
Poi è arrivato il fattaccio del 23 febbraio, un lunedì, tipica notte del divertimento visto che i ristoranti dove molti lavorano sono chiusi. Hu Libin, 22 anni, era andato a ballare al Parenthesis, un locale che quella notte era stato affittato da ragazzi cinesi. All'improvviso è stato aggredito da una decina di coetanei armati di mannaie e coltelli. È morto dissanguato.
Hu era stato testimone dell'omicidio di altri due giovani cinesi nel cuore di Chinatown, il 27 aprile 2007. Quella volta erano spuntate le pistole, la Squadra mobile di Milano aveva individuato rapidamente i killer e ricostruito il retroscena: gli assassini si erano vendicati del pestaggio subito per questioni di spaccio, anche in quel caso in una discoteca, il Vertigo di Cinisello Balsamo.
Altra scena un anno fa, il 7 marzo 2008, all'Afro Recreation Club di Padova, affittato per il compleanno di una sedicenne. Arrivarono in sei armati di spade, tutti vestiti di nero come i ninja dei film di kung fu. Le loro lame ferirono cinque persone. Cinesi contro cinesi è la regola ferrea, il confine etnico che nessuna gang ha mai osato oltrepassare. I casi sono diversi, ma fanno sempre impressione.
"L'efferata spedizione punitiva in stile Chicago anni Trenta", ha detto dopo l'omicidio di Hu Libin il vicesindaco di Milano Riccardo De Corato di An, "dimostra che la comunità cinese, come da tempo denunciamo, è fuori controllo". Ma è proprio così?
I ragazzi delle gang non sono la comunità cinese. Anzi, rispondono a un identikit preciso. Giovanissimi arrivati in Italia da poco per ricongiungimento familiare, si scoprono sradicati ed emarginati mentre in Cina facevano la bella vita con le rimesse in euro dei genitori. La gang è un mezzo per riguadagnare uno status, per fare i soldi in fretta con la droga o le estorsioni ai connazionali.
Ma non sono queste, di norma, le notti cinesi a Milano. La maggioranza dei giovani asiatici, specie quelli di seconda generazione cresciuti nelle nostre scuole, frequenta sempre più locali di tendenza italianissimi: il celebre Atlantique di viale Umbria, il sontuoso Borgo del Tempo Perso al Corvetto, in parte anche l'Old Fashion e la discoteca simbolo della Milano patinata, l'Hollywood di corso Como.
I figli degli imprenditori che hanno fatto fortuna con borse, magliette e involtini primavera, vanno all'università o lavorano nell'attività di famiglia, lontani dallo stereotipo del giovane migrante squattrinato. Basta vederli, eleganti e griffati con le loro ragazze, studentesse e impiegate sorridenti e vocianti, affollare i tavolini stracarichi di drink e piatti di frutta all'Asian Party dell'Atlantique.
Dove si smonta un altro luogo comune, quello dei cinesi che 'stanno sempre tra di loro'. La serata è organizzata con la comunità filippina, la prima colonia asiatica di Milano e provincia, con oltre 30 mila residenti contro i 20 mila cinesi censiti. Nello show di apertura emergono le inclinazioni nazionali: il ballo per i filippini, che schierano sul palco un gruppo hip hop di giovanissimi in tuta bianca; il canto per i cinesi, che si godono l'esibizione di star venute apposta da Pechino.
La più attesa è Tang Jiali, e non solo per le doti vocali: cantante, ballerina e modella, ha prestato la sua bellezza eterea a un servizio servizio fotografico di nudo artistico, cosa che da noi sarebbe ordinaria amministrazione ma in Cina è la rottura di un tabù. Sul palco interpreta brani di musica leggera cinese, note melodiche su testi che parlano d'amore, virtuosismi vocali su basi rigorosamente registrate.
Il nostrano popolo della notte non apprezzerebbe. "Ma ai cinesi il canto piace molto", spiega Steven Luo, "basta vedere la grande popolarità del karaoke, anche tra i giovani". Va la musica un po' artificiale, tanto che si ha notizia di una sola band cinese in Italia: gli Ai Qin Hai, che significa Mar Egeo ma è soprattutto un nome "che suona bene", spiega Wen, 27 anni, una delle cantanti.
Più che nelle discoteche, la band è richiesta a matrimoni e feste delle innumerevoli associazioni di cinesi in Italia. Recentemente si è esibita al centro commerciale Girasole di Lacchiarella, dove un'ottantina di grossisti del tessile festeggiava l'avvenuto trasloco dalla Chinatown milanese, un tema bollente della politica cittadina dopo la rivolta dei cinesi in via Paolo Sarpi due anni fa.
L'Asian Party è anche un esperimento di future tendenze e business, dato che in provincia di Milano i ragazzi stranieri iscritti alle scuole superiori sono più di 10 mila. Luo ha solo 26 anni, ma è già posseduto dalla frenesia imprenditoriale tipica della sua gente. Lavora nella moda, è consulente del ministero del Commercio cinese, è appena tornato da Pechino dove si sta occupando del rilancio del grande centro commerciale Lifestyle Made in Italy. Ha fondato l'Associazione giovani cinesi in Italia e pensa che l'entertainment etnico possa avere buone prospettive in una città abitata da un numero sempre maggiore di giovani di origine straniera.
"Quest'anno vorrei organizzare a Milano eventi come Miss Asia e l'Asia festival, dedicato a musica, cibo, turismo. I tempi dei nostri genitori sono finiti, non si può più pensare di fare fortuna con il laboratorio di pelletteria o con il ristorante cinese, dobbiamo inventarci qualcosa di nuovo". I sanguinosi regolamenti di conti tra gang, però, rischiano di soffocare il business sul nascere: "Tanti hanno smesso di organizzare serate in discoteca perché finivano sempre con qualche casino", continua, "altri hanno smesso di venirci per paura di trovarsi in mezzo a storie di droga e di sangue. Io organizzo eventi in locali di alto livello perché difficilmente attirano malintenzionati".
Come i coetanei italiani, i giovani cinesi sono una piccola marea notturna ondulante tra le mode. "Già qualche anno fa i miei amici organizzavano feste all'Hollywood il lunedì sera", ricorda Francesco Wu, giovane ingegnere elettronico, sorseggiando all'Asian Party un cubanissimo mojito: "Eravamo all'università, poi abbiamo cominciato a lavorare e ci siamo persi. Adesso va molto il Borgo del Tempo Perso, soprattutto il sabato sera, perché i tempi dei giovani sono sempre meno legati alle tradizionali attività di famiglia. È un locale grande, con tante sale, dove si va volentieri: mischiandosi con altra gente non si rischia di trovarsi coinvolti nelle risse delle gang".
La discoteca non è l'unico svago. "Piacciono molto le serate nei casinò più vicini, come Campione d'Italia e Mendrisio, in Svizzera. Non solo per le slot-machine, anche per fare shopping negli outlet. Oppure capita di fare il weekend con amici cinesi che hanno preso la casa in montagna". Dove il peggio che può capitare è che fuori controllo ci vadano gli sci.