto blu"). I Responsabili, la stampella su cui il governo si è retto in tutti questi mesi, esplodono in mille pezzi. E, quel che è peggio, dopo la disfatta referendaria, la terza consecutiva dopo il primo e il secondo turno delle amministrative, nel centrodestra non si riesce a trovare un ministro o un intellettuale o almeno un peone che abbia ancora voglia di difendere il Re di Arcore ferito. "A sostituirlo gli farebbero un regalo", impreca il responsabile Mario Pepe.

Ferrara, il consigliere di sempre, ha convocato i direttori dei giornali del centrodestra per invitare il Cav. a cambiare strada e alla fine, al ristorante, ha fischiato lo sciogliete le righe: "Quello che dovevamo dirgli l'abbiamo detto. Ora ognuno se ne può andare per la sua strada". E perfino un fedelissimo come il deputato del Predellino Giorgio Stracquadanio spedisce al Cavaliere una ricetta amara: "Deve nominare Tremonti vicepremier, per vincolarlo. Deve assegnare ad Angelino Alfano i pieni poteri nel Pdl. Deve convocare le primarie per la prossima leadership aperte alla partecipazione di chi ci sta, da Casini a Montezemolo , e se vuole partecipare Fini ben venga. Ma prima di tutto deve fare la cosa più importante: chiamare un prete e convertirsi, promettere di non peccare più, o almeno fare finta. A Berlusconi serve una notte dell'Innominato".

Le voci ufficiali della Chiesa, all'indomani del voto, sono state le più impietose con l'inquilino di Palazzo Chigi. "I cittadini, come dimostrano le vicende elettorali di questa primavera, sanno dare messaggi chiari, diretti e trasversali", ha scritto il Sir, l'agenzia ufficiale della Cei. "Si è messa in moto una vera e propria "macchina delle sberle", alimentata da attese deluse e da una miscela di preoccupazioni e di esigenti indignazioni", ha tuonato il direttore di "Avvenire" Marco Tarquinio: chiaro riferimento ai mesi del bunga bunga, vissuti con crescente sconcerto dal mondo cattolico e dalle gerarchie ecclesiastiche. Ora è arrivata la bacchetta nelle urne, anzi, la sberla.

Il Cavaliere non sembra sentirci, almeno da questo orecchio. E di fronte alla paralisi dell'ex Unto, di fronte alla Bastiglia del 13 giugno, nel Palazzo cresce la voglia di Regicidio. La Lega prepara il raduno di Pontida di domenica 19 e il dibattito parlamentare della settimana prossima. L'elenco delle richieste è interminabile: i ministeri al Nord, la fine dell'intervento militare in Libia, l'allentamento del patto di stabilità per i sindaci virtuosi, per placare la furia dei primi cittadini leghisti. Qualcuno si spinge a chiedere lo spacchettamento del ministero dell'Economia e il ritorno dei ministeri del Tesoro e delle Finanze: con una delle due poltrone da destinare al regista delle politiche economiche del Carroccio Giancarlo Giorgetti. E non è finita qui: "Alla Camera Berlusconi deve presentarsi con un progetto di riforma fiscale e con una novità che riguarda se stesso: annunciare che alle prossime elezioni non si candiderà più a Palazzo Chigi. Altrimenti lo buttiamo giù", minaccia un deputato leghista vicino a Roberto Maroni.

Ma tra le truppe di Umberto Bossi si naviga a vista. Un po' perché la Lega, quanto Berlusconi, è uscita stordita dal doppio ceffone amministrative-referendum. Un po' perché un regicidio che veda come unica vittima il premier non si può fare: sarebbe un doppio regicidio, l'eliminazione di Re Silvio e di Re Umberto. Difficile far fuori Berlusconi senza chiudere anche con l'era di Bossi. "E il Capo non può permettersi di mollare: sta lavorando per una successione dinastica, considera la Lega come una cosa sua e vuole lasciare la ditta al figlio Renzo, il Trota", spiegano le gole profonde padane. "Maroni e Calderoli, però, non sono d'accordo, ognuno gioca la sua partita".

