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Dal Bangladesh alla Turchia, la mappa del turismo impossibile tra guerre e attentati

Dopo la strage a Dacca, sono 68 le meraviglie Unesco oggi off limits per chi va in vacanza. E ci sono interi Paesi che non si possono visitare a causa di conflitti e rischio sequestri. Per questo tre italiani su quattro hanno deciso di fare le ferie in patria

Cambia di giorno in giorno la mappa del turismo impossibile. Ora anche il Bangladesh è off limits dopo l'ultima strage, la sera del primo luglio all'Holey Artisan Bakery di Dacca, dove un commando di sette miliziani dello Stato Islamico ha ucciso 20 civili di cui nove italiani oltre a due agenti di polizia.
E così, oltre alla capitale, escono dalle rotte del turismo anche i tre siti protetti dall'Unesco nel Paese asiatico: la città-moschea di Bagherat, le rovine del monastero buddista di Vihara a Paharpur, la foresta di mangrovie Sundarbans, una delle più estese del pianeta con i suoi 140mila ettari. 

È sempre più affollata la lista delle bellezze artistiche e paesaggistiche del patrimonio dell’umanità Unesco, ormai escluse dalle destinazioni per i viaggiatori perché troppo rischiose. Per non parlare dei luoghi meravigliosi sfregiati per sempre, sottratti al dominio del Califfato o ancora sotto il suo controllo. Tra i siti archeologici distrutti dalla furia dei miliziani dello Stato islamico vengono in mente l’arco di trionfo di Palmira, in Siria, gioiello di epoca romana; il tempio di Nabu a Nimrud, in Iraq, città fondata più di 3.300 anni fa, una delle capitali dell’impero assiro. Le statue e gli ornamenti dell’antica Hatra, a circa 300 chilometri da Baghdad, la città dell’impero dei Parti fiorita tra il secondo e il primo secolo avanti Cristo.
Poi ci sono i siti Unesco ancora integri, ma inaccessibili perché troppo pericolosi. Chi se la sente di avventurarsi in Mali per scoprire l’antica Timbuctù, nell’Africa sahariana, o la capitale Bamako? Il Paese è da considerarsi off limits, dopo gli attacchi terroristici dell’ultimo anno e mezzo, alcuni dei quali diretti contro cittadini occidentali: lo stato di emergenza, scaduto lo scorso 31 marzo, è stato prorogato fino al 15 luglio.
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Stesso discorso per alcune zone del Pakistan: nelle aree tribali del Khyber Pakhtunkhwa, ad esempio, nel nord-ovest del Paese asiatico, il rischio sequestri è troppo elevato e le autorità raccomandano di evitare escursioni. Peccato che in questa regione si trovino le splendide statue monumentali del monastero buddista di Takht-i-Bahi, del primo secolo dopo Cristo. Per non parlare della sponda meridionale e di quella orientale del Mediterraneo - con l’eccezione del Marocco - ricche di reperti archeologici di fondamentale importanza ma diventate bollenti: Tunisia (Cartagine, l’anfiteatro di El Jem, la città punica di Kerkouane, la medina di Sousse), Algeria (il parco nazionale di Tassili n’Ajjer), Libia (le rovine di Leptis Magna, Cirene, Sabratha, l’antica città-oasi Gadames), Libano (il sito archeologico di Baalbek, la città di Anjar), Siria (Aleppo, la cittadella del Saladino, i villaggi del nord), ma anche Egitto e Turchia, anche se con sfumature diverse di pericolosità. Basti pensare al terribile attentato all'aeroporto Ataturk di Istanbul, lo scorso 28 giugno, l'ultimo di una lunga serie in Turchia.

«Le guerre sono sempre esistite, purtroppo sono una condizione strutturale dell’umanità. In passato, tuttavia, ogni volta che noi archeologi dovevamo rinunciare a scavare in alcuni Paesi a causa di conflitti o altre ragioni, potevamo concentrarci su altri territori. Ora la situazione è precipitata, la crisi si estende dal Nord Africa al Medio Oriente», dice Lorenzo Nigro, docente di Archeologia del Vicino Oriente antico all’università La Sapienza e coordinatore di scavi in diversi siti archeologici importanti tra cui Gerico, in Cisgiordania, vicino al Mar Morto. «In alcuni casi i danni sono immensi e irreversibili: perdere il palazzo di un re assiro equivale a perdere la Reggia di Versailles. Occorre sostenere l’Unesco nella sua opera di tutela, equiparare i delitti contro il patrimonio archeologico ai crimini contro l’umanità», aggiunge il professor Nigro.

IL PIANETA PROIBITO

Ecco alcuni dei 68 luoghi, meraviglie naturali e artistiche, protetti dall'Unesco e che si trovano in zone 'calde' del pianeta. Il ministero degli Esteri inglese scosiglia di soggiornarvi, distinguendo tra zone 'gialle' e zone 'rosse', quelle maggiormente in pericolo

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ITALIANI CORAGGIOSI (O INCOSCIENTI)
Erano decenni che il mondo non era così striminzito per i viaggiatori. La mappa del “pianeta proibito” disegnata dal ministero degli Esteri britannico offre un colpo d’occhio notevole: l’Africa e il Medio Oriente sono coperti da ampie macchie rosse (intere nazioni che si sconsiglia di visitare) e gialle (Paesi in cui sono inaccessibili alcuni siti). Dati che in buona parte coincidono con quelli di “Viaggiare Sicuri”, il sito con cui la Farnesina fornisce informazioni e consigli sugli eventuali pericoli per la sicurezza dei turisti. E così accade che la Russia è “gialla”, come Ucraina, India, Madagascar, Angola, Kenya, Thailandia e Myanmar. Tra gli altri, invece, sono “rossi” Congo, Somalia, Yemen.

Dunque la scelta si restringe, per gli italiani che quest’estate andranno in vacanza. Secondo il barometro Europ Assistance-Ipsos diminuiscono dell’8 per cento rispetto al 2015 i connazionali che dichiarano di voler partire (il 52 per cento del campione), in flessione come gli altri cittadini europei. La ricerca evidenzia altri due dati interessanti: anzitutto tre italiani su quattro (più 12 per cento rispetto all’anno scorso) affermano che trascorreranno le ferie nel nostro Paese, che insieme a Spagna e Francia esercita la maggior attrattiva sui turisti del Vecchio Continente. Inoltre, sebbene l’eventualità di attacchi terroristici sia uno dei principali fattori presi in considerazione nella scelta della destinazione, il livello di preoccupazione varia in maniera significativa: secondo l’indagine, la paura degli attentati pesa maggiormente sulle decisioni di spagnoli (47 per cento), tedeschi e austriaci (43 per cento), mentre in Italia e in Francia si registrano percentuali inferiori (37 per cento).

Fatto sta che, per una ragione o per l’altra, si rischia di cancellare la memoria e la conoscenza di tesori inestimabili. Prendiamo lo Yemen, che possiede tre siti Unesco di straordinaria bellezza, senza contare il piccolo e meraviglioso arcipelago di Socotra: l’antica città di Zabid, capitale dal 13esimo al 15esimo secolo, sede di un’importante università islamica, faro per il mondo arabo e musulmano; la città murata di Shibam; la capitale Sana’a, abitata da 2.500 anni, che lasciò senza fiato Pier Paolo Pasolini con le sue 106 moschee, 12 hammam e 6.500 abitazioni di epoca precedente all’11esimo secolo. Nel 1971 lo scrittore e regista realizzò il documentario “Le Mura di Sana’a” e lo utilizzò per lanciare un appello «all’Unesco perché aiuti lo Yemen a salvarsi dalla sua distruzione». Un anno e mezzo fa, con l’aggravarsi delle condizioni di sicurezza, l’ambasciata d’Italia nella capitale yemenita ha sospeso le attività fino a nuovo avviso e lo Yemen oggi è nella lista off limits. «È davvero un peccato, perché è uno dei luoghi meglio conservati al mondo. Nello Yemen l’antichità non è un bene astratto, ma viene vissuta dalla popolazione locale nella vita di ogni giorno», aggiunge il professor Nigro.

