Un quarto di secolo fa si cercò di fermare la catastrofe nucleare gettando sostanze chimiche dall'alto sul reattore. Oggi a Fukushima tentano di fare lo stesso. Ma ecco come finì allora

Oggi come venticinque anni fa, l'ultima speranza per fermare la catastrofe nucleare sono gli elicotteri. Nel 1986 gli equipaggi dell'Armata rossa si sacrificarono per gettare sul reattore numero 4 di Chernobyl sostanze chimiche che ritardassero la fuga di radiazioni, nel tentativo di limitare la contaminazione. Molti di loro sono morti per l'esposizione a dosi letali di radiazioni. Uno dei piloti, costretto a sopportare condizioni fisiche estreme, perse il controllo del velivolo e urtò uno dei tralicci, schiantondosi al suolo. Ma l'operazione dal cielo si rivelò tanto letale quanto inutile: solo una quantità minima di sostanze chimiche raggiunse il reattore.



Ma nell'Urss di allora come nel Giappone di oggi, fare avvicinare squadre di soccorso da terra è troppo pericoloso: dei primi cento pompieri che intervennero per spegnere l'incendio di Chernobyl, oltre metà morì in meno di una settimana. Ed ecco che anche a Fukushima la risorsa estrema è mandare gli stormi per arrestare la morte invisibile

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