Un'inchiesta del Bureau of investigative journalism di Londra spulcia i conti dell'agenzia per il controllo delle frontiere. Impegnata a salvare vite umane. Ma bloccata dai veti degli stati nazionali. Ora Juncker promette una rivoluzione. Interverrà anche sulle spese per i party e il rispetto dei diritti umani nei rimpatri?

Potente, sempre più potente. Ricca, sempre più ricca. Ma osteggiata dai suoi stessi soci. E incapace di anticipare i problemi. È la realtà di Frontex, indagata e ricostruita dal “Bureau of investigative journalism” di Londra in un lungo dossier pubblicato martedì. Dove si esaminano i conti, le voci e le difficoltà dell'agenzia europea per il controllo delle frontiere, capace di salvare 173mila persone nel Mediterraneo ma anche di spendere 350 mila euro per un solo party di anniversario.

Il 9 settembre, nel presentare l'Agenda della Commissione Europea sulla questione migranti, Jean-Claude Juncker ha ribadito il suo programma: fare di Frontex da un'ancella a un re. Da un'agenzia che può solo coordinare l'attività degli stati dell'Unione a una forza titolare, che agisca autonomamente. Soprattutto sui rimpatri, ma anche sul resto: controlli, identificazioni, frontiere. Il nuovo, cruciale, destino di Frontex significherà ovviamente anche più fondi, più poteri e più uomini.
Internazionale
UE, più soldi e poteri per i rimpatri dei migranti
9/9/2015

Un balzo in avanti che arriva dopo anni di corsa. Partita con un budget annuale di 19 milioni di euro, nel 2015 l'agenzia ne ha ricevuti 143, di milioni. Il 46 per cento in più rispetto al 2015. Soldi che spende in parte per rimborsare gli stessi paesi che le prestano mezzi e personale per le attività di controllo e pattugliamento delle frontiere. Dal 2007 al 2014 sono stati restituiti agli Stati più di 350 milioni di euro. Cento a Italia e Spagna.

E qui arriva il primo nodo: a Frontex capita spesso di non riuscire a spendere ciò che ha a disposizione. Perché nonostante i diversi governi nazionali dichiarino all'unisono che è necessario uno sforzo comune sui confini, questo raramente si traduce in “messa in comune” di aerei, navi, funzionari, gommoni, marinai.

Così, ad esempio, il Bureau ha scoperto che Frontex in questo momento ha difficoltà a spendere i 26,8 milioni in più assegnateli ad aprile per far fronte all'esodo dei siriani lungo la rotta dell'Est. I ministri degli interni non stanno scucendo un mezzo o una squadra di operatori in aggiunta a quelle già assegnate. Risultato: l'agenzia resta a metà strada, costretta a chiedere alla Commissione di fare la voce grossa, ma senza molte risposte.
Un salvataggio in mare su una nave norvegese di Frontex

Il paradosso che ne sorge è che alcuni dei maggiori sostenitori delle missioni di Frontex finiscono così per essere paesi extra-europei: l'Islanda, che non è nell'Unione, ha prestato un terzo della flotta utilizzata in mare per aiutare Grecia e Italia a salvare profughi in viaggio. La Norvegia, ugualmente fuori da Bruxelles, ha dato più collaborazione di molti paesi vicini.

Questo inseguimento di persone e mezzi però rende il lavoro dell'agenzia un singhiozzo: in questi giorni è arrivato l'ennesimo appello per guardie che mancano sulla rotta balcanica. Ma soprattutto rende l'operato di Frontex “corto”: solo adesso finalmente verrà inviato (forse) un funzionario in Turchia. Dove da tre anni ormai vivono due milioni di profughi siriani che da lì spesso partono alla volta dell'Europa. Ma finora non era stata prevista nemmeno una presenza.

Il dissidio fra Bruxelles e gli stati nazionali, che sta mostrando in queste ore la sua gravità – nell'incapacità europea di trovare un accordo per condividere l'accoglienza dei rifugiati – ha ancora altre conseguenze dirette sull'operato della guardia costiera comunitaria. Il generale Ilkka Latinen in un intervento riportato dal Bureau racconta di aver dovuto una volta cancellare un'operazione di salvataggio perché non c'era accordo su dove avrebbero dovuto essere portate le persone salvate.
Il pattugliatore svedese Poseidon usato da Frontex

Tutt'altro capitolo dell'inchiesta è dedicato alle spese. Perché seppur bloccata dai veti degli stati, Frontex non ha fatto che crescere negli ultimi anni: i dipendenti della sede centrale di Varsavia sono passati da 72 a 304. Di cui 185 non polacchi. Per pagare loro stipendi e benefit di trasferimento, la Ue spende 20 milioni di euro all'anno.

Ma i soldi servono anche per la prestigiosa nuova sede di vetro. E per gli arredi: 17.500 euro spesi per otto sedie di pelle, ad esempio. Sfarzi che ricordano la grandeur del governatore lombardo Roberto Formigoni, forse. Ma che qui escono dal cuore della nuova strategia europea per i migranti.

Anche sulle feste Frontex non lesina: 22mila euro per una cena di Natale, 350mila per l'anniversario celebrato in Polonia questo maggio, di cui 53mila solo per la cena. E così via.
Guardie costiere impegnate con Frontex

L'ultimo capitolo dell'inchiesta del Bureau è sui rimpatri. Come aveva denunciato anche l'Espresso, infatti, la politica di Frontex sui voli di rientro per i migranti non è del tutto trasparente in materia di diritti. E sì che il suo ruolo è sempre più importante. Se fino ad oggi infatti, anche in questo caso, l'agenzia si è occupata solo di coordinamento, d'ora in poi avrà il potere di gestire i rientri forzati dei migranti irregolari anche in proprio.

Intanto, dal 2006, ha organizzato il rimpatrio di 15.500 persone, in circa 302 missioni. Pochi, rispetto al milione e 300mila migranti mandati via dall'Europa dal 2008, ma un segnale della sua crescita: nel 2014 i 45 voli di solo ritorno coordinati da Frontex, costati 7 milioni di euro, hanno rimandato fuori dai confini europei 2.279 migranti.

Secondo Emily O'Reilly, “mediatrice europea” intervistata dai giornalisti del Bureau, il 40 per cento dei voli non aveva a bordo osservatori indipendenti. Capaci di segnalare, quindi, eventuali violazioni dei diritti umani. Un'abitudine da cambiare. Oppure un futuro a tinte nere.

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