Poche ore dopo l'assedio al caffè di Sydney, in cui hanno perso la vita due ostaggi, il mondo è stato testimone di un nuovo clamoroso attacco terroristico, stavolta in una scuola di Peshawar, in Pakistan, e a morire sono stati almeno 135, perlopiù bambini. È un nuovo episodio della guerra che i fondamentalisti islamici portano al mondo, ma anche di una guerra interna a quella stessa realtà. Per la conquista della leadership globale del terrorismo islamico.
Da un lato Man Haron Monis, il sequestratore di Sydney, poi rimasto ucciso, aveva infatti da poche settimane giurato fedeltà all'Isis, lo Stato Islamico guidato dal "Califfo" Abu Bakr al-Baghdadi, la formazione jihadista che grazie alle vittorie in Siria e Iraq ha oscurato in questi mesi la vecchia guardia di Al Qaeda. Dall'altro, i terroristi che hanno attaccato la scuola militare di Peshawar appartengono invece a Tehreek-e-Taliban Pakistan (Ttp), un gruppo talebano vicino a quella Al Qaeda che, dopo l'uccisione di Osama Bin Laden, fatica a mantenere la sua attrattiva globale con il suo poco carismatico leader, l'anziano Ayman al-Zawahiri, ex braccio destro di Bin Laden e, rispetto al "Califfo", uomo di studi più che d'azione.
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È una guerra che si nutre di armi e morti, ma anche di simboli, come dimostra anche il caso di Monis, che durante la sua operazione ha chiesto la bandiera dell'Isis. Monis sarà stato pure uno squilibrato “lupo solitario” (era un iraniano sciita da poco convertitosi al sunnismo e a un'ideologia, quella dell'Isis, che vorrebbe fare piazza pulita degli sciiti, e al momento non risultato legami diretti con lo Stato Islamico), ma con il suo gesto ha dimostrato che oggi, in Occidente, se un fondamentalista vuole compiere un attentato, è più probabile che senta il richiamo al jihad dell'Isis che di Al Qaeda, così come d'altronde era un membro dell'Isis Mehdi Nemmouche, l'attentatore del museo ebraico di Bruxelles, che il 24 maggio ha ucciso quattro persone.
La sfida dunque è globale. Ma è anche locale. Difficile per esempio non considerare come l'attacco alla scuola di Peshawar sia stato prodotto in un momento molto delicato da Tehreek-e-Taliban, un gruppo vicino ad Al Qaeda e ai talebani afghani, che combatte nel Nord-Ovest del Pakistan contro l'esercito governativo ed è nato nel 2007 dall'unione di una dozzina di formazioni.
A metà ottobre, infatti, hanno cacciato il loro influente portavoce, Shahidullah Shahid (anche noto come Sheikh Maqbool), perché insieme ad altri cinque comandanti aveva giurato fedeltà all'Isis e al Califfo, l'uomo che sta sfidando apertamente l'Occidente, e non se ne sta chiuso in una caverna come Zawahiri o come il capo dei talebani afghani Mullah Omar (che non si sa nemmeno se sia ancora vivo). Poco prima era toccato all'Islamic Movement of Uzbekistan, un gruppo pachistano, cambiare alleanza. E a novembre, infine, un'altra fazione ha lasciato i talebani, ha creato il gruppo Jundullah e si è dichiarato fedele al “Califfo”.
Che il “brand” dello Stato Islamico sia oggi più di moda di Al Qaeda lo dimostra il fatto che persino in un Paese come il Pakistan, storicamente legato ad Al Qaeda e geograficamente lontano dall'Iraq e dalla Siria, l'Isis abbia fatto breccia. A novembre a Karachi e Lahore sono spuntati graffiti, poster e pamphlet con il suo logo. Un documento governativo rubato indicherebbe in 10-12mila i combattenti dell'Isis in Pakistan, ma le autorità lo hanno subito smentito.
Le differenze tra vecchia e nuova guardia sono di attrattiva e di fondi («Quelli dell'Isis sono i nuovi poster boy della jihad islamica e hanno un sacco di soldi», sostiene Saifullah Mahsud, del Fata Research Centre di Islamabad), ma anche di strategia. L'Isis è più settario, più integralista sunnita e più sanguinario di Al Qaeda, che infatti a giugno l'ha ammonito a non far guerra ai musulmani sciiti e a non esagerare con la crudeltà.
Che l'Isis punti al Pakistan è evidente anche dal fatto che qualche mese abbia chiesto agli americani, per uno scambio di prigionieri con i giornalisti James Foley e Steven J. Sotloff, il rilascio della scienziata pakistana Aafia Siddiqui, in carcere negli Stati Uniti. Si è insomma abilmente impadronito di quella che fino ad allora era una campagna talebana.
Secondo molti, l'obiettivo è quello di guadagnare influenza nel Baluchistan, e da lì colpire gli sciiti direttamente in Iran. Un editoriale del quotidiano pakistano “Dawn”, il mese scorso, così metteva in guardia dal sottovalutare la minaccia dell'Isis nel Paese: «Lo Stato Islamico potrebbe andare ben oltre quanto Al Qaeda, Lashkar-i-Jhangvi o Ttp hanno ottenuto qui». L'attentato alla scuola di Peshawar sembra essere una risposta dei talebani pachistani all'avanzata locale e globale dell'Isis. Un'azione la cui credeltà è all'altezza di quella del Califfo.