Il guaio è che più i giorni passano più l'idea del regicidio si fa largo anche a corte, nel Pdl, che eresia. Bastava vedere il giorno dopo il successo referendario la fila di deputati azzurri che omaggiavano su un divanetto di Montecitorio il vincitore, Antonio Di Pietro. Il più lesto a baciare la pantofola di Tonino, il sottosegretario Roberto Rosso, un Tarzan della poltrona, in soli tre mesi berlusconiano, finiano e poi di nuovo berlusconiano con posto al governo: "Congratulazioni, sei stato bravissimo", e già, non si sa mai. Si muove un pezzo da novanta come il governatore lombardo Roberto Formigoni, ansioso di giocarsi finalmente la partita della leadership nazionale, sul fronte siciliano risponde Gianfranco Miccichè, con un partito sudista che cannibalizza i Responsabili alla Camera.

Nell'Italia centrale c'è la governatrice Renata Polverini, orgogliosamente appartenente al popolo dei 27 milioni di votanti, in sintonia con il sindaco Gianni Alemanno. E i gruppi e gruppuscoli che fanno riferimento all'ex ministro Claudio Scajola, una mina vagante che nessuno nel Pdl ha provato a fermare e che ora rischia di deflagrare nel momento peggiore. Tutte le mosse che gli adulatori del Cavaliere avevano ritenuto geniali negli ultimi mesi ora si tramutano nel contrario. Passa l'avvocato Maurizio Paniz, il deputato che fece certificare dalla Camera la versione di Berlusconi su Ruby nipotina di Mubarak, e un suo collega del Pdl sbotta: "Quanti voti ci ha fatto perdere questo? E i Responsabili, quanti voti ci hanno cancellato? Accattoni della politica". Dal gruppo parlamentare più famelico del mondo arriva il boato dell'ennesima rissa, tra un certo Sardelli e l'ex finiano Silvano Moffa. Litigano per chi fa il capogruppo: "Tutti e due ci tengono ad andare al Quirinale con l'abito scuro, per le consultazioni".

Ma le consultazioni al Colle si fanno solo in caso di crisi. E non è affatto sicuro che alla fine la crisi di governo si apra davvero nelle prossime settimane. Il vento di primavera regala l'ultimo paradosso: Berlusconi, il leader della volontà popolare che considerava una sua apparizione in Parlamento una semplice perdita di tempo, non ha più la maggioranza nel Paese ed è costretto a blindarsi nel Palazzo. Da profeta del populismo anti-politico si è trasformato in un emulo dell'andreottismo del tirare a campare, costretto a inseguire il minimo spostamento del Transatlantico. Ma perché il regicidio vada davvero a destinazione servirebbe un complotto ben organizzato e un capo della congiura e nessuno vuole assumersi la responsabilità di infliggere la prima pugnalata.

Meno che mai un aiuto può arrivare dalle opposizioni: la mancata spallata del 14 dicembre ha fatto scuola, "ora vediamo come andrà a finire in casa loro", avverte Di Pietro, d'accordo con Pier Luigi Bersani. E così si fa largo l'idea del regicidio strisciante, al rallentatore, destinato a tenere in piedi il governo almeno fino al 2012, quando si potrà tornare a votare.

A meno che non sia il Cavaliere ferito a rovesciare il tavolo nel discorso davanti alle Camere. Un colpo di teatro, come lo scongiurano di fare i più barricaderi dei suoi consiglieri. Ma è ancora in grado di produrre uno scatto di orgoglio il Sultano stanco e deluso, assediato da un Paese che vuole voltare pagina? L'Imperatore è arrivato al viale del tramonto. E se non lo capisce, ha ragione la Santanchè, crolla tutto.

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Il rebus della Chiesa - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso