«Siamo interessati a partecipare. Vorremmo che lo Stato spagnolo ci chiamasse e concordasse con noi un piano d'azione. Perché con i fondi europei, gli aiuti statali, e i risparmi regionali, potremmo fare molto di più per i rifugiati». Così Xavier Bosch, direttore generale per l'Immigrazione della Catalogna ha risposto alle domande di Europa Press a proposito dell'opposizione di Madrid al programma dell'Agenda europea che prevede la divisione in "quote" a seconda dei paesi di 40mila profughi nei prossimi due anni.
«Parlare di quote significa trattare le persone come merci», ha puntualizzato Bosch, ma di certo Madrid «è stata troppo restrittiva» dal momento che la Spagna ad oggi ha accettato molti meno richiedenti asilo di quanto non abbiano fatto paesi come la Germania.
Secondo Bosch sia le leggi spagnole che quelle della regione autonoma catalana permetterebbero al paese di accettare molte più persone, ma il governo di Mariano Rajoy non avrebbe preso in considerazione la disponibilità dimostrata dalle istituzioni della Catalogna.
«L'ospitalità dei rifugiati ha una ricaduta positiva nei paesi di accoglienza, e la Spagna non l'ha capito», ha ribadito Bosch, ricordando le migliaia di catalani esiliati in Messico dopo la guerra civile del 1939 e il loro contributo allo sviluppo del paese sudamericano.
Un messaggio anomalo, in controtendenza rispetto agli allarmi e alle paure espresse dai governi centrali nelle ultime settimane. Interessante soprattutto perché arriva dalla Catalogna, una regione autonoma e indipendentista, così come era la Padania della Lega Nord pre-Matteo Salvini. Ma con una sensibilità a quanto pare molto diversa ai problemi globali.