Oggi come venticinque anni fa, l'ultima speranza per fermare la catastrofe nucleare sono gli elicotteri. Nel 1986 gli equipaggi dell'Armata rossa si sacrificarono per gettare sul reattore numero 4 di Chernobyl sostanze chimiche che ritardassero la fuga di radiazioni, nel tentativo di limitare la contaminazione. Molti di loro sono morti per l'esposizione a dosi letali di radiazioni. Uno dei piloti, costretto a sopportare condizioni fisiche estreme, perse il controllo del velivolo e urtò uno dei tralicci, schiantondosi al suolo. Ma l'operazione dal cielo si rivelò tanto letale quanto inutile: solo una quantità minima di sostanze chimiche raggiunse il reattore.
Ma nell'Urss di allora come nel Giappone di oggi, fare avvicinare squadre di soccorso da terra è troppo pericoloso: dei primi cento pompieri che intervennero per spegnere l'incendio di Chernobyl, oltre metà morì in meno di una settimana. Ed ecco che anche a Fukushima la risorsa estrema è mandare gli stormi per arrestare la morte invisibile
Intervista17.03.2011
'Non ci sono centrali sicure'