Mondo
7 ottobre, 2016

Le donne soldato di Assad: "Ci trattano come prostitute"

In un video, pubblicato da un gruppo di attivisti e ripreso dal giornale siriano Zaman Alwsl, tre soldatesse denunciano le condizioni nella loro brigata. «Abbiamo lasciato la vita civile e le nostre famiglie per difendere la nostra terra e il presidente, non per essere umiliate o sfruttate sessualmente», dicono

Sono in divisa. Due hanno il capo coperto. Una tiene in vista una carta d'identità. Raccontano di essere soldatesse dell'esercito siriano del dittatore Bashar al Assad. Sono tre delle 800 (secondo alcuni rapporti) donne arruolate dal regime di Damasco per «vendersi come modello di modernità, opposto all'oscurantismo dei gruppi jihadisti», aveva spiegato Fabrice Balanche, direttore di un gruppo di ricerca sul Medio Oriente, a France24. Nel tempo, i giornalisti sono stati invitati a raccontarle, con in braccio un kalashnikov.

Ora queste tre donne, nel video pubblicato da alcuni attivisti e ripreso da giornali siriani, raccontano una realtà diversa dalla lettura "progressista" della partecipazione femminile nel settore militare di Damasco: «Abbiamo lasciato le nostre famiglie e la vita civile per unirci all'esercito e difendere il nostro paese e il presidente, non per essere umiliate o sfruttate sessualmente». «Gli ufficiali della brigata 130 prendono le ragazze per loro interesse personale, le scambiano fra loro. Se una ragazza piace, la tengono, altrimenti la umiliano. Sono madre di un figlio che ho lasciato per combattere, ma gli ufficiali prendono il nostro denaro, il cibo, e riceviamo solo trattamenti immorali». Anche l'altra donna racconta delle umiliazioni ricevute perché "non era carina" e non voleva fare "certe cose" con il generale.


Nel video le donne fanno appello alle forze russe nella base di Hmeimim perché le aiutino: «Vogliono che fingiamo di essere addestrate, di fronte ai russi, ma questo è falso. Non riceviamo alcun addrestamento, e anche il lasciapassare che ci hanno dato non basta per superare i controlli». In un'intervista a Middle East Eye, Yezid Sayigh del Carnegie Middle East Center sottolinea però come il video non indichi necessariamente un discontento fra le file di Assad: «Le molestie sessuali da parte di ufficiali di rango a subordinate donna accadono in moltissimi eserciti, compresi quelli statunitensi o israeliani, per cui non resterei sorpreso da questa denuncia».

Intanto in Siria, e in particolare ad Aleppo Est, la situazione umanitaria peggiora ogni giorno. Milioni di cittadini vivono ormai senza accesso all'acqua, denuncia Oxfam, sia nella parte Est della città controllata dai ribelli che in quella governata dal regime. «Se vuoi avere l’acqua per primo dai camionisti», ha raccontato un abitante alla Ong: «devi pagare di più. L’inverno è in arrivo e non abbiamo elettricità, né carburante a disposizione. La situazione sta diventando insostenibile».

Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha confermato l'appoggio italiano alla soluzione proposta dall'inviato Onu per la crisi siriana Staffan de Mistura: «L'esfiltrazione dal settore orientale di Aleppo delle centinaia di combattenti di Al Nusra che vi sono insediati in cambio della fine delle operazioni militari; l'apertura agli accessi umanitari e del mantenimento dell'attuale amministrazione civile della città rappresentano forse l'unica via per garantire la protezione degli oltre 250mila cittadini rimasti ad Aleppo e l'attuazione del diritto umanitario internazionale, affrontando al contempo il nodo del terrorismo», ha scritto in una nota. Vladimir Putin e François Hollande si incontreranno a Parigi il 19 ottobre per discutere della crisi in Siria.

«Non ci si può rassegnare alla strage e alle violenze di Aleppo», ha scritto anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in un telegramma destinato alla marcia per la pace tra Perugia ed Assisi: «Fermare le guerre non è solo possibile ma, anzi, è un dovere della comunità internazionale. Tante vite spezzate, tante famiglie disperate e sconvolte, tanti bambini uccisi, anche in questi giorni, scuotono la nostra coscienza. Non ci si può rassegnare alla strage e alle violenze di Aleppo».

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