Nel 1924 l’isola è stata testimone dell'amore assoluto tra il filosofo tedesco Walter Benjamin e la rivoluzionaria russa Asja Lacis. Metafora di modernità

Capri, estate del 1924. Walter Benjamin è seduto ai tavolini del caffè Zum Kater Hiddigeigei, a due passi dalla famosa piazzetta. Oggi c’è una boutique di lusso. Allora sotto quell’insegna dal nome bizzarro si dava appuntamento una eccentrica confraternita di intellettuali russi e tedeschi. Rivoluzionari, utopisti, fuggiaschi. Si tenevano alla larga dalla disprezzata cultura borghese. Erano attirati dalla forza magnetica del macigno galleggiante, costellato di misteriose spelonche e fremente di fantasmi dionisiaci. Anni prima l’esule Maksim Gor’kij, scampato alla polizia dello zar che lo aveva messo in catene, aveva fondato sull’isola una scuola per indottrinare i dissidenti. Anche Lenin vi soggiornò due volte. E in quei fatali anni ’20 del ’900, mentre l’Europa è percorsa da funeste premonizioni, Capri diventa l’isola più cosmopolita del Mediterraneo. Non sfuggono al richiamo levantino Kracauer e Adorno, Brecht e Ernst Bloch, con cui Benjamin si sfidava in interminabili duelli metafisici nelle sere umide in una taverna sulla spiaggia.

 

Benjamin era arrivato sull’isola ai primi di aprile, esattamente cento anni fa. Ha trentadue anni, si è lasciato alle spalle le cupe atmosfere di una Germania sull’orlo del collasso e un matrimonio infelice. Vi rimarrà sei mesi, fino a ottobre. È incantato dalla «prodigiosa bellezza» del paesaggio: le case dipinte di bianco, i vigneti lussureggianti e gli alberi di fico, gli arabeschi disegnati dalle onde sugli scogli, i faraglioni gettati a picco sul mare, la grotta azzurra attraversata da lampi di sole. All’inizio alloggia alla pensione Gaudeamus, poi si trasferisce in una stanza in via Sopramonte 18. Gode di una terrazza sferzata dal vento, con una vista mozzafiato sulle acque cristalline. Quando fa buio, un barbaglio rosso sembra avvolgere la cima del Vesuvio.

 

Una mattina vede una donna aggirarsi nella piazza. Vuole comprare un cartoccio di mandorle, ma non sa spiegarsi in italiano. «Posso aiutarla, signora? Permetta che mi presenti», dice cerimonioso. Lei è Asja Lacis. Era venuta a Capri con il compagno, il critico teatrale Bernhard Reich, che però era dovuto ripartire per impegni di lavoro, e con la figlioletta Daga, convalescente da una polmonite: i medici avevano raccomandato il clima mite. Le prime impressioni della donna: «Occhiali che mandavano bagliori come due piccoli fari, folti capelli scuri, naso sottile, mani maldestre - il pacchetto gli cadde. Un solido intellettuale, un benestante». Intellettuale sì, tra i più originali, ma sul resto si sbagliava: Benjamin è senza un soldo. A causa dei burrascosi rapporti con il padre, un mercante d’arte dell’agiata borghesia berlinese, vivrà sempre sul filo della precarietà. Per pagarsi il viaggio aveva dovuto vendere un pezzo della sua biblioteca, che aveva messo insieme con la dedizione maniacale del collezionista. «Qui almeno la vita è meno cara», scrive all’amico Gershom Scholem.

 

Il filosofo e scrittore tedesco Walter Benjamin

 

Il giorno dopo Benjamin va a trovarla. Asja cuoce un piatto di spaghetti in un bugigattolo di cucina ravvivando la fiamma con un ventaglio di paglia. Confessa: «La osservavo già da due settimane. Lei con i suoi abiti bianchi, insieme a Daga, che ha le gambe così lunghe: non cammina per la piazza, svolazza». Lui le parla di letteratura francese, di Goethe e Kafka, le legge le sue traduzioni da Baudelaire. Lei gli racconta che è una militante comunista, nata in un piccolo villaggio della Lettonia. Ha studiato a Mosca e San Pietroburgo, ha fondato un teatro d’avanguardia per bambini proletari. Benjamin si confida con l’amico: «Ho fatto la conoscenza di una rivoluzionaria russa di Riga, una delle donne più notevoli che abbia mai conosciuto». S’incendia di passione: sarà un amore tormentato, il più importante della sua vita. Per lui è anche una “svolta” estetica e politica. «Ho parlato con la bolscevica fino a mezzanotte e mezza, e poi ho lavorato fino alle quattro e mezza». Scrive di notte, seppellito sotto il peso di seicento citazioni da ordinare nel suo saggio sul dramma barocco tedesco, con cui punta a ottenere l’abilitazione accademica – una vana illusione, l’università lo rifiuterà: impossibile capire quello che c’è scritto nella dissertazione. Benjamin sarà sempre un legno storto.

