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Si sono mobilitati per i rifugiati in Pakistan, per le vittime del terremoto di Haiti, o per i bambini del Sudan, la cui vita sin dalla nascita contempla solo fame, sete, malattie e guerra. Angelina e Brad raccolgono fondi per sostenere queste battaglie e mettono mano ai loro beni firmando assegni a sei zeri. Alla Casa Bianca sono ospiti graditi e il presidente Barack Obama ha con loro un rapporto molto amichevole. Angelina Jolie, poi, gira il mondo come “Goodwill Ambassador” delle Nazioni Unite, per recarsi dove più l’umanità soffre.
Ma, quando si parla di armi, gli oggetti che sono lo strumento che causa, incrementa e diffonde le crisi umanitarie in tutto il mondo, la coppia più famosa e più amata di Hollywood vola su un altro pianeta. Leggete che cosa dice Brad Pitt commentando il dibattito su possibili restrizioni nella vendita di pistole e fucili dopo i dodici morti e i settanta feriti causati nel 2012 dal delirio armato del 25enne James Holmes in un teatro di Aurora, Colorado: «L’America è una nazione fondata sulle armi, è nel nostro Dna. Vi sembrerà strano, ma io mi sento meglio se ho un’arma. Davvero! Non mi sento sicuro, non credo che la mia casa sia completamente sicura se non ho un’arma nascosta da qualche parte. Questo è il mio pensiero, giusto o sbagliato».
Angelina Jolie fa eco al suo compagno di vita con queste parole: «Ho comprato per la mia sicurezza armi identiche a quelle che abbiamo usato nel film “Tomb Raider”. Brad ed io non siamo contro il possesso di armi e ne abbiamo in casa. Sono capace di usarle se sono costretta. Se qualcuno viene a casa mia e minaccia i miei figli, non ho nessun problema a sparargli».
Brad e Angelina sono la fotografia più nitida di una subcultura delle armi profondamente radicata negli Stati Uniti e fondata sulla lettura letterale, se non messianica, del secondo emendamento della costituzione americana, che stabilisce il diritto del singolo di possedere e portare armi («The right of the people to keep and bear arms shall not be infringed»).
È una cultura che si rifiuta di tenere conto che siamo nel Ventunesimo secolo, che l’America è uno Stato federale che ha creato le strutture per la sicurezza collettiva, e ci riporta indietro al Diciottesimo secolo, quando gruppi di coloni irlandesi e inglesi cominciarono a muoversi dai monti Appalachian in direzione sud e ovest, e le armi erano necessarie come le vanghe per dissodare il terreno o i cavalli per spostarsi. Così, ogni idea di controllo, regolamentazione, proibizione non solo delle armi per il tiro a segno o la caccia, ma anche le repliche di strumenti adatti alla guerra, viene vissuta da centinaia di migliaia di americani come una violazione dei diritti costituzionali e una privazione della libertà personale.
Non importa che dalla fine degli anni Settanta a oggi ci siano stati una media di venti omicidi di massa ogni anno e con sempre più frequenza il Paese ha assistito al fatto che uno o più giovani arrivassero in una scuola o in una università e aprissero il fuoco su chiunque si parava di fronte. Gli assassini, spesso affetti da riconosciuti disturbi psichiatrici, si erano procurati le armi senza problemi: acquistandole, anche via Internet, o prelevandole nelle case dei parenti.
Columbine, University of Arizona, Virginia Tech, Red Lake High School, Amish School, Northern Illinois University, Sandy Hook Elementary School - solo per ricordare alcune delle stragi di scuole e università, senza menzionare quelle avvenute negli uffici, nei ristoranti o in strada o l’infinita serie di omicidi legati ad attività criminali - non sono state sufficienti ad alterare gli equilibri a favore di coloro che vorrebbero più regole nella vendita, nel possesso e nel trasporto.
Anzi. In questi ultimi mesi è in atto una rivincita legislativa che cammina insieme ad un aumento a doppia cifra nella produzione e nella vendita: secondo i dati del Bureau of Alcohol, Tobacco, Firearms and Explosives, nel 2012 c’è stata una produzione record di armi da fuoco, ben 8,57 milioni di pezzi, con un aumento del 31 per cento rispetto al 2011. A maggior produzione, e dunque a maggior vendita - che tutti gli analisti legano al timore che prima o poi si arrivi a una restrizione nel commercio - ha fatto da contraltare una robusta iniziativa legislativa pro armi sia a livello federale che statale. Al Senato è in discussione una legge che, sotto la bandiera delle attività ricreative e sportive, intende rendere ancora più semplice l’uso delle armi in quei grandi spazi che sono definiti “terra pubblica” e più facile l’acquisto di munizioni. Nelle prime votazioni, su cento membri del Senato, i favorevoli sono stati 82 e i contrari 12.
