Le ragioni della Terza Intifada, parla Hanan Ashrawi
La politica e docente palestinese, una delle poche donne che contano nell'Olp, discute con l'Espresso dell'ennesima ondata di violenze che sconvolge territori come Gaza e la Cisgiordania. E spiega i motivi della rabbia e della protesta da parte degli arabi contro Israele. In un conflitto in cui i protagonisti sono i giovani
Cristiana, medievalista, una delle protagoniste della prima Intifada. Hanan Ashrawi, una delle poche donne che contano nell’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina), discute con l’Espresso dell’ennesima ondata di violenza nella regione. Dall’inizio di ottobre, una serie crescente di attacchi all’arma bianca, da parte di giovani palestinesi contro civili e militari, ha portato alla morte di sette persone e al ferimento di oltre 40 israeliani.
Gli assalitori sono stati quasi tutti uccisi, facendo sollevare dubbi sulle pratiche della polizia israeliana. Inoltre, più di 35 palestinesi, ad oggi, sono stati uccisi dalle forze israeliane in risposta agli attacchi e durante manifestazioni di protesta nella Cisgiordania occupata e a Gaza. Ma anche all’interno di Israele, in città come Jaffa e Lod, la minoranza araba è in subbuglio. I giovani palestinesi che protestano, sono quelli della generazione post Oslo (1993), ventenni istruiti, disillusi, senza fiducia nel futuro e nella leadership palestinese.
La protesta e la rabbia intanto corrono sui social network, grazie a foto e video che amplificano il malcontento popolare: e qualcuno, a mezza voce, già parla di terza Intifada. Secondo Hanan Ashrawi, “il continuo aumento di demolizioni di proprietà palestinesi, arresti, uccisioni e del numero di colonie israeliane” ha fatto da terreno fertile per le proteste legate alla Spianata delle Moschee che a suo parere hanno provocato gli attacchi palestinesi.
Dottoressa Ashrawi, nelle ultime due settimane abbiamo visto una serie di violenze che non sembrano cessare. Quali sono le cause, crede che possano sfociare in una terza Intifada? “Non è un problema di violenza, ma della deliberata escalation provocata da Israele con gli attacchi a Gerusalemme est e alla Moschea di Al-Aqsa, che ha fatto salire la tensione oltre la linea di sopportazione. E il fatto che la gente, soprattutto i più giovani, non intravedono nessun orizzonte politico”.
In settembre, in concomitanza con le feste religiose ebraiche, il governo israeliano ha proibito numerose volte l’accesso al sito religioso ai musulmani, per consentirlo a gruppi di religiosi-nazionalisti ebrei legati al movimento dei coloni. Inoltre, le autorità israeliane hanno messo fuori legge i Mourabiteen, i guardiani della moschea, provocando per diverse settimane scontri tra religiosi e la polizia di confine israeliana. Gerusalemme est è stata occupata e unilateralmente annessa da Israele nel 1980. I palestinesi ne vorrebbero fare la propria capitale. Il sito religioso - che gli ebrei chiamano Monte del Tempio - è sotto l’autorità giordana, che dal 1967 ne preserva lo status quo. A causa delle tensioni sulla Spianata, le relazioni tra il regno hashemita e Israele sono ai minimi storici.
“La reazione delle giovani generazioni è stata spontanea e non è diretta dall’alto – spiega Ashawi – ma non credo ci sia solo rabbia e frustrazione. I giovani palestinesi sono politicamente molto consapevoli. Sono consapevoli che la politica dei negoziati non ha portato a nulla, la comunità internazionale li ha lasciati soli e tutti sono coscienti della situazione di completa ingiustizia imposta da Israele”.
Una simile situazione di violenza si era manifestata l’anno scorso con gli attacchi con automobili di “lupi solitari” palestinesi, sempre per le tensioni legate ad Al-Aqsa. Allora l’Autorità palestinese aveva represso il malcontento in nome del controverso coordinamento alla sicurezza con Israele. Quest’anno la posizione del presidente Abu Mazen sembra essere diversa, come mai? “Se non supportasse e non acconsentisse alle proteste, perderebbe completamente il consenso della popolazione. Abbas, purtroppo o per fortuna, è molto parco con le sue dichiarazioni. Non si rivolge alla popolazione apertamente perché è sotto un’intensa pressione da parte degli Usa, dell’Europa e dei paesi arabi, preoccupatissimi che la situazione non sfugga di mano. Il presidente non ha iniziato questa escalation, e sicuramente non può controllarla. A mio parere però, dovrebbe parlare di più ed essere più esplicito con il pubblico”.
La popolarità del presidente Abbas è in picchiata libera. In un recente sondaggio del Psr (Palestinian Center for Policy and Survey Research), i due terzi dei palestinesi vorrebbero le sue dimissioni e che il coordinamento alla sicurezza con Israele finisse. La stragrande maggioranza degli intervistati vorrebbe nuove elezioni (congelate dal 2006), la completa abolizione degli Accordi di Oslo e si dichiara a favore di un’insurrezione armata. A tal riguardo, il membro dell’Olp si dice favorevole a “dimissioni in massa della leadership palestinese” per forzare la mano a Israele e dare nuova linfa alla causa palestinese.
Come valuta la risposta israeliana alla serie recente di attacchi palestinesi? “Personalmente condanno tutte le violenze su civili. Ma è sconcertante la maniera nella quale gli israeliani riescono a plasmare la loro versione della realtà. Creano delle menzogne e cercano di convincere tutti delle loro bugie. Hanno apertamente bollato tutti palestinesi come terroristi. Mentre sono loro che hanno creato un sistema terroristico con il movimento dei coloni nei Territori e a Gerusalemme est. Uccidono famiglie intere, bruciano raccolti e proprietà palestinesi quotidianamente, sempre al di sopra della legge. Israele è la forza occupante, non una piccola vittima senza potere. Ha trasformato la sua popolazione in vigilantes, uccidere i palestinesi è diventato normale”.
Le violenze da parte delle frange estremiste di coloni nei Territori occupati sono in esponenziale crescita. Nel luglio scorso, una famiglia palestinese è stata data alle fiamme nel sonno nella propria abitazione nel piccolo villaggio di Douma, vicino a Nablus, provocando la morte dei genitori e del figlioletto di diciotto mesi. L’unico superstite della famiglia Dawabsheh è Ahmed, 4 anni, che ha sofferto pesanti ustioni.
“Questo è quello che succede quando si favorisce una politica d’odio” sostiene Ashrawi. “Israele non solo ha distorto il tessuto morale della propria popolazione, ma anche il proprio sistema legale. L’impunità internazionale di cui si avvale è stata trasferita nell’impunità del singolo. Non stanno uccidendo solo i palestinesi, ma anche l’anima di Israele”.
Accuse di incitamento alla violenza verso il presidente Abbas, sono rivolte dal primo ministro Benjamin Netanyahu e da alcuni suoi ministri quasi quotidianamente. La stampa l’ha accusato di fomentare gli attacchi contro la popolazione israeliana e di essere il principale responsabile delle violenze. E ad oggi, il rais non ha speso una sola parola per condannare gli attacchi palestinesi. A confutare, in parte, le prese di posizione dell’establishment politico israeliano, sono state però le recenti dichiarazioni sia dello Shin Beit (il servizio di sicurezza interna), sia dell’esercito israeliano, riportate dai quotidiani Haaretz e Yedioth Ahronoth. Questi sostengono che il presidente palestinese funga da “tampone” per le violenze e “non sta incoraggiando il terrorismo, ma anzi, ha ordinato alle sue forze di sicurezza di prevenire questi attacchi il più possibile”.
L’Autorità palestinese e l’Olp sembrano completamente tagliati fuori dai giochi e la generazione post Oslo sembra guidare la protesta... “Quello che sta diventando estremamente importante non è il nostro ruolo, ma l’utilizzo che i giovani fanno dei social media. Attraverso foto e video, svelano le menzogne propagate da Israele. Allo stesso tempo c’è un senso di stupore da parte degli osservatori: come mai questi giovani sono la fuori a protestare? Questi ragazzi e ragazze sono studenti universitari o delle superiori, non sono terroristi. Stanno dicendo al mondo che vivono una situazione di ingiustizia estremamente dolorosa. Nessuno è accorso in loro aiuto, per questo hanno deciso di scendere in strada. Quello che stanno facendo è confrontare i media mainstream, un’operazione da sempre molto difficile per i palestinesi, raccontando al mondo quello che gli sta succedendo”.
Ashrawi spiega che non è intenzione della leadership usurpare il linguaggio dei manifestanti: “Vogliamo che i giovani parlino per se stessi, come facemmo noi durante la prima Intifada. Sono pronta ad ascoltarli e a mettere a disposizione gli spazi perché possano esprimersi, non posso parlare per loro. Ma se fossi più giovane molto probabilmente sarei in strada insieme a loro”.
C’è una remota possibilità di tornare al tavolo dei negoziati? “In questa situazione non credo proprio, e sicuramente non nella maniera nella quale sono stati condotti in precedenza. Il Quartetto ha fallito completamente. L’esempio da seguire è l’accordo sul nucleare iraniano. Il meccanismo utilizzato con P5+1 sembra essere l’unica seria alternativa”.