Non si chiarisce la vicenda dell'ex ambasciatore italiano in Turkmenistan trattenuto nelle Filippine fino alla conclusione di un processo che si annuncia interminabile. E l'interrogazione al ministro degli Esteri italiano finora è rimasta senza risposta

Non ha avuto certamente per ora lo stesso impatto mediatico, eppure assomiglia sempre di più ad un nuovo caso Marò.

E' la vicenda dell’ambasciatore italiano in Turkmenistan Daniele Bosio, arrestato il 5 aprile scorso nelle Filippine, mentre era in vacanza, con l’accusa di aver violato la legge sulla protezione dei minori. Una vicenda quanto meno controversa sulla quale, circa un mese fa, il senatore Lucio Barani (Gal) aveva presentato un’interrogazione a risposta scritta all’ex ministro degli Esteri, Federica Mogherini. Ma ora che la neo Lady Pesc ha assunto la carica di commissario europeo alla Politica estera e alla sicurezza comune della Ue ed è stata avvicendata alla Farnesina, la pratica passerà per le mani del suo successore.

?«L’ormai ex ministro Mogherini ha brillato per assenza, confido che ora Paolo Gentiloni mostri maggiore interesse per quello che, a tutti gli effetti, è diventato un nuovo caso Marò», si augura Barani. Anche perché, dopo che il 31 ottobre la “petition for review”, una sorta di ricorso amministrativo proposto al ministro della Giustizia delle Filippine, che avrebbe potuto, se accolto, chiudere definitivamente il caso, è stato invece rigettato, la vicenda si è ulteriormente complicata.

Un passo indietro. Dopo l'arresto Bosio tenta, fin da subito, di contattare l’ambasciata «il cui numero di emergenza, nonché quello personale dell’ambasciatore e del vicario, non hanno risposto per 18 ore», si legge nell’interrogazione. Circostanza confermata anche dal legale italiano del diplomatico, l’avvocato Elisabetta Busuito: «Un dettaglio che, del resto, non è mai stato smentito». Quando finalmente riesce a parlare con l’ambasciata, il diplomatico chiede assistenza per nominare un avvocato difensore in vista dell’udienza di convalida dell’arresto. «In questa fase così fondamentale, l’ambasciata ha ancora una volta drammaticamente tardato un’intera giornata nel reperire un legale e soprattutto ne ha proposto uno totalmente inadeguato che non solo non era specializzato in diritto penale ma non ha nemmeno ritenuto opportuno recarsi in tribunale per l’udienza di convalida dell’arresto», continua Barani.

Legale che si sarebbe limitato «a consigliare per telefono a Bosio» di firmare un documento «dai contenuti incomprensibili con il quale rinunciava alla scarcerazione immediata e ai propri diritti di difesa». Risultato: 40 giorni trascorsi in una cella di 30 metri quadri con oltre 80 persone, prima di essere trasferito in ospedale per gravi problemi renali sopravvenuti durante la detenzione.

Ma di cosa è accusato il diplomatico italiano? Il 5 aprile, Bosio, che come ricorda Barani ha «alle spalle oltre 20 anni di attività nel volontariato, in Italia e all’estero», incontra tre bambini di strada. Colpito dalle loro tragiche condizioni di vita, li invita a trascorrere il pomeriggio in un parco acquatico. Per questo, secondo la ricostruzione del senatore di Gal, «è stato denunciato da due attiviste di un’organizzazione non governativa, “Bahay Tuluyan”, ed è ora accusato di abuso e di traffico di minori (reato quest’ultimo punibile nelle Filippine con l’ergastolo, ndr) per averli raccolti, aiutati a ripulirsi, curati, rivestiti con abiti nuovi e puliti e portati al parco acquatico». Ma quando finalmente compare dinanzi ad un giudice, la sua posizione si alleggerisce notevolmente. «Bosio aveva chiesto ai bambini di ottenere il permesso dei genitori per venire al parco e questi ultimi hanno dichiarato per iscritto con “affidavit” giurato di averlo dato», prosegue l’interrogazione. E al termine dell’udienza, nel corso della quale vengono sentiti anche i bambini, gli viene concessa la libertà su cauzione proprio «perché non sussistono sufficienti elementi di colpevolezza».

Ciononostante, sulle sue spalle, continua a pendere il vincolo di rimanere nelle Filippine fino alla fine di un processo (già in corso) dalla durata indeterminabile. Nel frattempo la petition for review è stata respinta. «Resta il dubbio che, trattandosi di una decisione spettante al governo, la Farnesina non abbia esercitato tutta la pressione necessaria sul governo di Manila per sollecitare una soluzione favorevole e immediata del caso e su questo dubbio chiediamo al neo-ministro Gentiloni di fare chiarezza», spiega all’Espresso il senatore Barani. Il prossimo passo della difesa sarà ora quello di riproporre la questione, attraverso la “motion for reconsideration”, una sorta di secondo grado del ricorso amministrativo già presentato e rigettato. Ma al di là del merito della vicenda giudiziaria che nelle Filippine, a differenza di quanto accaduto in Italia, ha avuto e sta avendo una grande eco mediatica, è sulla condotta del ministero degli Esteri italiano che si concentrano le principali accuse di Barani. «A partire dalla lunga e cruciale fase iniziale, la Farnesina ha abdicato al suo ruolo di tutela del cittadino italiano, lasciando che un’innumerevole quantità di violazioni procedurali (a partire dalle indagini preliminari durate 60 giorni anziché 15 come previsto dalla legge filippina) condizionassero il rispetto dei diritti alla difesa di Bosio», scrive il senatore di Gal.

Rilievi condivisi anche dalla difesa del diplomatico italiano? «Noi ci limitiamo ai fatti», chiarisce l’avvocato Busuito, «E i fatti dicono che nonostante l’unica pronuncia giudiziale sia stata finora a noi favorevole, la “petition for review” è stata respinta. Inoltre, il silenzio dei media italiani, mi fa riflettere: il nuovo ministro italiano ha già detto che farà tutto il possibile per risolvere il caso Marò, su Bosio, invece, non ricordo prese di posizione della Farnesina, eccezion fatta per il provvedimento di sospensione adottato nei suoi confronti dopo l’arresto».

Contattato da l’Espresso, intanto, il ministero degli Esteri fa sapere che «La Farnesina continuerà a seguire la vicenda di Bosio con l’attenzione necessaria e con il rispetto dovuto alla magistratura locale, premessa necessaria di ogni azione in favore dei detenuti italiani nel mondo». E ancora: «Come per tutti gli altri Stati, in caso di interventi a favore di propri cittadini detenuti per comportamenti riconducibili alla sfera privata, la nostra azione deve svolgersi entro i limiti imposti dal diritto e dalla prassi internazionale (fra questi proprio il rispetto per le Autorità giudiziarie straniere). Continueremo ad attenerci a questa linea di condotta continuando naturalmente ad assicurare il massimo sostegno al connazionale».

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