 

All’inizio di luglio si trasferisce in una camera a Villa Dana, poco più spaziosa di uno sgabuzzino. Almeno ha una zanzariera per proteggersi dalle punture di insetti. Asja dirà nelle sue memorie: «Benjamin conduceva una vita sregolata. A mezzogiorno non mangiava nulla o al massimo una tavoletta di cioccolata. Il suo alloggio somigliava a una caverna in una giungla di grappoli d’uva e di rose selvatiche».

 

Fanno molte escursioni sulla terraferma, su e giù per la costiera amalfitana. Benjamin adora smarrirsi, come il suo adorato Baudelaire, il poeta della malinconia che rimediava al senso di sconfitta personale con l’eleganza del dandy, e con l’ozio del flâneur sublimava una smania di trascendenza che troppo frettolosamente ci si era illusi di soffocare sotto le radiose promesse della modernità. «Positano aveva l’aspetto di un’arnia, la gente abitava in celle scavate nella roccia», ricorderà Asja. È lo spettacolo scioccante dell’inganno del moderno. Il tufo vibrante di luce suggerisce la metafora esistenziale della “porosità”: un modo alternativo di stare al mondo. Lo descrivono nell’articolo Napoli, pubblicato a doppia firma sulla Frankfurter Zeitung.

 

La rivoluzionaria russa Asja Lacis

 

Quando a settembre Mussolini sbarca sull’isola in visita ufficiale, si allestiscono parate ossequiose, ma la popolazione rimane fredda. «Ha un aspetto diverso dal rubacuori che mostrano le cartoline illustrate: torbido, pigro e superbo come se fosse abbondantemente unto di olio rancido», riferisce Benjamin in una lettera. L’estate è finita, ma lui non dimenticherà mai Capri. Fu l’ultima volta che si sentì veramente felice. In tutte le fotografie successive, lo sguardo è segnato da una profonda tristezza, il viso stanco e il mento poggiato su una mano, gli occhi languidi davanti all’abisso.

 

Asja si era ricongiunta con il compagno, ma Benjamin è ansioso di rivederla. Nell’autunno del 1925 si mette in viaggio per Riga. Vuole farle una sorpresa, l’incontro è un disastro. Lei è impegnata in teatro, la sua presenza la infastidisce: «Veniva da un altro pianeta, non avevo tempo per lui». In “Strada a senso unico”, che Benjamin le dedicherà, l’amara delusione ci toglie il respiro: «Se lei mi avesse sfiorato con la miccia del suo sguardo, io sarei volato in aria come un deposito di munizioni».

 

Nel novembre del 1926 riceve un telegramma da Reich che lo avvisa che Asja ha avuto un tracollo nervoso. Si precipita a Mosca. «Asja non aveva un bell’aspetto, appariva trascurata sotto un berretto russo di pelliccia, il viso un po’ gonfio per la lunga degenza», annota in “Diario moscovita”. Ogni giorno le fa visita in sanatorio, le porta regali, la corteggia, cerca l’intimità di Capri. Lei è volubile, lesina crudelmente i propri baci. Lui è consumato dal desiderio, il triangolo erotico lo logora. Stretti l’uno all’altra su una slitta sopra la neve gelata, le sussurra all’orecchio: «Se questa sera dovessi starmene da solo da qualche parte, mi impiccherei dalla tristezza». L’addio è doloroso, ma inevitabile: «Con la grande valigia in grembo, percorsi piangendo le strade che imbrunivano, verso la stazione».

 

Fotografi di strada, a Capri, in una riproduzione d’epoca

 

Si ritroveranno a Berlino nel dicembre del 1928. Per due mesi provano a convivere in un appartamento al 42 di Düsseldorferstrasse. Ma non funziona, Benjamin torna a stare dalla moglie Dora Kellner e il figlio Stefan di dieci anni. Chiede il divorzio, vuole sposare Asja. Dora scrive a Scholem, furibonda e sconsolata: «Le cose con Walter vanno molto male. Mi si spezza il cuore. È completamente sotto l’influsso di Asja. È solo cervello e sesso, tutto il resto ha smesso di funzionare. Lei non lo ama. Lui soffre terribilmente. I due litigano come cane e gatto».

 

Asja torna a Mosca alla fine del 1929, senza aspettare la conclusione della causa di separazione. I due amanti non si rivedranno più. Lei, vittima delle purghe staliniane, verrà deportata in un gulag in Kazakistan, dove rimarrà rinchiusa dieci anni. Benjamin si toglierà la vita in una camera d’albergo a Portbou, sulla frontiera franco-spagnola, nel settembre del 1940. Era stato respinto dalla gendarmeria, il disperato tentativo di fuggire dalle persecuzioni naziste e ritrovare la libertà era fallito. Prese una dose letale di morfina, aveva quarantotto anni. Nel suo ultimo manoscritto, risalente a quei giorni febbrili, criticava l’ideologia del progresso tecnico come dominio della natura, se poi la storia dimentica gli oppressi e gli sconfitti sotto un cumulo di rovine. Il suo testamento, una profezia delle tragedie che di lì a poco si compiranno a Auschwitz e Hiroshima.

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