M5S e Marine Le Pen contro il Presidente della Commissione europea: "Pensare che possa risolvere il problema dell'evasione fiscale è come mettere Al Capone a capo della Commissione sicurezza ed etica". La replica: "Smettete di offendermi". Giovedì il voto
STRASBURGO - Jean-Claude Juncker elude ancora: il Presidente della Commissione europea promette ancora una volta misure per il futuro, ma senza fare luce – per meglio dire trasparenza – sul suo passato di premier del Lussemburgo. Il dibattito sulla mozione di censura presentata dal gruppo EFDD del Movimento 5 Stelle e dell'Ukip, ed appoggiata anche dall'estrema destra senza famiglia politica della Le Pen e della Lega Nord, rimane il più lontano possibile dal cuore del problema sollevato dall'inchiesta LuxLeaks. Insulti incrociati che non toccano il nocciolo della questione, ossia quanto il castello fiscale messo in piedi dal Granducato fosse trasparente e come e quanto abbia drenato gettito fiscale agli altri Stati Ue, creando un sistema di elusione che non è solo proprio del Lussemburgo, ma che acquista, per le responsabilità dirette di Juncker, una ben diversa rilevanza politica europea.
Responsabilità a cui il diretto interessato si sottrae con frasi ad effetto ma assai difficili da valutare: “Mi interrogo sul senso profondo della mozione – ha affermato nel suo primo intervento in aula – e ho l'impressione che il fine non sia quello esposto, perché si dovrebbe ben sapere che non sono l'amico dei grandi capitali: negli uffici della grandi multinazionai si sa chi sono gli amici del capitale, e non sono certo io”. Un'affermazione che vuole rassicurare gli eurodeputati sulla bontà di una conversione, la sua, quella di un premier che per 20 anni ha vantato la bontà di politiche fiscali aggressive e che ora, diventato il Presidente della Commissione Ue, promette la linea dura contro l'elusione fiscale, misure per l'armonizzazione tra i diversi regimi degli Stati membri e sistemi di interscambio di informazioni.
Poco importa che le sue proposte, presentate sotto la procedura dell'unanimità (quando in alcuni casi si poteva procedere con la maggioranza qualificata), non verranno mai approvate dagli Stati membri, visto che basterà che uno a turno, tra Lussemburgo, Gran Bretagna, Irlanda, Olanda, Estonia, Polonia e Slovacchia dica di no, per il momento la sua difesa basta a disinnescare il Parlamento: regge il patto tra popolari, socialisti e liberali, verdi ed estrema sinistra non hanno alcuna intenzione di sommarsi alla mozione dell'estrema destra ed i conservatori sono contenti se non si fa nulla che possa indispettire la City.
Il dibattito si risolve così in un'occasione persa, con i gruppi politici che preferiscono la reciproca offesa alle domande a Juncker, il tutto a partire da Marco Zanni, il pentastellato primo firmatario della mozione, che accusa sinistra, socialisti, liberali e verdi per non seguire la via della sfiducia, per l'oggetto della mozione solo una frase: “Juncker è l'immagine peggiore di questa Europa, a capo dell'eurogruppo ha approvato le peggiori decisioni, mentre affamavate la Grecia ha sottratto miliardi di euro al fisco degli altri paesi. Manfred Weber, capogruppo PPE, ribatte scagliandosi contro Farage e Le Pen, espressione di quell'Europa delle nazioni che “è la vecchia Europa, quella che ha perseguito le minoranza e gli ebrei” e che “è colpevole delle azioni” che hanno permesso l'elusione fiscale delle grandi imprese.
Poi tocca a Gianni Pittella, leader S&D, che disegna scenari apocalittici in caso di sfiducia di una Commissione insediatisi appena “24 giorni fa” e che “presenterà il piano da 300 miliardi” di investimenti. Il liberaldemocratico Guy Verhofstadt segue Weber e si rigetta contro Farage e compagni, poi, finalmente, qualcuno, il conservatore polacco Ryskard Antoni Legutko, parla di “problema Juncker”, di “ingenuità non etica del leader del Lussemburgo, di “un'ombra dello scandalo” che lo seguirà fino a che il “problema non sarà risolto una volta per tutte”. Legutko chiede indagini indipendenti, e non realizzate dalla Commissione, ma per quel che riguarda l'armonizzazione fiscale, la soluzione al problema, non ha fretta: “non ora, non con questa situazione economica e non con questa Commissione presieduta da lei”.
Un passo in più lo fa la capogruppo della Sinistra unitaria Gaby Zimmer che, pur non appoggiando la mozione presentata dall'estrema destra, punta il dito sul “sistema Juncker” fondato sui 580 accordi fiscali a favore di 340 grandi società e chiede una Commissione d'inchiesta per far luce sul LuxLeaks. A chiudere il cerchio è Marine Le Pen, a più riprese chiamata in causa: “Ciò che è stato fatto ha impoverito molti paesi europei, lei – ha detto – è il responsabile della creazione di questa tecnica di evasione fiscale su larga scala, pensare che Juncker possa affrontare e risolvere il problema dell'evasione fiscale è tanto cerdibile come mettere Al Capone a capo della Commissione sicurezza ed etica: lei non è ingrado di risolvere questi problemi”.
Un attacco a cui Juncker reagisce con una replica densa di rabbia. “Ma quale sistema Juncker?”, grida nella plenaria. E poi: “Basta, smettetela di offendermi qui ci sono persone che non si possono offendere, mentre a me mi si può ancora offendere, quando io sono qui a fare quello che ho promesso di fare, con tutta la mia energia, al 100%”. Si vota giovedì e Juncker può stare tranquillo: al 100% la mozione di censura non verrà approvata.