Martedì potrebbe arrivare il via libera da Tokyo per il rilascio delle acque radioattive di Fukushima nell’oceano Pacifico. Una scelta, da anni al centro di dibattito in Giappone, che ha trovato la forte contrarietà delle nazioni vicine, come Cina e Corea del Sud, e soprattutto dell’industria della pesca che, tramite la federazione nazionale delle cooperative JF Zengyoren, si è opposta strenuamente. Il suo presidente, Hiroshi Kishi, ha affermato di temere che l’acqua radioattiva possa avere "un impatto catastrofico sul futuro del settore in Giappone". Già nel 2011 l’industria ittica locale è stata stroncata dal disastro nucleare, passando dalle 38.600 tonnellate di pesce catturato nel 2010 alle 5.900 del 2018. Negli ultimi anni c’è stata una leggera ripresa e la reputazione dell’area e del settore, anche in termini di esportazioni è in crescita. Il timore è che molti Stati stranieri impongano nuove restrizioni alle importazioni dei prodotti ittici giapponesi, già colpita da stringenti test di sicurezza, soffocando così la ripresa dell’intera filiera.
Il problema è che il governo di Tokyo non sa più come gestire queste enormi quantità di acqua. Ogni giorno ne vengono usate circa 140 tonnellate per raffreddare i reattori di Fukushima, danneggiati sia dal terremoto di magnitudo 9 avvenuto nel marzo del 2011 che dal successivo tsunami. Nella zona adiacente sono state costruite più di 1.000 cisterne per contenerle. Le acque usate vengono trattate e filtrate, ma nonostante questo contengono trizio, un isotopo radioattivo dell’idrogeno, dannoso per l’uomo in dosi elevate. In un rapporto di Greenpeace, uscito nell’ottobre 2020, è stata messa in luce, inoltre, la presenza del carbonio-14, una sostanza radioattiva che potenzialmente è dannosa per il Dna umano. Il sito dei serbatoi, però, il prossimo anno si riempirà, come confermato dal gestore della centrale di Fukushima, la Tokyo Electric Power (Tepco). Per questo il governo nipponico sta agendo di conseguenza.
Il ministro dell’Economia, del Commercio e dell’Industria Hiroshi Kajiyama ha dichiarato che verrà ricercata “la cooperazione degli enti locali e delle organizzazioni globali come l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica”. Proprio l’anno scorso il presidente dell’Agenzia, l'argentino Rafael Grossi, aveva annunciato che un eventuale rilascio dell’acqua nell’Oceano Pacifico sarebbe stato comunque in linea con gli standard internazionali dell’industria nucleare. Prima di scaricarla nel mare, cosa che non avverrà prima di un paio di anni, l’acqua verrebbe diluita proprio per rientrare in modelli di sicurezza globalmente accettabili. Stando alle stime, il completo smantellamento della centrale potrebbe avvenire solo nel 2051.