
In molti hanno dimenticato che Off Side, l'indagine meglio conosciuta come Calciopoli, era stata condotta da due magistrati della direzione distrettuale antimafia di Napoli che stavano indagando sulle attività della famiglia Giuliano, da sempre vicina al mondo del calcio (basti pensare alle foto al matrimonio di Maradona) o, per essere più precisi, del totonero. E fu proprio di totonero che parlò con loro don Luigino Giuliano, ex padrino di Forcella. In particolare delle attività di due personaggi: Giacomo Cavalcanti, detto 'O Poeta' (sua la memorabile 'la rondine non lascia la terra') e Antonio Di Dio, 51 anni, ex dipendente del Banco di Napoli, ex Forza Italia. "I due", scrivono i magistrati della Dda napoletana, "avevano messo in piedi una complessa e capillare organizzazione finalizzata al sistematico condizionamento delle partite di calcio".
Era l'aprile del 2004 e l'inchiesta era arrivata a un bivio. Da una parte, andavano approfonditi i legami tra calcio e camorra, dall'altra bisognava fare chiarezza su un paio di strane telefonate intercettate quasi casualmente. Furono proprio queste telefonate (si parlava di un "uomo nero" e dell'ormai tristemente nota "combriccola romana") a condurre gli inquirenti alle porte di Calciopoli. Nei progetti, le due inchieste avrebbero dovuto 'ricongiungersi' una volta fatta chiarezza nel mondo del calcio, ma un'improvvisa fuga di notizie alla vigilia di importanti provvedimenti, nel famoso maggio del 2006, azzerò tutto.
E così, il faldone originario 'calcio e camorra' rimase inesplorato. Fino ad oggi, almeno. Perché da quasi un mese, sono nel carcere di Potenza una decina di persone che potrebbero contribuire, con i vari racconti, a riscrivere importanti passaggi della recente, se non addirittura attuale, storia del calcio italiano.
Tra di loro c'è il giovanissimo presidente del Potenza Calcio, Giuseppe Postiglione, un dirigente di calcio di lungo corso, Luca Evangelisti (detto 'Capa di bomba', ora ai domiciliari) e un camorrista, Antonio Cossidente, potentino di nascita e campano (di Nola) di domicilio e clan. In molti lo considerano quasi un punto di contatto tra l'ex clan dei Basilischi e la camorra. Sono tutti accusati di aver truccato partite dei campionati di serie A, B e C negli ultimi due anni.
L'impressione è che il gruppo Postiglione-Cossidente fosse solo un minuscolo satellite di una galassia molto più vasta. "Quello che si intravede all'orizzonte", racconta uno degli investigatori, "sembra l'anello mancante di Calciopoli: lì si avvicinavano gli arbitri, aggiustavano i risultati per fare vincere quella o questa squadra. Nel nostro quadro spunta un terzo elemento: si pilotavano i risultati, in modo tale da poterci scommettere e vincere. Sotto il controllo della camorra".
Il personaggio chiave è Postiglione. Ventisette anni, flamboyant, una volta riuscì a vincere addirittura un premio fair play. Giovane ma non sprovveduto, Postiglione ha ottime conoscenze, come documentano le intercettazioni telefoniche.
È il 3 novembre del 2007 quando parla a lungo con Angelo Fabiani, da sempre considerato braccio destro di Luciano Moggi e uomo chiave di Calciopoli. Postiglione cerca "concentrazione per la sua squadra in vista della partita", pare di capire. Ma in realtà altro non faceva che vendere o comprare le gare del suo Potenza (serie C). Succede a Salerno, quando per perdere manda in campo la squadra Primavera. E succede a Gallipoli, dove per vincere organizza una spedizione punitiva contro i giocatori della squadra avversaria.

I due si stringono la mano e immediatamente le cose si mettono bene. Aveva ragione Cossidente. Il business è ottimo, le soffiate si moltiplicano e diventano sistema. Ma per quanto redditizio, quello di Postiglione-Cossidente-Capa di Bomba (il direttore sportivo Evangelisti) è comunque un sistema, locale, da b movie. E tale rimane fino al 2008, quando c'è il salto di qualità. Ed è proprio su questo salto di livello che gli investigatori stanno puntando ora.
Siamo ad aprile 2008 e lo scenario si sposta di quasi 400 chilometri. A Roma per l'esattezza dove, adesso, la parte più importante dell'inchiesta di Potenza rischia di arrivare per competenza. Qui c'è il Coni, la Figc, gli uffici che contano. Il potere. Qui, soprattutto, c'è qualcuno che sa tanto e che parla troppo. Cossidente non si accontentava più del giro piccolo, è entrato nel big game. E comincia a invitare Postiglione nella capitale. Lo racconta ai carabinieri un altro dei collaboratori più fidati del presidente del Potenza, si chiama Antonio De Angelis. "A un certo punto", dice De Angelis, "Postiglione comincia a chiedermi di accompagnarlo a Roma (...) Si partiva in continuazione (...) Si giocava 3 mila, 4 mila, 5 mila euro su una, due, tre partite di cui lui era a conoscenza del risultato (...) Farò un esempio (...) a Natale sono stato praticamente sei ore in via del Corso a Roma ad aspettarlo, lui era in quell'albergo di via del Corso di cui non mi viene il nome (...) Poi quando usciva fuori veniva con 'ste notizie qua, allora dobbiamo giocare questo, quest'altro". Un albergo a Roma, dove qualcuno dava i risultati delle partite. Ma chi erano queste persone? "La domanda l'abbiamo fatta a Postiglione che per il momento non vuole parlare", spiegano gli uomini del capitano Antonio Milone. Sanno benissimo, gli inquirenti, che dietro quel silenzio c'è qualcosa che potrebbe far tremare tutto il mondo del calcio.
Da quell'albergo venivano fuori anche i risultati delle partite di A. Tre partite documentate, tutte di fine campionato 2008. E 'un'anomalia', come la chiamano i carabinieri e anche gli indagati. "Una volta sola ci è andata male", hanno detto ai giudici, "Atalanta-Livorno, 4 maggio 2008. Avevamo giocato 5mila euro sul Livorno vincente a casa dell'Atalanta". Non andò così. Vinse l'Atalanta. In campo quel giorno successe il putiferio. Al 90' scoppiò una caccia a l'uomo tra i giocatori, una rissa apparentemente inspiegabile visto che la partita era abbastanza insignificante per il risultato sportivo. L'ufficio indagini della Figc (che ora ha acquisito tutta la documentazione dalla Procura di Potenza) aprì un'inchiesta. Ora si scopre che in quel match non contava, forse, soltanto il risultato sportivo. Solo a Potenza avevano scommesso 5 mila euro su quella partita, chissà cosa era successo altrove. "Se ricordo bene", dirà sempre uno degli indagati, "su quella partita ci sono state delle indagini sopra, hanno squalificato anche tutti i giocatori, proprio per questa partita che stiamo parlando, perché qualcosa realmente c'era". Esatto, qualcosa c'era.