Diversi pazienti emofilici, infettati dal virus dell'HIV e da Epatite C e B negli anni '80 e '90 in seguito a trasfusioni di sangue o ad assunzione di emoderivati infetti, hanno ricevuto nei giorni scorsi dal ministero della Salute delle e-mail con posta elettronica certificata nelle quali vengono informati che non riceveranno alcun rimborso per il danno subito.
Si tratta di persone che, in seguito alla legge 244 del 2007, avevano accettato di non intentare causa al ministero (o di sospendere i procedimenti in corso) per accedere ad una transazione.
Per questo "risarcimento collettivo" delle persone infettate o dei parenti di pazienti deceduti la legge prevedeva uno stanziamento di 180 milioni di euro annui per dieci anni.
Il ministero della Salute però, con un decreto pubblicato il 13 luglio 2012, ha stabilito all'articolo 5 che vanno esclusi dalla transazione tutti coloro che hanno promosso una causa di risarcimento danni più di cinque anni dopo aver scoperto di essere ammalati di epatite o di Aids.
Con questa norma, una larga fetta della platea di infettati sarà esclusa da ogni forma di risarcimento. Sono circa 120 mila le persone che nel corso di trent'anni - a causa dei mancati controlli sul plasma e sui farmaci emoderivati prodotti o importati in Italia - si sono ammalate. Circa 4.000 i morti. Diverse sentenze della Cassazione hanno riconosciuto il Ministero della Salute responsabile degli omessi controlli.
Solo pochi giorni fa il tribunale di Bologna ha condannato il ministero retto da Balduzzi a risarcire i familiari di un uomo morto di epatite nel 2005 a 40 anni, contagiato a causa di una trasfusione infetta, con 420 mila euro alla famiglia.
Ma l'avvocato Marco Calandrino di Bologna, che ha già ricevuto sette mail nel suo studio legale con l'annuncio del mancato rimborso per altrettanti clienti contagiati da epatite e Hiv, spiega che «ora non più di 150 persone sulle 7.000 che hanno aderito alla transazione con il ministero potranno sperare di avere un risarcimento».
Tra i sicuri esclusi, c'è anche una donna di Rimini il cui figlio è morto nel 1991 a venticinque anni di Aids. Ha contratto il virus perchè, essendo emofiliaco dall'età di cinque anni, veniva curato con farmaci emoderivati risultati infetti. Nonostante il nesso di causalità tra la sua malattia e i farmaci assunti sia stato stabilito fin dal 1994, i suoi genitori non avranno alcun rimborso per via della prescrizione.
Lo stesso accadrà per il professor Roberto Brigati, 52 anni, che insegna Filosofia Morale a Bologna e si è ammalato di epatite C alla fine degli Anni Ottanta. Nel 2009, a causa di una cirrosi, ha subito un trapianto di fegato. Ha fatto causa solo nel 2002 e quindi con ogni probabilità, a questo punto, non verrà ammesso alla transazione dal Ministero.
Ma anche i pochi che riescono a vincere una la causa con lo Stato poi difficilmente riescono a vedere i soldi. Infatti i beni del Ministero della Salute sono impignorabili, quindi occorre fare rivolgersi al Tar per ottenere un giudizio di ottemperanza sostenendo nuove spese legali.
L'unica speranza di ottenere un risarcimento dalla Stato per gli emofilici, i talassemici e i trasfusi occasionali che si sono ammalati a causa delle cure ricevute è l'inchiesta avviata dalla Procura di Roma a inizio 2012. Sette direttori generali del Ministero della Salute succedutisi negli ultimi trent'anni sono indagati per omicidio colposo e lesioni. Se l'ipotesi di reato diventasse quella di epidemia colposa anche i termini di prescrizione per le cause di risarcimento dovrebbero per forza allungarsi. I pm Galanti e Pioletti sono in attesa di una corposa relazione affidata a consulenti esterni e ai Nas prima di procedere con ulteriori interrogatori che potrebbero chiamare in causa anche ex ministri e viceministri.
A Napoli invece il processo “Plasma Infetto”, che vede imputati con l'accusa di omicidio colposo plurimo aggravato dalla previsione dell'evento l'ex direttore del servizio farmaceutico del Ministero della Sanità Duillio Poggiolini e Guelfo Marcucci, fondatore dell'omonimo gruppo farmaceutico, non è ancora approdato nemmeno a una sentenza di primo grado.