Un missile ha spazzato via la sua casa e tutti i suoi cari. Parla l'unico superstite della famiglia Al Haj, di Khan younes, decimata da un bombardamento israeliano

Yasser sembra un uomo che abbia il peso del mondo sulle proprie spalle. Gli occhi vuoti, la voce roca. Lo sguardo vaga in cerca di qualcosa, di qualcuno. Giovedì scorso un missile di un F16 dell’aviazione israeliana gli ha portato via tutto, la casa, i cari, e molto probabilmente ogni speranza per il futuro.

Otto membri della famiglia Al-Haj, residente a Khan Younes, nel sud della striscia di Gaza, sono scomparsi senza tante storie. Svaniti nel fragore ovattato delle esplosioni che ormai sono diventate, da una settimana circa, la macabra colonna sonora nell’enclave controllata dalla fazione islamica militante di Hamas. E di Hamas Yasser faceva e fa parte, e quel missile era destinato a lui. “Dopo l’Iftar con la mia famiglia – il pasto che interrompe il digiuno giornaliero del Ramadan -, sono andato a fare due chiacchere con gli amici a poche centinaia di metri da casa” racconta. Poi la deflagrazione. La corsa con il cuore in gola sperando in un miracolo, le grida dei vicini, il fumo e la sabbia sollevata dall’esplosione, l’ululato delle ambulanze.
[[ge:espresso:internazionale:1.173146:article:https://espresso.repubblica.it/internazionale/2014/07/14/news/gaza-tra-missili-e-bombardamenti-i-numeri-dell-attacco-israeliano-1.173146]]
L’abitazione di Yasser Mohammed Al-Haj non c’è più. Collassando si è portata dietro altre due costruzioni, per fortuna senza vittime. Dove una volta sorgeva la sua casa, solo un cumulo di macerie mischiate agli oggetti personali della famiglia: vestiti, foto, pezzi di mobilia e tutto quello che poteva esserci dove una volta vivevano otto persone. “Sono un simpatizzante di Hamas, sì, è vero, ma la mia famiglia era innocente e non meritava di morire” dice in un sospiro, lasciandosi andare alle giaculatorie che nel corano descrivono il paradiso islamico, dove i martiri, come i membri della sua famiglia, trascorreranno l’eternità.

Ma Yasser non sa darsi pace mentre elenca la quasi interminabile lista dei suoi cari scomparsi: i genitori, Mahmoud e Basma, le sorelle Najla 29, Asmal 22 e Fatima 14, i fratelli Omar 21, Tarek 18 e Saad 16 anni. Il peso per la responsabilità della morte della sua famiglia e il fatto di essere l’unico sopravvissuto sembra schiacciare Yasser come un macigno invisibile. Per gli israeliani, c’era qualcosa in quella casa che ritenevano pericoloso: armi, esplosivo, razzi, o forse nulla. Solo l’ennesimo errore d’intelligence che con un click spazza via la vita delle persone. Non si saprà mai.

Yasser è attualmente “wanted” da Israele, sostengono alcuni abitanti di Khan Younes. Lui però nega, confuso, sostenuto verbalmente e fisicamente da due amici che non lo abbandonano mai. Mentre si congeda, dirigendosi verso la moschea di el-Furkham, a Khan Younes, l’incessante ronzio dei droni israeliani si mischia sinistramente al richiamo alla preghiera del muezzin locale.

La conta delle vittime della corrente escalation militare a Gaza sono in continuo aggiornamento. Gli ultimi dati ufficiali riportano 172 vittime – la maggior parte civili, donne, bambini e anziani - 9000 le abitazioni distrutte, due ospedali e un orfanotrofio severamente danneggiati. Dall’inizio delle operazioni, Israele si posto un obiettivo preciso: tagliare una volta per tutte le unghie agli islamici di Hamas o, come ha graficamente dichiarato il ministro dei trasporti israeliano Yisrael Katz, “rimuovere la minaccia dei missili e schiacciare la testa del serpente”. Di serpenti, qui a Gaza, se ne vedono pochi. Qualche gatto malnutrito sì, il resto è disperazione mescolata ad un’angoscia silenziosa.