
Come testimoniano i file di Snowden, le loro attività sono condivise con i colleghi del Five Eyes, il patto di ferro che unisce l’intelligence americana, britannica, australiana, canadese e neozelandese. L’Italia per loro è un sorvegliato molto speciale. Uno dei pochissimi paesi a ospitare ben due centrali di ascolto del Scs. Ed è anche lo snodo dei cavi in fibra ottica che uniscono il mondo occidentale con Africa e Medio Oriente, i canali dove scorrono conversazioni telefoniche, email e traffico web sistematicamente intercettato dagli inglesi. Non solo: la nostra ambasciata a Washington è stata presa di mira da due operazioni di spionaggio. Una chiamata misteriosamente Bruneau. L’altra battezzata con un nome più evocativo: Hemlock ossia cicuta, la pianta velenosa con cui si uccise Socrate.
È la nuova sovranità limitata, la versione elettronica di quanto accaduto durante la guerra fredda: i file di Snowden mostrano come tutte le comunicazioni in Italia sono alla portata delle reti americane e britanniche. I nostri servizi segreti continuano a ripetere che si tratta di «informazioni non confermate». Ma gli stessi documenti analizzati da “l’Espresso” sono stati pubblicati da “Spiegel”, “Guardian”, “Le Monde”, “El Mundo” e “Sueddeutesche Zeitung”, senza ricevere smentita. Anzi, i governi di Berlino, Parigi, Madrid hanno reagito con determinazione, convocando gli ambasciatori statunitensi e chiedendo chiarimenti personalmente al presidente Obama. In Italia solo mezze dichiarazioni, smentite e blande prese di posizione. Da parte del premier e dei ministri, ma soprattutto della nostra intelligence. Anche in questo caso, il copione ricorda un vecchio canone delle trame nostrane: il muro di gomma, per insabbiare le rivelazioni pericolose o diluirle con altre notizie come quelle sui tentativi di hackeraggio russi al G-20.
Che lo spionaggio americano non sia stato mirato alla lotta al terrorismo lo dimostrano i flussi della raccolta di dati sulle telefonate. Nei documenti di Snowden c’è il calendario delle conversazioni monitorate in Italia nel dicembre 2012: tra lunedì 10 e venerdì 21 ne controllano quasi 4 milioni al giorno. L’attività degli 007 statunitensi crolla da sabato 22 dicembre: mezzo milioni di chiamate vigilate, ancora meno il 23 e la vigilia di Natale. Poi più nulla fino a venerdì 28, quando catturano mezzo milione di conversazioni. E quindi ancora silenzio fino all’8 gennaio. Perché? I miliziani islamici festeggiavano il Santo Natale e l’Epifania? Oppure erano andati a sciare senza portarsi dietro il cellulare?
No, le finalità di questa gigantesca schedatura sono altre. Il record di controlli avviene nelle settimane delle dimissioni di Mario Monti da Palazzo Chigi: l’inizio della campagna elettorale più incerta della Seconda Repubblica. Il picco massimo scatta giovedì 13 dicembre, quando si conclude il primo mandato di Giorgio Napolitano, lasciando la nazione senza premier né presidente. In questo periodo lo spionaggio quotidiano in Italia supera quello in Francia ed è inferiore in Europa solo a quello nei confronti della Germania. Le priorità di Washington nella sorveglianza sono indicate in un altro file di Snowden: al primo posto ci sono “le intenzioni della leadership”, poi la “stabilità economica”, quindi le “minacce alla stabilità finanziaria” e gli “obiettivi di politica estera”. Ossia tutto quello che in quei giorni era messo in discussione dallo scioglimento delle Camere. Se anche lo spionaggio si fosse limitato al censimento di massa delle conversazioni – chi chiama chi, con quale sim e da quale cellulare – si tratterebbe di una grave intromissione nella vita democratica del paese. Ma non si può escludere che siano stati pure registrati i colloqui e seguiti i movimenti degli apparecchi. Le regole Usa vietano infatti l’ascolto e la tracciatura degli spostamenti solo nei confronti di cittadini statunitensi.
Capire cosa è successo nel nostro Paese, quali persone e quali istituzioni sono state spiate dovrebbe essere fondamentale. Anche perché tra gli interessi dell’intelligence americana c’erano altre questioni di rilevante natura commerciale. Come “i sistemi d’armamento convenzionali avanzati”, il cuore dell’export di Finmeccanica, e “la sicurezza energetica”, materia che riguarda molto da vicino l’Eni. In che maniera i dati catturati possono essersi tradotti in una concorrenza sleale verso le aziende italiane?
Di fronte allo tsunami di rivelazioni, fino a lunedì 28 ottobre i servizi segreti diretti dall’ambasciatore Giampiero Massolo hanno fatto catenaccio. Si sono trincerati dietro una serie di distinguo tra monitoraggio e intercettazioni, smentendo tutte le notizie che riguardavano il nostro Paese. Il giorno dopo qualcosa è cambiato. Il premier Enrico Letta ha convocato il comitato di ministri che vigila sulla sicurezza, chiedendo alla nostra intelligence «di fare chiarezza». Marco Minniti, sottosegretario con delega ai servizi, ha riconosciuto: «È evidente che c’è un problema che riguarda l’intelligence del paese più potente del mondo, gli Usa». Per poi garantire «su correttezza e lealtà dell’intelligence italiana», promettendo che questa difenderà «i principi di sicurezza e di libertà dei cittadini italiani senza guardare in faccia nessuno». È sempre stato così? Da decenni nostri agenti sono abituati ad agire in strettissimo rapporto con i colleghi americani.
Quasi in osmosi, come testimoniano i casi in cui le missioni congiunte sono finite male: dai finti dossier del Nigergate, passati da Roma a Washington per giustificare l’invasione dell’Iraq, al sequestro di Abu Omar. Le iniziative autonome sono un’eccezione. Lo ha ricordato lo stesso Minniti poche settimane fa citando un episodio avvenuto durante l’esecutivo D’Alema: «I nostri servizi fecero un’operazione ed un autorevole direttore di un’agenzia straniera venne in Italia e volle incontrarmi nella mia funzione di sottosegretario ai servizi, per sapere come era stata fatta. E questo perché, per la prima volta, non avevano saputo dettagliatamente ed in anticipo quello che avrebbe fatto l’intelligence italiana».
Oggi l’Italia sta perdendo un’occasione irripetibile per uscire dalla serie B delle potenze internazionali. Dietro la voce grossa di Germania e Francia c’è un obiettivo strategico: entrare a pieno titolo nel Five Eyes, il patto di scambio delle informazioni top secret che unisce Usa e paesi anglosassoni. Per Parigi e Berlino, sedere a quel tavolo è l’unico modo per evitare altre intrusioni. Roma invece tentenna, incapace di uscire da un passato di sovranità limitata e muri di gomma.
GUARDA Il documento di Snowden pubblicato da der Spiegel che indica l'esistenza di una centrale di spionaggio anche a Milano