“Troppa opacità, le ong islamiche un rischio per il terrorismo”

Parla Roberto Magni, per anni alla guida dell’antiriciclaggio in Kosovo

Un migliaio di organizzazioni non governative, in gran parte di ispirazione islamica, disseminate su tutto il territorio del Kosovo. Molte senza reale controllo e assolutamente opache. Dopo le ultime retate di jihadisti, è su queste realtà che si concentra l’attenzione investigativa dei servizi segreti di Pristina (e non solo): numerose indagini svolte in collaborazione con Eulex, la missione dell’Unione europea, hanno raccolto elementi sulle operazioni di riciclaggio finalizzate a finanziare attività terroristiche. E, si ritiene, forse anche attentati.

Un fenomeno talmente esteso, la “pulizia” del denaro di provenienza illecita, da spingere l’Ue a creare una apposita unità operativa: il Financial intelligence center (Fic). A guidarlo, fino al 2011, è stato il colonnello della Guardia di finanza Roberto Magni, autore col suo vice Luca Ciccotti di “Kosovo: un Paese al bivio. Islam, terrorismo e criminalità organizzata: la nuova Repubblica è una minaccia?” (Franco Angeli editore).

Perché gli investigatori si stanno concentrando sulle ong?
Come tutti i Paesi postbellici in cui c’è necessità di aiuti per la ricostruzione, le organizzazioni non governative hanno un ruolo centrale. In Kosovo ne sono censite attualmente oltre cinquemila, un migliaio delle quali attive. Ma accanto alle attività caritatevoli e di aiuto alla popolazione, ce ne sono alcune che potrebbero non limitarsi alla ricostruzione delle moschee e alla distribuzione di aiuti umanitari ma essere sfruttate anche per veicolare una lettura più intransigente dell’Islam.
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Come viene svolta questa attività parallela?
All’occhio attento di un reclutatore non sfugge chi, fra i fedeli, si dimostra più sensibile al radicalismo. E gli appigli per richiamare persone possono essere i corsi di computer o di lingue straniere. Tutte attività precedute dalla preghiera rituale, in cui si può fare una prima scrematura fra chi sente maggiormente e chi meno il richiamo religioso. Inoltre a volte le moschee sono affiancate dalle madrasse, le scuole coraniche, nelle quali avviene l’approfondimento della dottrina, talvolta anche radicale.

Dal punto di vista economico come svolgono le loro attività illecite?
Le organizzazioni non governative islamiche in taluni casi non utilizzano i canali bancari, che richiedono transazioni alla luce del sole. Uno dei sistemi con cui vengono movimentati i soldi è l’hawala, una sorta di money transfer fra soggetti privati che si avvale di più mediatori. Inoltre di frequente le ong non hanno un loro conto corrente e gli accrediti dalla sede centrale, che si trova sempre in un altro Paese, vengono effettuati su quelli dei membri che ne fanno parte.

Quali sono le conseguenze?
Questo meccanismo rende la tracciabilità molto difficoltosa se non addirittura impossibile e al tempo stesso diventa assai difficile ricostruire i flussi finanziari. E chi vuole sottrare parte del denaro per attività illegali non ha troppe difficoltà proprio perché non ci sono grossi vincoli contabili: in molti Paesi le ong hanno l’obbligo di registrare le operazioni giornaliere ma non di emettere i documenti rilevanti ai fini fiscali o giuridici.

Ci sono altre criticità?
Una soprattutto, strutturale: il Kosovo continua ad avere una cash based economy, cioè un’economia basata quasi esclusivamente sul contante e questo facilita il riciclaggio e operazioni non limpide. Inoltre essendo una economia chiusa riceve dall’estero, a cominciare dalle rimesse dagli emigrati, molto più denaro di quanto ne venga reinserito nel circuito finanziario internazionale. Il risultato è un surplus di valuta che con regolarità deve essere prelevato fisicamente e rimesso in circolazione nei Paesi della zona euro. Anche questo rende assai difficili i controlli: chi compra armi, droga, effettua traffico della prostituzione o finanzia il terrorismo non lo fa di certo con un assegno…

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