In Europa soffia vento di protesta, non solo a destra ma anche a sinistra. Dovranno tenerne conto i partiti ora che si preparano a spartirsi le cariche e a stabilire gli equilibri del nuovo Parlamento
Da Bruxelles -
Jean Claude Juncker batte
Martin Schulz ma la notizia, per quanto attesa, è un'altra:
Marine Le Pen e
Nigel Farage battono tutti in Francia e in Regno Unito. L'Europa si sveglia dopo la notte elettorale con molti dubbi e una certezza: il terremoto degli eurofobi, euroscettici, antieuro e populisti c'è stato, ma la baracca è ancora in piedi, apparentemente salda. Per andare avanti le grandi famiglie politiche europee dovranno scendere a patti tra loro e pattare per forza di cose al centro. Inizieranno a farlo da subito, dal nodo delle nomine istituzionali.
Juncker, forte di 214 eurodeputati, ha immediatamente rivendicato il diritto del vincitore, quello di iniziare lui i negoziati per l'incarico di Presidente della Commissione, parlando con i socialisti, ma “non da subalterno”. Schulz, staccato al momento di 25 seggi, non si dà per vinto e si dice pronto a ricevere il sostegno di chiunque voglia sostenere il suo programma: “Lotta contro disoccupazione, soprattutto giovanile, lotta contro frode ed evasione fiscale e miglioramento del controllo del settore bancario, salvato dai contribuenti”. “Dovranno negoziare anche con noi”, avverte il belga Guy Verhofstadt, arrivato terzo con i suoi liberaldemocratici, fermi a meno di 70 deputati.
Martedì mattina è prevista una prima riunione dei capigruppo del Parlamento Ue per valutare possibili alleanze ed accordi, senza escludere una ripartizione salomonica: Juncker alla Presidenza del Consiglio Ue (carica meno impegnativa e che il lussemburghese sembra prediligere), Schulz a quella della Commissione e Verhofstadt al Parlamento. Il tutto facendo i conti senza l'oste, ossia senza i capi di Stato e di governo che si riuniscono martedì sera sempre a Bruxelles. L'ungherese Orban ha già detto che non vuole Juncker Presidente della Commissione, su di lui potrebbe pesare anche un veto di Cameron. E mentre già circola il nome della Lagarde, i candidati alla poltrona di Barroso affermano in coro che non tenere in considerazione il voto popolare – ossia loro - sarebbe come un golpe.
Il voto popolare, intanto, indica che in Europa soffia aria di protesta, non solo un vento di destra come in Francia ed in Regno Unito, in Austria, in Danimarca ed in Olanda, ma anche di sinistra in Grecia con Tsipras che sbaraglia tutti e dove meno te l'aspetti, come in Spagna, in cui perdono popolari e socialisti e fa furore Podemos, creatura nata a gennaio e capace di catalizzare il voto degli Indignados portando dal nulla 5 eurodeputati a Strasburgo (andranno al Gue, la sinistra unitaria, che dovrebbe inglobare anche i 3 eletti dell'Altraeuropa per Tsipras). Il risultato è un Parlamento polarizzato che manda in pensione il bipartitismo. Non c'è alternanza possibile a Strasburgo: il centro sinistra non ha i numeri per fare maggioranza, il centro destra dovrebbe farla con populisti ed eurofobi di diverso grado e tenore. Cammino obbligato il centro, con PPE e PSE che raccolgono assieme il 53% dei deputati, cifra che sale al 62% inglobando i liberaldemocratici.
Se la grande coalizione è la via indicata, non è nemmeno una via nuova, visto che nella scorsa legislatura PPE e S&D-PSE hanno votato nella medesima maniera quasi 3 volte su 4 (per la precisione nel 73,64% dei casi) e sopratutto non è necessariamente la via migliore. “La grande coalizione – spiega il sociologo José Maria Maravall - sarebbe una dichiarazione di debolezza, proprio ora che c'è bisogno di un governo che assuma responsabilità. La Ue è uno strano animale politico in cui la responsabilità dei leader sfuma e la cittadinanza è incapace di attribuire le colpe e di castigare in maniera coerente. Per questo crescono i radicali”.
Radicali che faranno presto famiglia. Per mercoledì è attesa una conferenza stampa di Marine Le Pen con Geert Wilders, i rappresentanti del FPO austriaco e probabilmente Matteo Salvini. Obiettivo è lanciare l'Alleanza Europea per la Libertà, EAF nell'acronimo inglese, il gruppo degli eurofobi, populisti e xenofobi. Le Pen, a caldo, si è impegnata a “difendere gli interessi e l'identità dei francesi”. In 5 anni da eurodeputata non s'è mai vista a Bruxelles e Strasburgo a difendere, nella pratica, gli interessi dei francesi, assente cronica nella Commissione affari sociali e lavoro, al pari di un Salvini in quella mercato interno. Il successo degli eurofobici è anche quello di passare per difensori di interessi che non difendono, se non a parole.
E parole sono al momento le uniche che scorrono tra il Movimento 5 Stelle e i suoi possibili partner europei. Ci sono stati contatti con l'UKIP di Farage e con i verdi, ma nulla è ancora stato deciso. L'iconoclasta Farage sembra più affine a Grillo, mentre Casaleggio potrebbe preferire i verdi, sempre che questi ultimi accettino un partito che non la pensa esattamente come loro su temi sensibili, quali l'euro e l'immigrazione.