Una sera qualunque di un venerdì qualunque diventa la sera che ti resta scolpita per sempre nell’anima. L’aria regala ancora questi strani sprazzi di calore che non sono affatto novembrini: la gente esce, si dà appuntamenti, passeggia, mangia nelle ‘terrasses’ dei ristoranti in cui alcuni trasmettono anche la grande amichevole di lusso tra Francia e Germania. Un appuntamento da tutto esaurito: lo Stade de France è pieno, ci sono i Vip, c’è il presidente Hollande.
La sera qualunque cambia quando arriva un messaggio di un’amica sul cellulare mentre stai chiacchierando tranquillamente guardando la partita in un ristorante del quinto arrondissement : «C’è stata una sparatoria, non uscite». La Francia sta vincendo, la gente chiacchiera e ride e quel messaggio sembra stonato. Ma ovviamente c’è il riflesso di andare subito a vedere di che si tratta: e su internet si leggono i primi lanci dei giornali «Sparatorie in diversi punti di Parigi, anche allo stade de France». «Hollande fatto uscire dallo stadio». La tv continua a mostrare immagini di uno stadio in festa che stride con quelle notizie. Le parole "diverse sparatorie" mettono già in allarme: qualcuno, al tavolo vicino, ipotizza un regolamento di conti ma via via che le notizie si intensificano sono sempre più allarmanti e si capisce ben presto che si tratta nuovamente di terrorismo.
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Si fa finta di concentrarsi sui piatti e sulla partita ma gli sguardi sono sempre meno distesi e sono alla ricerca di notizie e conferme sui telefonini. Le ferite sopite e mai cicatrizzate di Charlie Hebdo riemergono prepotenti negli sguardi di tutti. La cameriera ha perso il sorriso gioioso con cui ci aveva accolti. Ma ancora nessuno ha capito l’importanza di quello che è successo, di quanto sta succedendo.
Poi arriva la notizia del Bataclan: sala di concerti molto amata dai parigini, nell’undicesimo arrondissement lo stesso di Charlie, sala che in questa sera qualunque prevedeva un concerto rock e il tutto esaurito di millecinquecento posti. Si continua a parlare di spari, ne arrivano notizie da altri punti della città: il ristorante nel decimo arrondissement, si parla di Les Halles, zona storica degli ex mercati di Parigi, e ora ritrovo notturno specie nel week end perché piena di locali, si parla di place de la République. Si parla di più morti allo Stade de France e pare impossibile invece osservare uno stadio intero che applaude apparentemente felice i dribbling dei suoi eroi. Dove sta l’errore?
La tensione ormai è salita alle stelle. Il padrone del locale cambia il canale e mette una tv di informazione continua. Che fa entrare la cruda realtà nel ristorante con la notizia che al Bataclan ci sarebbero degli ostaggi. Ci sarebbero ostaggi anche altrove. Le notizie si accavallano, l’orrore aumenta con l’incredulità. Nessuno mangia più, i telefoni cominciano a squillare impazziti perché le notizie si sono sparse in un attimo nel mondo intero.
La partita è finita ma allo Stade de France non può uscire nessuno: i tifosi sono sul terreno di gioco, tutti devono essere perquisiti, l’evacuazione da Saint-Denis non è facile anche perché ci si può’ andare solo con la macchina o con la RER, la metropolitana extra urbana parigina. Il caos è totale, le informazioni si accavallano: tra lo sgomento, la paura e l’orrore il locale si comincia a svuotare. Le strade si riempiono di gente che seguono tutti lo stesso copione. Al telefono, in cerca di notizie e di un mezzo per tornare a casa: i taxi sono presi d’assalto, altri aspettano i bus, ci si rende conto che bisogna sbrigarsi a tornare a casa perché presto sarà difficile farlo, qualche metropolitana verrà sicuramente chiusa e dalle notizie che arrivano il perimetro delle zone chiuse dalla polizia si allarga sempre di più.
Così come il numero dei morti con i minuti che passano: difficile quantificare con esattezza, visto che le notizie sono impazzite ormai ma si capisce che la tragedia ha numeri pesantissimi.
Il nostro tassista è gentile: la stazione taxi lo chiama per annunciargli che si lavorerà tutta la notte: nessuno dormirà e ci si riprepara a passare notti insonni come dopo Charlie e Vincennes. Tra i vicini ci si fa compagnia: si guarda insieme la tv per darsi conforto e si preparano caffé. Di colpo ci si sente amici anche con chi si è soltanto salutato per anni sulle scale.
Anche l’iniziativa ‘porte ouverte’ con tanto di hastag lanciata su Twitter va in questo senso: dare ospitalità a chi non si conosce, a quelle persone che presenti nei luoghi degli attentati non sanno come tornare a casa o che si trovano ancora potenzialmente in pericolo. Molti hanno twittato il loro indirizzo.
Intanto la città si è svuotata anche perché il sindaco Anne Hidalgo e le autorità hanno invitato i cittadini a non uscire se non strettamente necessario. E stamattina, con scuole, musei, istituti e tutto ciò potenzialmente possibile obiettivo dei terroristi chiuso, Parigi offre una visione irreale di sé. Neanche ad agosto è così vuota: è una città nuda e ferita. Negozi vuoti, sguardi smarriti di chi è obbligato a lavorare.