Mobilità
6 novembre, 2025Baluardo all’avanzata cinese, detiene la leadership sull’automotive. Con una forte spinta su innovazione e sostenibilità. Da modello tecnologico a fenomeno culturale globale
E' la quarta economia del mondo, la Borsa cresce così come l’industria tecnologica, c’è il primo costruttore al mondo di automobili e le mode culturali cominciano a diffondersi ovunque. È l’effetto Giappone che sta conquistando anche l’Europa. Letteratura, cinema, moda, abitudini e gastronomia con il sushi che sta diventando globale come la pizza.
Poi c’è il boom del turismo, viaggi che ultimamente diventano un vero e proprio rito alla scoperta di una cultura che affascina, soprattutto i giovani. In Giappone ci sono 21 siti patrimonio dell’umanità (solo i monumenti di Kyoto ricevono annualmente oltre 30 milioni di visitatori, provenienti da tutto il mondo). Secondo la Japan national tourism organization ad agosto sono arrivati 3.4 milioni di turisti, un record assoluto, con un incremento del 17% di ingressi in più rispetto al 2024 (del 19 per cento quelli italiani).
Nei giorni scorsi è arrivato anche il momento della prima donna premier con l’elezione di Sanae Takaichi. Una svolta storica anche se non rappresenta certo un successo del movimento femminista come comunemente inteso in Occidente. Ammiratrice dichiarata di Margaret Thatcher, la 64enne appena salita al potere è un’esponente dell’ala più conservatrice del partito Liberaldemocratico. In passato, Takaichi è stata favorevole alla sola successione maschile nella famiglia imperiale, contraria alla possibilità per le donne sposate di conservare il nome da nubile e al matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Federico Rampini nel suo ultimo libro “La lezione del Giappone: Il Paese che anticipa le sfide dell’Occidente”, edito da Mondadori, scrive di un curioso paradosso: «Nel momento in cui la popolarità del Giappone è dilagante, sulle prime pagine dei nostri giornali (o anche le ultime) è impossibile trovare un titolo e una notizia provenienti da Tokyo». Quasi fosse il grande incompreso del nostro tempo. «Sbagliamo – scrive ancora Rampini – perché è un Paese che può insegnarci tante cose. Un laboratorio di sostenibilità dove la cultura ambientalista si fonde con la capacità di innovazione tecnologica».
I trasporti pubblici sono tra i più efficienti del Pianeta e proprio in Giappone nel 1964 è nato il treno ad alta velocità e «tuttora la sua inverosimile puntualità viene studiata da nazioni che vorrebbero imitarlo».
E poi c’è il “made in Japan”, quello tecnologico innanzitutto: i sensori ottici della Sony, le batterie Panasonic, la robotica, l’automazione industriale, la cultura d’impresa. Fino all’automobile dove il Sol Levante, trainato dal colosso Toyota, è risalito fino al vertice mondiale e oggi rappresenta il più importante baluardo all’invasione cinese.
È una corsa diversa quella del Giappone. Fatta di tappe lente, di progetti a lungo termine e convinzioni ripetute. Una cultura d’impresa caratterizzata dall’eccellenza ingegneristica, dall’affidabilità dei prodotti e da un modello produttivo innovativo. Il Toyota production system, per esempio, è basato sull’efficienza, la riduzione degli sprechi e il miglioramento continuo, un approccio che ha influenzato l’industria manifatturiera globale. Un’industria che proprio la casa giapponese ha contribuito a cambiare radicalmente.
Erano i primi anni del 2000 quando l’allora chairman della Toyota, Fujio Cho, disse che «l’auto deve cambiare oppure non sopravviverà al ventunesimo secolo». Parole che hanno anticipato l’evoluzione della mobilità su quattro ruote e soprattutto hanno annunciato la rivoluzione dell’ibrido, la doppia alimentazione: un’auto mossa per la prima volta da un motore endotermico e uno elettrico in grado di funzionare insieme per ottenere il massimo risparmio energetico e una riduzione notevole delle emissioni. Una rivoluzione in cui la Toyota ha creduto fin dall’inizio e che ha aperto la strada della mobilità elettrificata, che tutti i costruttori, chi prima chi dopo, hanno intrapreso. Dalla prima Prius del 1999 a oggi, la Toyota ha venduto nel mondo oltre 23 milioni di auto ibride, diventando così leader indiscussa dell’elettrificazione e da qualche anno anche delle vendite assolute a livello mondiale.
Ma insieme al colosso Toyota c’è un’industria automotive ricca di eccellenza e di altri primati. Con Honda, prima produttrice mondiale di motori con oltre 14 milioni di pezzi all’anno e leader tra le moto, nei mercati di tutto il mondo e in pista. Suo il primo robot umanoide, Asimo, che ha dato alla casa giapponese la supremazia in questo settore. C’è Nissan, legata da un’alleanza in continua evoluzione con Renault, alle prese con una importante ristrutturazione ma tra le prime a puntare decisamente sull’auto elettrica. E ultimamente sull’idea e-Power, la prima «auto che si muove sempre in elettrico ma senza mettere la spina».
C’è Suzuki, protagonista delle due e quattro ruote, una storia centenaria iniziata nel 1909 con la produzione dei tessuti e con un telaio innovativo, capace di lavorare le stoffe in modo veloce, preciso, unico per l’epoca. Un’azienda protagonista di una crescita inarrestabile che la portò alla leadership mondiale del settore e, dopo la II Guerra Mondiale, a utilizzare le competenze meccaniche acquisite nello studio del moto alternato dei telai per progettare nel 1952 un motore alternativo che spinse la prima bicicletta a motore “Power Free”.
A completare lo schieramento ci sono altre eccellenze produttive, come Subaru e Mitsubishi, quest’ultima appena diventata leader di affidabilità secondo l’autorevole Consumer report, la seconda protagonista indiscussa di fuoristrada e competizioni rallystiche, l’unica casa giapponese con produzione quasi esclusivamente interna. Infine, Daihatsu, il più antico dei costruttori (1906), controllato dalla Toyota che è l’azionista di maggioranza, prima azienda giapponese ad aver avviato l’esportazione in Gran Bretagna ma anche la prima a lasciare il mercato europeo (2013). La sua specializzazione è nella produzione delle vetture economiche e compatte.
E a proposito di “piccole” e a basso costo, sono stati proprio i giapponesi a inventare la categoria delle kei-car che adesso piace tanto all’Europa e soprattutto a Ursula von Der Leyen che ne auspica la diffusione anche nel Vecchio Continente. Proprio quelle che servirebbero nei principali mercati europei che invece da tempo sono quasi sparite per far posto ad auto grandi e potenti, non proprio in linea con il green deal imposto. Invece, proprio in Giappone è accaduto il contrario dove le kei-car, auto che non devono superare la lunghezza di 3,4 metri, 1,48 di larghezza ed esser alimentate da un motore di cilindrata non superiore a 0,66 litri, continuano a guadagnare quote di mercato (1,17 milioni le vendite dello scorso anno con una quota del 34 per cento).
Il segreto? Semplice: sono convenienti da acquistare e soprattutto da mantenere e consentono di sfruttare al meglio lo spazio ridotto a disposizione nelle città. Un’altra rivoluzione giapponese, in questo caso però da dividere con l’Italia. Ricordate la prima Fiat 500 del 1957, lunga appena 2 metri 98 e in grado di ospitare quattro persone? In fondo, anche il Belpaese aveva dato la sua lezione. Cosa ne sia rimasto però è tutto da vedere. Niente a che vedere con il Giappone…
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