In Georgia, Stato del sud dove la retorica del secondo emendamento è quasi religione, il Parlamento statale ha reso ancora più facile la detenzione e il porto di pistole e fucili. Il governatore Nathan Deal ha firmato in modo solenne la legge lo scorso 8 giugno, e lo ha applaudito il candidato del Partito democratico che vorrebbe prendere quel posto con le elezioni di novembre: è Jason Carter, nipote dell’ex presidente Jimmy Carter. Le nuove norme consentono maggiore libertà di portare le armi in pubblico, cancellano i controlli per il commercio di pistole e fucili tra privati, affidano ai singoli commercianti il diritto di vietare l’ingresso di persone armate nel loro locale, e, bontà del legislatore, chiedono un documento scritto per autorizzare l’ingresso di persone armate nelle scuole di qualsiasi ordine e grado. In Texas, invece, c’è gran fermento per riuscire a cancellare ogni vincolo per portare le armi in pubblico, che sia il ristorante, il cinema o il supermercato.
Eppure, a gennaio del 2011 si era creato un clima favorevole per affidare al Congresso una nuova legge più restrittiva in seguito alla strage (sei morti, tredici feriti) che il 22enne Jared Loughner mise a segno a Tucson, Arizona, durante il comizio della candidata democratica al Congresso Gabby Gifford, la quale, pur colpita alla testa, riuscì a sopravvivere ed è diventata una testimonial del movimento anti armi. Il presidente Barack Obama decise di mettere il Congresso davanti alla proprie responsabilità e chiese una nuova legge. Lo fece con toni che sembrarono colpire al cuore l’intera America: «Dovremmo avere la volontà di sfidare vecchi pregiudizi sul modo di ridurre in futuro questo tipo di violenza».
Obama chiamò gli americani a un «dibattito nazionale su ogni aspetto del problema, dal quale possa nascere una legge che garantisca i cittadini dalle armi fino al nostro sistema di controllo sulla salute mentale». Gli applausi, però, si spensero presto, e non è rimasto nulla. Neanche la strage del 2012 nella scuola elementare di Sandy Hook, in Connecticut (venti bambini e sei adulti freddati da un ventenne che per procurarsi le armi aveva ucciso anche la madre) riuscì a mettere in moto il Congresso.
Eppure, l’idea di riforma della Casa Bianca non ha nulla di rivoluzionario: vuole estendere i controlli preventivi per qualsiasi acquisto di armi, bandire le semiautomatiche usate dagli eserciti, proibire l’uso di caricatori con troppi colpi e immagina psicologi nelle scuole, una lotta senza quartiere al traffico clandestino di armi, uno studio sull’influenza che tv, cinema e giochi possono avere quando trattano argomenti violenti. Così, la sola legge anti armi made in Usa dell’ultimo trentennio resta quella del 1994 di Bill Clinton (bandì la possibilità di possedere armi semiautomatiche da guerra), che però è scaduta dieci anni dopo, per il lungo lavoro delle lobby pro armi.
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La più importante è la National Rifle Association, il gruppo che difende chiunque desideri possedere, esibire, trasportare un’arma come fosse ancora al tempo dei pionieri. La Nra è in continua crescita, ad aprile ha annunciato di avere 5 milioni di iscritti quando nel 1982 ne contava 2,4 milioni, e negli ultimi 30 anni ha distribuito quasi 20 milioni di dollari ai candidati pro armi, l’82 per cento del Partito repubblicano, il 18 del Democratico. Solo negli ultimi due anni si è affacciata sulla scena una lobby che vuole contrastare l’Nra in modo diretto, Stato per Stato, collegio elettorale per collegio elettorale. Si chiama Everytown for Gun Safety, è nata dalla decisione dell’ex sindaco di New York Michael Bloomberg di invertire la tendenza dominante e firmare un assegno da 50 milioni di dollari per aprire uffici in almeno dieci Stati. Primo obiettivo: fare la radiografia dei candidati a qualsiasi carica elettiva per conoscere che cosa pensano della questione, e decidere chi finanziare o meno.
Se si guarda all’evoluzione storica del sentimento anti armi del popolo americano e alla richiesta di maggiori controlli, si può concludere che la battaglia civile e politica per maggiori controlli nella vendita, nel possesso e nel trasporto di armi da fuoco può considerarsi, se non persa, sicuramente una “mission impossible”.
Dal 1992 a oggi, il partito pro pistole e fucili ha segnato un progressivo aumento dei simpatizzanti, visto che coloro che chiedono più rigore sono scesi dal 78 al 50 per cento. Dando così ragione ad un altro guru di Hollywood che, al contrario della coppia Brad Pitt - Angelina Jolie, non vive nella contraddizione di sostenere le cause umanitarie e, al tempo stesso, di amare le armi, facendosi scudo del secondo emendamento della Costituzione che risale al 1788. Il grande vecchio Clint Eastwood, l’attore che nella prima fase della carriera si è identificato con l’Ispettore Callaghan e la sua magnum 44, sostiene: «Io perseguo uno stretto controllo delle armi. Se ce ne sono in giro, voglio essere solo io a controllarle».