Il pronipote dell'ideologo del movimento 'Giovane Bosnia', ispiratore dell'attentato del 28 giugno 1914: "far di loro dei terroristi è semplicemente vergognoso"

Vladimir Gacinovic fu il fondatore e l’ideologo di “Mlada Bosna”, la Giovane Bosnia, un movimento che si batteva per l’indipendenza dall’Austria-Ungheria. È quindi considerato l’ispiratore di Princip e del gruppo che organizzò l’attentato di Sarajevo. Di famiglia serba, arrivata in Erzegovina dall’odierno Montenegro, Gacinovic morì a soli 27 anni, molto probabilmente avvelenato.

Il pronipote Radoslav Gacinovic, 59 anni, insegna all’Istituto di Scienze politiche di Belgrado e ha recentemente pubblicato il saggio “Mlada Bosna”. A lui “l’Espresso” ha chiesto di descrivere idee e personaggi legati all’attentato, visti cent’anni dopo.

[[ge:rep-locali:espresso:285126371]]Radoslav Gacinovic, cos’era esattamente la “Giovane Bosnia”?
«Gacinovic aveva preso spunto dai movimenti libertari italiani e in modo particolare dalla Giovine Italia di Giuseppe Mazzini, dalla quale ha preso il nome. La tradizione rivoluzionaria risorgimentale italiana ha influenzato molto gli eventi in Erzegovina, sia nella rivolta serba del 1861 sia in quella del 1875-1876 ci furono stretti rapporti con sostenitori di Garibaldi. Lo stesso Vladimir già a 15 anni si definiva un garibaldino».

Anniversari
A Sarajevo uno sparo lungo cent'anni
1/7/2014
Qualcuno oggi li definisce terroristi.
«Paragonare i membri della Giovane Bosnia a criminali o terroristi è semplicemente una vergogna, solo politici senza scrupoli e senza principi possono farlo. Vorrei ricordare a chi intende falsificare la storia che Gavrilo Princip non ha ucciso Francesco Ferdinando a Vienna o a Budapest, ma in Bosnia-Erzegovina, che era sotto annessione austriaca. Princip ha ucciso un invasore e la Giovane Bosnia voleva solo la libertà».

Come si conobbero Gacinovic e Princip?
«La prima volta a Sarajevo, e Gacinovic impressionò molto i presenti. Vladimir, colto e amante dell’opera (soprattutto della “Carmen”), intelligente e raffinato, conosceva diverse lingue straniere. Era di convinzioni forti, nemico giurato della monarchia austro-ungarica. Tornato dagli Usa, si era laureato in filosofia a Friburgo e il suo motto è sempre stato “libertà”».

Poi si videro ancora?
«Sì, a Belgrado nell’estate 1912, dove hanno discusso di attività rivoluzionarie da organizzare in Bosnia. È probabile che l’idea dell’attentato abbia origine da quell’incontro. Gacinovic sosteneva che il primo da eliminare fosse Oskar Potiorek, il governatore di Vienna in Bosnia-Erzegovina che odiava i serbi. Solo dopo ci si doveva occupare di Francesco Ferdinando. Valutò però il momento politico e soprattutto militare nei Balcani e alla fine cambiò posizione».

In che senso?
«Si convinse che azioni individuali non fossero sufficienti, che ci volesse una rivoluzione con l’appoggio del popolo. Un fatto poco noto è che il 28 giugno 1914, sì proprio quel giorno, si tenne a Vienna una conferenza segreta per dire basta a singole iniziative e organizzare una ribellione di massa. Proprio mentre si lavorava sui particolari giunse la notizia dell’attentato di Sarajevo. La sua reazione fu realistica: “Questo ci potrebbe portare a una grande tragedia. La Serbia non è pronta alla guerra e l’Austria farà di tutto per provocarla”».

Vienna dichiarò guerra a Belgrado perché convinta che la Serbia fosse dietro l’attentato.
«Quando sono cominciate a girare le voci di un complotto il primo ministro Pasic ha subito ordinato al rappresentante serbo a Vienna, Jovan Jovanovic, di avvisare il governo austriaco. Il quale accolse l’informazione con arroganza e disprezzo pensando che nessuno avrebbe osato attaccare il trono austriaco. Quindi il governo di Belgrado non c’entra nulla. Dragutin Dimitrijevic Apis, leader dell’organizzazione segreta Mano Nera, sapeva ma non voleva credere che un gruppo di minorenni potesse realizzare un colpo del genere. All’ultimo momento mandò un suo stretto collaboratore, Djuro Sarac, a convincere Princip a lasciar perdere. Ma niente da fare...».

Gacinovic dopo l’attentato andò all’estero. Morì tra l’altro in circostanze misteriose.
«Sei giorni dopo la laurea all’Università di Friburgo Vladimir perse conoscenza dopo aver bevuto una tazza di caffè. Morì l’11 agosto 1917, alcuni amici e familiari richiesero un’autopsia avendo dubbi sulla causa della morte, ma il consolato serbo in Svizzera si mise di traverso per non contrastare gli svizzeri. Alla fine fu eseguita e la relazione del dottor Konjevic rivelò di aver trovato perforazioni nella parete dello stomaco causate da avvelenamento, forse arsenico. Il referto ufficiale non è mai stato trovato e quando Vladimir Dedijer (storico, politico e biografo ufficiale di Tito, il padre era amico di Apis, ndr) cercò di ottenere il documento sulla morte, l’ospedale di Friburgo rispose che il chirurgo era scomparso all’inizio della seconda guerra mondiale e che l’archivio dell’ospedale era stato distrutto durante un bombardamento».

Chi lo avvelenò?
«Non si sa, anche se esistono due interpretazioni. I servizi segreti di Austria e Francia, che in quel periodo a Friburgo trattavano per la pace (una delle condizioni poste da Vienna era l’eliminazione di tutti quelli coinvolti nell’attentato). O i nemici serbi della Mano Bianca, organizzazione fedele al principe Aleksandar Karadjordjevic».

Com’è Sarajevo cent’anni dopo?
«Nel 1914 mancavano libertà, democrazia e diritti umani, si viveva senza dignità, il governo era nelle mani degli austro-ungarici e la maggior parte delle violenze era rivolta verso i serbi. Ma devo dire che neppure oggi Sarajevo è una città multietnica o multiculturale, i serbi continuano a soffrire. Nel 1991 in città vivevano 160 mila serbi, oggi ce ne sono 10 mila. Cent’anni fa il governo era austriaco, oggi è la Turchia ad avere l’influsso più forte».

ha collaborato Sanja Djurkovic