DA BARI AD ALEPPO SULLA FIAT 500
Viaggi oggi impossibili, come quello raccontato da Danilo Elia nel reportage “Intorno al mare” (Mursia editore, pubblicato nel 2014): dalla Tunisia alla Turchia attraverso Libia, Egitto, Giordania, Siria. Nel 2007, in largo anticipo sulle primavere arabe, il giornalista sale insieme alla fidanzata su una Fiat 500 del 1973. La loro avventura comincia a Bari, da sempre porta verso l’Oriente, e prosegue sulla sponda meridionale del Mediterraneo: i due viaggiano da Tozeur (Tunisia) al deserto del Sahara, dal centro carovaniero di Gadames, in Libia, alle Piramidi d’Egitto, dalla misteriosa Petra (Giordania) alle formazioni rocciose della Cappadocia, in Turchia: 10mila chilometri a bordo del Cinquino, nel segno della curiosità, della lentezza e del caldo torrido su strade accidentate, tra oasi e dune di sabbia, medine mediorientali e meraviglie archeologiche. «Oggi sarebbe impensabile ma all’epoca, paradossalmente, sembrava sicuro. Abbiamo campeggiato nel deserto del sud della Libia, attraversato la litoranea da Tripoli a Bengasi, tagliato di notte la penisola del Sinai, siamo stati ospiti di una famiglia nel centro petrolifero Ras Lanuf, in Libia, uno dei luoghi in cui negli ultimi due anni si è combattuto più aspramente», dice Elia.

SLALOM D’EGITTO
In Libia il giornalista arriva quando il colonnello Muammar Gheddafi è ancora al potere, e rimane ammaliato da Gadames, città patrimonio Unesco. «Gadames è il mito creato da Gordon Laing, il primo esploratore europeo a varcare le sue porte sulla via per Timbuctù, il sogno tra le sabbie che con la sua malia fece innamorare per sempre l’esploratore francese Henri Duveyrier dei tuareg e della loro ospitalità», annota nel taccuino lo scrittore che più tardi, in Egitto, visiterà Il Cairo e Alessandria, il deserto e il Mar Rosso.

Adesso, sul sito “Viaggiare Sicuri” del ministero degli Esteri bisogna fare lo slalom tra le raccomandazioni: quasi un anno fa, l’11 luglio 2015, una bomba scoppia davanti al consolato italiano al Cairo, causando un morto e 10 feriti. Il 31 ottobre, invece, un aereo russo esplode in volo nella regione del Sinai dopo il decollo dall’aeroporto di Sharm el-Sheikh. A bordo viaggiano 224 persone equipaggio compreso, nessun sopravvissuto. Azione rivendicata dalla cellula egiziana dell’Is. Mentre restano misteriose le cause dell’incidente dell’aereo Egyptair che il 19 maggio precipita nel Mediterraneo con 66 passeggeri. Ora la Farnesina sconsiglia i viaggi non indispensabili in località diverse dai resort di Sharm el-Sheik, delle aree turistiche dell’Alto Egitto e di quelle del Mediterraneo, dove comunque occorre «mantenere elevata la soglia di attenzione perché non possono essere considerati completamente immuni da possibili minacce».

Se l’Egitto è visitabile a macchia di leopardo, alla Siria ovviamente non ci si può neanche avvicinare. Cinque anni di guerra hanno fatto 300 mila morti, oltre quattro milioni di profughi e una miriade di città ridotte a un cumulo di macerie, tra cui la antica Aleppo, protetta dall’Unesco, un tempo il centro più bello del Mediterraneo, crocevia di religioni e culture, culla della prima cristianità in Siria. Di fatto, oggi non esiste più: anche il minareto della splendida moschea degli Omayyadi, la più bella e antica della città, è stato abbattuto. «A pensarci oggi provo rammarico, tristezza, una sensazione di perdita incolmabile», prosegue Elia.

Suonano come un requiem le parole dell’autore arrivato fin là sulla vecchia Fiat 500: «Le cupole del suq celano la merce più preziosa, il sapone di Aleppo. La proteggono dal sole crudele. Ne trattengono il profumo che regala un’illusione di fresco, fallace e voluttuosa. La moschea Omayyade col suo minareto quadrato cerca di staccarsi dal suolo, ma non riesce a fare altro che sciogliersi in una allucinazione liquida e infinita. Aleppo brucia ai piedi della sua cittadella millenaria».

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