Ankara può dare ?un apporto decisivo alla coalizione che combatte l’Is. E farsi così perdonare ?i troppi errori commessi sinora
La clamorosa avanzata dello Stato Islamico impone alla Turchia una profonda revisione della propria politica estera. Ankara, al momento riluttante, dovrebbe infatti unire le forze con i suoi alleati e rivestire un ruolo determinante nella lotta finalizzata a contenere e sradicare l’Is.
Lo choc lo si è avuto con la caduta di Mosul. Un brutto colpo per tutte le potenze regionali e globali, che però ha fatto convergere le visioni di quelli che in altre circostanze sarebbero nemici implacabili. Uno dei primi risultati di questo nuovo scenario è stata la cooperazione tra Teheran e Washington, che ha permesso di presentare al Primo ministro iracheno al-Maliki un’offerta che non poteva rifiutare. Lo hanno sostituito con Haider al-Abadi, che dovrebbe essere più accomodante e accogliente nei confronti dei disillusi sunniti iracheni che hanno dato il loro determinante sostegno alle orde dell’Is.
La vittoria dell’Is a Mosul è stata una duplice sciagura per la Turchia e la sua politica estera. Non soltanto è caduta Mosul, città particolarmente importante per la maggior parte dei turchi a causa del suo enorme significato simbolico, ma oltretutto l’Is ha dato l’assalto al consolato turco e al momento trattiene 49 ostaggi turchi, compreso un neonato. Per aggiungere beffa al danno, il consolato turco espugnato è diventato il quartiere generale dell’Is in città. Quando lo Stato Islamico ha preso d’assalto i peshmerga curdi contro tutte le aspettative, e li ha scacciati dal territorio che avevano occupato subito dopo la caduta di Mosul, è subentrata un’ulteriore fase di impotenza per la Turchia. A causa della presa degli ostaggi, Ankara non è potuta intervenire militarmente per aiutare il suo alleato Masud Barzani, il presidente del governo regionale del Kurdistan. I combattenti del Pkk, invece, sono riusciti a tenersi alla larga dall’avanzata dell’Is, a contribuire a salvare le vite degli yazidi e di altre popolazioni in fuga, e a porre fine all’assedio della città dei turcomanni sciiti Amerli. In Turchia il Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan) è un’organizzazione fuorilegge, inclusa nell’elenco dei gruppi terroristici dell’Ue e degli Usa, e che dal 1984 fino a tempi recenti ha condotto un’insurrezione contro lo Stato turco. Nel contrasto all’Is, il Pkk è stato aiutato dal braccio militare del suo ramo curdo-siriano, il Pyd. Ironia della sorte, si ritiene che la Turchia abbia fornito aiuti diretti o indiretti all’Is contro il Pyd. Ankara però non desidera vedere un gruppo affiliato al Pkk controllare la regione di Rojava, nel nordest della Siria, a maggioranza curda.
Questi recenti sviluppi - oltre al fatto che la Turchia al momento non ha un ambasciatore in Israele e in Egitto, che si limita a dialogare a stento con i Paesi del Golfo Persico con la sola eccezione del Qatar, e che il brutale regime di Bashar al-Assad verosimilmente sopravvivrà alla guerra civile siriana - impongono dunque una svolta alla sua politica estera. Piena di entusiasmo sull’onda delle rivoluzioni arabe, la Turchia aveva giustamente appoggiato e sostenuto le forze ribelli e favorevoli al cambiamento. La Turchia è stata portata a possibile esempio, se non addirittura a modello, alle giovani democrazie che andavano nascendo. Nel processo di trasformazione in regimi democratici, il governo di Ankara si è schierato con i partiti che erano di spirito affine all’Akp di governo. In pratica, ciò ha significato un profondo impegno nei confronti dei governi guidati dai Fratelli musulmani.
In Siria, dopo che il regime Baath si è rifiutato di dare retta ai moniti e ai consigli della Turchia e di rispondere politicamente alle richieste di un’opposizione pacifica, Ankara ha bruscamente cambiato rotta e ha iniziato ad appoggiare tutte le forze che combattevano per rovesciare al-Assad. Quando la guerra civile siriana si è fatta ancora più violenta e la rivalità geopolitica tra sauditi e iraniani si è trasformata in una brutale guerra settaria, la Turchia ha perso il suo equilibrio. Si è compromessa sempre più nella guerra civile ed è diventata parte della polarizzazione settaria. È in questo contesto che ha quantomeno facilitato gli spostamenti del fronte di al-Nusra e dei combattenti dell’Is, che attraversavano i suoi confini e utilizzavano le strutture delle sue città. Negli ultimi tempi, però, questa politica è cambiata.
Gli alleati occidentali della Turchia hanno fatto presenti le preoccupazioni che nutrivano nei confronti dell’approccio scelto da Ankara. Sulla scia del summit della Nato in Galles e del patto siglato a Parigi, la Turchia dovrebbe però ora finalmente rivestire un ruolo centrale nella lotta allo Stato Islamico. Nel frattempo, dovrà anche avere a che fare con un Pkk che gode di una legittimità e di un prestigio senza precedenti, a causa del suo successo nel contrasto all’Is.