“L’ora della troika è finita” e i Memorandum “sono una cosa del passato”. Alexis Tsipras l’aveva annunciato prima del voto e l’ha ribadito a spoglio non ancora concluso, parlando davanti alla piazza dell’Università stracolma e in festa per la vittoria netta (36,2 per cento contro il 27,8 di Nea Democratia del premier Antonis Samaras): la Grecia non permetterà più ai funzionari di Bce, Commissione e Fmi di decidere le sue politiche, gli accordi con l’Europa vanno tutti rinegoziati.
Cosa accadrà a partire da oggi nei rapporti con l’Ue è tutto da vedere, ma quel che è sicuro è che il voto di domenica 25 gennaio è un vero e proprio terremoto per la Grecia. Mai una coalizione della sinistra radicale (è questo l’acronimo di Syriza) aveva ottenuto un successo così largo nella storia del Paese. Inoltre, per la prima volta dall’inizio della crisi economica, nel 2008, i partiti che hanno applicato i piani di austerità imposti dall’Europa non sarebbero in grado di formare una maggioranza di governo. Il centrodestra di Nea Democratia e i socialisti del Pasok pagano un prezzo durissimo alla fedeltà ai dogmi del rigore economico, ai tagli al welfare e al non aver saputo far riprendere a crescere il Paese. Ed è risultata perdente la strategia di Samaras di demonizzare l’avversario e di paventare fughe di capitali, chiusura di banche e il rischio di un default incontrollato se Tsipras avesse vinto.
L’effetto principale del voto greco è stato il crollo delle larghe intese. Per Nea Democratia, pilastro principale del governo, la sconfitta è pesante: non è più il primo partito e finisce otto punti sotto Syriza (il 36,3 per cento contro il 27,8). Il Pasok, che fino a pochi anni fa era la maggiore forza del paese, è sprofondato al 4,7 per cento, punito per la partecipazione alla grande coalizione di governo e ulteriormente indebolito dall’abbandono dell’ex premier George Papandreou.
All’uomo che nel 2011 si dimise dopo esser stato costretto a ritirare la proposta di referendum sul piano di austerità non è riuscito il tentativo di fare l’ago della bilancia nelle trattative per il governo Tsipras: il suo neonato partito Kinima, non avendo superato la soglia di sbarramento del 3 per cento (si è fermato al 2,4), è rimasto fuori dal Parlamento. A entrare nella nuova maggioranza potrebbe essere invece il partito di centrosinistra To Potami (Il fiume), fondato dal presentatore televisivo Stavros Theodorakis, dalle posizioni decisamente europeiste e grande sorpresa elettorale (ha avuto il 6 per cento dei voti). Potami potrebbe però garantire un appoggio esterno, senza entrare al governo.
Hanno già detto di no a Tsipras, invece, i comunisti del Kke, che conservano uno zoccolo duro del 5,47 per cento e che, a differenza di Syriza, sono per l’uscita dall’euro e non accettano compromessi per andare al governo. Tra i due partiti dell’ultrasinistra i rapporti sono così tesi che, giovedì scorso, Alexis Tsipras e la segretaria del Partito Comunista Aleka Papariga hanno rivaleggiato in piazza, chiudendo la campagna elettorale in contemporanea e a poche centinaia di metri di distanza: il primo a Omonia, la seconda a Syntagma, davanti al Parlamento.
A destra, della débacle di Nea Democratia beneficiano i Greci Indipendenti (Anel, una scissione del partito di Samaras, anti-memorandum e anti-troika), che si avvicinano al 5 per cento e potrebbero a sorpresa accordarsi con Syriza per il governo. Ma l’exploit più preoccupante è quello dei neonazisti di Alba Dorata che, nonostante i vertici siano tuttora in carcere dopo l’omicidio del rapper Pavlos Fissas, diventano il terzo partito con un inquietante 6,3 per cento, grazie a un forte consenso in alcune aree devastate dalla mancanza di lavoro (anche se le prime analisi del voto dicono che il 45 per cento dei disoccupati avrebbe votato Syriza).
Un altro dato superiore alle aspettative è quello dell’astensionismo, che ha sfiorato il 40 per cento. Probabile che ad allontanarsi dalle urne siano stati in buona parte elettori di destra, ma l’affluenza inferiore alle attese (ci si aspettava che l’effetto Syriza e la polarizzazione dello scontro avrebbero portato alle urne più votanti) racconta anche di una forte disaffezione e disillusione nei confronti delle forze politiche.
Smaltita la sbornia elettorale, il prossimo premier greco si troverà di fronte a una serie di sfide di non poco conto. Sul piano interno, dovrà dimostrarsi in grado di mantenere, almeno in parte, il programma sul quale ha puntato tutta la campagna elettorale (contrapponendolo alla “politica della paura” di Samaras).
Tra i primi provvedimenti, ha promesso una serie di misure per affrontare la crisi umanitaria: dal sostegno ai meno abbienti alla garanzia di cure sanitarie per tutti. La classe media sulle soglie della povertà, che ha abbandonato in massa il Pasok e Nea Democratia, si aspetta che Tsipras dia corso alle misure annunciate in campagna elettorale: tra queste, il tetto di 12 mila euro al di sotto del quale non pagare tasse (per il quale premono soprattutto i liberi professionisti), una riforma che renda più equo il fisco e l’eliminazione della tassa sulla prima casa. Inoltre, Tsipras punta molto sulla lotta all’evasione fiscale e ha già annunciato che tasserà i grandi patrimoni, ha promesso una lotta senza quartiere alla corruzione, di riformare la burocrazia statale e pure la polizia, dicendo di essere “pronto a scontrarsi” con le prevedibili resistenze che ci saranno. Per far questo, ha bisogno di una maggioranza non solo forte, ma coesa e capace di reggere agli urti delle proteste.
Sul piano europeo, il nuovo leader greco si dice convinto che il cammino sarà più facile perché “in Europa non c’è più un pensiero unico ma si scontrano due linee, quella di Draghi e quella della Merkel”. “L’Europa cambia, lentamente ma cambia”, ha detto in conferenza stampa alla vigilia del voto. Il giorno dopo il “quantitative easing” della Bce, si è schierato decisamente con il superbanchiere europeo, sostenendo che gli aveva concesso quello che chiedeva, cioè “più tempo”, fino al luglio 2016, per dimostrare che, con una ricetta economica diversa, la Grecia può riprendere a crescere.
La partita si giocherà tutta all’interno delle istituzioni, ma Tsipras ha da tempo mosso la sua diplomazia-ombra, arrivando persino a rassicurare la comunità finanziaria dalle pagine del Financial Times, per evitare scossoni e speculazioni all’indomani della vittoria elettorale. Non dovete avere paura di me, ha sostenuto in più occasioni, ma di quello che potrebbe accadere se l’Europa non cambia.
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26 gennaio, 2015Il suo partito Syriza a scrutinio finito conquista 149 seggi e va verso l'accordo con gli Indipendenti di Anel. Mai una coalizione della sinistra radicale aveva ottenuto un successo così largo nella storia del Paese. La Bundesbank: "Rispetti impegni"
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