Nelle strade, tra gli edifici distrutti, ci sono solo camionette di uomini armati e cani randagi. Nessuno sa veramente chi controlla cosa, certo è che in alcuni quartieri sventolano ancora le bandiere verdi della Jamairia. Fuori città invece è già tutto in mano ai ribelli. Il racconto della nostra inviata

A Tripoli, città fantasma

Il posto di confine tra Tunisia e Libia all'altezza del paesino di Dahiba, lì dove la pianura tunisina lascia il posto alle catena rocciose, da qualche giorno si è trasformato in uno dei suk più attivi della regione. Chi viveva di turismo oggi vive di guerra: autisti e guide turistiche non portano più giovani coppie a vedere le stelle nel deserto ma giornalisti di ogni parte del globo nella capitale libica. Chiedono fino a duemila euro per un passaggio in macchina, soprattutto adesso che è stato ucciso l'autista tunisino che portava i quattro italiani rapiti e poi liberati. Guidano sparati come proiettili lungo stessa strada, stretta e tortuosa, ma perfettamente asfaltata. Ci si ferma solo per gli infiniti posti di blocco da Nalut e Zawiya. È la terra dei berberi, uomini duri e focosi, che per mesi si sono addestrati tra le alture prima di dare l'assedio finale alla capitale.

Ai primi check point sembra di ritrovare i ragazzi euforici della Cirenaica: giovanissimi combattenti che salutano calorosamente e a chi scende per fare quattro chiacchiere offrendo un dolcissimo te con datteri. Non fosse per il kalashinkov sempre appeso ad una spalla o puntato contro le auto in arrivo, sembrerebbero dei tifosi allo stadio, rivestiti da cima fondo con il tricolore della nuova Libya.

Oltre alle bandiere rosse di ogni dimensione, ci sono berretti, magliette nere o marroni, foulard e perfino portachiavi. «Sono arrivati tre mesi fa», spiega Mohammed, «dalla Tunisia e dall'Egitto», dove la guerra libica si è tradotta in ottimo business. Guardano la televisione collegata al satellite in un capanno fatto con i teli dell'esercito recuperati nelle caserme dei lealisti. Mangiano biscotti alla fragola e fichi freschi. Chiacchierano volentieri, lamentandosi senza sosta che Gheddafi aveva impedito loro di imparare l'inglese.

Ma mano mano che il paesaggio lunare della regione berbera lascia spazio alle luci dell'alba e alle città della pianura dopo la cittadina di Zintan, ai check point i guerriglieri perdono il sorriso e sono sempre più armati. La strada a un certo punto diventa rettilineo, la striscia bianca in mezzo acquista colore e spessore: l'asfalto è stato fatto da poco, rigato solo da strisce nere di pneumatici. Con l'aiuto delle forze speciali di Francia e Qatar, la strada è stata infatti trasformata in una pista di atterraggio: qui è dove atterrano rifornimenti di armi e di cibo, addestratori e spie. Insomma dove è arrivata la linfa vitale durante la primavera di guerra. Qualche chilometro più in là ricominciano le curve, la pista d'atterraggio torna a essere una strada.

Ci sono villaggi ma soprattutto caserme (ma quante ne aveva Gheddafi? Sono ovunque, più numerose delle pompe di benzina) che portano le ferite della battaglia. Drammatiche: interi edifici sventrati da razzi e mortai. Altri rasi al suolo dalle bombe americane. Non c'è muro che non sia stato trivellato dai kalashnikov. E in giro, a parte qualche cane randagio che i ribelli battezzano seduta stante “Gheddafi”, non c'è anima viva.

Arrivati alle porte di Zawiya, dove la battaglia è stata violentissima - ed è durata per mesi, con migliaia di vittime - il silenzio diventa tensione. È come trovarsi in una città fantasma. Mancano pochi chilometri a Tripoli. Il quartier generale di Khamis, uno dei più temuti figli di Gheddafi, è stato conquistato, distrutto e saccheggiato. Le mura dell'infinita caserma buttate giù come fossero di cartapesta. Gli enormi cancelli dorati piegati come fossero graffette. Invece il centro commerciale che c'è poco più avanti, appena prima dei cavalcavia che portano nel cuore della capitale, è rimasto miracolosamente intatto. Le saracinesche sono abbassate, le insegne di Zara spente, ma nessuna vetrina frantumata. I ribelli sono stati di parola: per ora niente saccheggi generalizzati.

Poi arriviamo il cuore di Tripoli: persiane chiuse, negozi sbarrati, camionette armate dei combattenti, il solito cane randagio. Il silenzio rotto solo dalle raffiche di mitra. Intorno all'imponente quartier generale di Gheddafi si combatte ancora, violentemente. E non tutte le bandiere verdi della Jamairia sono state ancora ammainate.

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Heil Putin - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso

Il settimanale, da venerdì 19 settembre, è disponibile in edicola e in app