I comandanti di operazioni complesse hanno la crisi dell'undicesimo mese: presi dalla frustrazione della mancanza di risultati cominciano a prendersela con se stessi (come è successo a me), oppure se la prendono con tutti partendo dai capi politici per finire ai soliti ambasciatori. È un fatto fisiologico e spesso, nel secondo caso, l'undicesimo mese prepara gli alibi e lo scaricabarile per il mese successivo quando in genere i comandanti devono essere avvicendati. È anche fisiologico che i comandanti tendano a giustificare i propri uomini e fare proprie le loro insoddisfazioni. I veri Comandanti in Capo (politici e militari) lo dovrebbero sapere e comprendere le eventuali intemperanze dei generali cercando di coglierne la lezione.
Purtroppo, McChrystal (da cui dipendono anche 4000 militari italiani) deve aver attraversato la crisi dell'undicesimo mese una decina di giorni dopo aver assunto l'incarico e deve aver passato il resto del tempo cercando di capire con chi prendersela. Dalla bella inchiesta pubblicata dalla rivista "Rolling Stone" emergono dei fatti molto più gravi dell'eccesso gergale.

Un messaggio anticipato diversi mesi fa dai rapporti di ufficiali e soldati infuriati per le nuove regole d'ingaggio che restringevano l'uso della forza offensiva e tendevano a ridurre le vittime civili. Soldati che, invece di analizzare le responsabilità e gli errori, attribuivano a McChrystal e a quelle restrizioni l'incremento di morti e feriti fra la truppa statunitense senza dare alcun valore alla diminuzione di morti tra i civili ritenuti tutti talebani.
McChrystal ha sempre incassato male dimostrando di non essere convinto lui stesso di quello che faceva, "costretto" com'era a "vendere" l'invendibile: la sua stessa strategia. Forse credeva che fosse facile fare controinsurrezione con la sola propaganda. O forse pensava di sopperire con le operazioni segrete e gli assassinii legali e illegali delle sue forze speciali alle restrizioni imposte ai soldati. Nell'undicesimo mese, pressato dalla richiesta di risultati e nell'incapacità di produrli, McChrystal ha creduto di poter mandare al diavolo la politica e la strategia per concentrarsi sulla tattica e salvare di fronte ai soldati la propria immagine di guerriero.
Purtroppo, gli obiettivi politici e strategici devono essere raggiunti dai generali e non dai soldati che hanno sempre ragione ma soltanto dal loro punto di vista. Se vengono dotati di un fucile vogliono poterlo usare, se sanno che c'è l'artiglieria e l'aviazione vogliono che prima siano loro a intervenire e spianare tutto ciò che hanno davanti e se di fronte hanno una persona sospetta preferiscono ammazzarla piuttosto che rischiare.
Tutto questo in una guerra tradizionale funziona e gli americani lo hanno dimostrato, ma bisogna vincere e alla svelta. Perché se si perde o si resta impantanati non funziona più. In una guerra come quella afghana, con una strategia che non vuole distruggere ma costruire, che ha bisogno del consenso dei civili, in patria e in operazioni, e che vuole evitare di trasformare tutti i soldati in criminali di guerra, la logica del soldato tradizionale non funziona neppure se si vince, ammesso che si sappia come vincere. McChrystal non ha capito che lo strumento di cui dispone non è fatto per l'azione che aveva accettato di intraprendere. Obama non ha capito che McChrystal e il suo esercito sarebbero in grado di vincere qualsiasi guerra tradizionale, ma sono incapaci di realizzare gli obiettivi politici di una strategia complessa come quella studiata per l'Afghanistan e, per questo, mai realmente perseguita.
Obama si deve ora confrontare con una realtà che l'analista Steven Metz aveva già messo in evidenza un paio di anni fa: l'incapacità di conseguire gli obiettivi politici della guerra non è dovuta ad un comandante eccentrico, ma è "una carenza collettiva, strutturale e organizzativa ed è anche una carenza culturale individuale dei comandanti". Si può aggiungere che la carenza riguarda anche coloro che formulano strategie svolazzando per i corridoi e ignorando gli strumenti di cui dispongono.
Il presidente Obama ha chiamato il generale Petraeus a sostituire Mc Chrystal. Non può essere altro che una soluzione temporanea. Petraeus passa per aver avuto successo nella controinsurrezione in Iraq. Non può rischiare di fallire in Afghanistan anche se da tempo predica la diversità dei due teatri e l'inconsistenza delle formule preordinate. Lui sa bene che in Iraq la controinsurrezione morbida ha funzionato solo con la reintegrazione e il potenziamento delle strutture di potere del precedente regime. Il ripristino ha funzionato perché l'Iraq non ha mai cessato di essere uno stato nonostante l'impegno americano nello sfasciarlo, perché gli interessi degli affari e della guerra vengono salvaguardati dai mercenari e dai sunniti di Saddam che hanno ripreso il controllo dell'intelligence, della sicurezza e sono oggi i più affidabili guardiani degli americani rinchiusi nelle basi come ostaggi.
In Afghanistan, ripristinare il sistema precedente significa tornare alla guerra civile o restituire il potere ai talebani e quindi reintegrare anche vecchie strutture legate ai servizi segreti pachistani. Ma oggi questo non potrebbe essere spacciato come vittoria. Petraeus lo sa e cercherà di non rovinarsi la reputazione proprio mentre viene corteggiato dai politici.
La palla tornerà presto a Obama e potrebbe avere la forza di un rigore. Il presidente deve perciò prendere subito atto della situazione afghana, capire che lì non ci sono ricchezze che valgano la morte dei soldati o la loro presenza a tempo indeterminato, che non ci sono alleati o forze afghane affidabili, che lì non si combatte Al Qaeda, che lo strumento usato non è quello adatto alla situazione e che la carenza culturale non è colmabile con la sostituzione di una persona. Poi deve passare alla decisione: può continuare con i fallimenti, cercando di venderli come successi in vista delle elezioni. Oppure può decidersi a combattere Al Qaeda o il suo simulacro e il terrorismo dove realmente sono e con gli unici mezzi di cui dispone: la gente come McChrystal e il suo "Team America" che sanno fare bene solo se non hanno limiti, controlli e pubblicità.
In questo caso può anche diminuire drasticamente la presenza militare e contenere l'eventuale esplosione del bubbone afghano, facendosi aiutare da vicini scomodi. Non è detto che la seconda opzione funzioni e la decisione in tal senso può costargli la presidenza e la coscienza, ma potrebbe salvare l'America.
Fabio Mini
*generale, ex comandante della missione Nato Kfor in Kosovo