Quando negli anni Novanta Virginia Prince lottò negli Stati Uniti per aggiungere la “T” alla sigla Lgb, intravide appena l’enormità dell’impatto che quella “T” avrebbe avuto non solo sulla comunità omosessuale ma anche sul resto della società. Trent’anni più tardi, dopo l’ondata di consapevolezza sbocciata subito prima gli anni della pandemia, l’Europa è alle prese con il processo di elaborazione collettiva dell’identità transgender, tra passi indietro e slanci in avanti.
Da minoranza numericamente poco rilevante, la realtà transgender è diventata presenza sempre più “normale” nelle scuole, nelle università e nei luoghi di lavoro: il cambio di genere e di sesso è più frequente in Europa rispetto a dieci anni fa, a qualsiasi livello sociale, soprattutto nelle generazioni più giovani, spesso confortate da nuovi impianti legislativi che rendono meno complicate scelte identitarie una volta violentemente vietate. Scelte che alcuni vorrebbero negare, spaventati dai numeri in crescita di una minoranza non incasellabile in rassicuranti stereotipi sociali.
Il panorama europeo è disomogeneo, con Paesi che hanno abbracciato la minoranza rendendole la vita meno faticosa, e Paesi che si ostinano a volerne negare identità e diritti e guardano all’Ungheria di Viktor Orbán che, contro ogni valore e direttiva europea, ha persino vietato il Pride di Budapest il prossimo 28 giugno. Secondo l’indice tracciato da Ilga Europe, l’Ungheria si colloca insieme a Bulgaria, Polonia, Romania, Lituania e Lettonia tra i Paesi in cui la tutela dei diritti della minoranza arcobaleno è scarsa, quando non proprio nulla. Sono tutte nazioni dell’Est europeo con una notevole eccezione: l’Italia, unico Paese dell’Europa occidentale in cui la situazione politica e legale della comunità Lgbt, e transessuale in particolare, è rimasta a mezzo secolo fa (quando eravamo invece un’eccellenza).
Bruxelles la città europea più accogliente per la comunità LGBTQ. Budapest la meno
A guidare l’elenco dei Paesi europei in cui essere transessuale non fa notizia e in cui il cambio di genere e di nome è banale pratica amministrativa sono invece Malta, Islanda, Spagna e Belgio. Bruxelles è forse la città europea dove fare la transizione è meno problematico. Non a caso il Belgio, che ha aggiornato l’impianto legale in materia nel 2018, ha recentemente avuto una vicepresidente transessuale (la Verde Petra De Sutter). Ma anche Berlino sta recuperando il divario: l’anno scorso ha varato una legge che permette alle persone di cambiare genere e nome con una semplice dichiarazione amministrativa e persino cambiare idea un anno più tardi. Anche i minori con più di 14 anni potranno transizionare, ma con il consenso dei genitori.
Proprio i minori transgender in alcuni Paesi europei, tra cui il nostro, rischiano di diventare le persone meno tutelate e aiutate. A spaventare è il recente incremento del numero delle transizioni di genere e delle richieste di assistenza da parte degli adolescenti, tanto più che recentemente sono soprattutto le ragazze a chiedere la riassegnazione al maschile. In Svezia il numero di ragazze tra i 13 e i 17 anni seguite per disforia di genere è cresciuto di oltre il 2.000 per cento tra il 2007, anno in cui il parlamento europeo ha istituito la Giornata internazionale contro la omotransfobia, e il 2017; in Gran Bretagna le richieste di transizione degli adolescenti sono passate da meno di 250 nel 2011 a oltre cinquemila agli inizi del Ventennio. E sebbene siano le ragazze a transizionare prima e in numero maggiore dei ragazzi, secondo le statistiche più recenti sono anche le più inclini a tornare indietro, con percentuali a due cifre contro solo un 3 percento di donne transgender che rimpiange la propria scelta. Così alcuni governi europei hanno cominciato a rivedere la propria politica sui bloccanti della pubertà, quegli ormoni che consentono ai giovani in età pre-puberale di bloccare il proprio sviluppo fisico prima di accedere agli ormoni che li traghetteranno nel genere in cui si identificano.
Secondo Claire Vandendriessche, autrice di uno studio apparso a dicembre sul mensile medico “European Child & Adolescent Psychiatry”, la spiegazione è semplice: «Più un Paese sopprime i diritti e più tardi gli uomini gay e le donne trans fanno il loro “coming out” rispetto alle donne lesbiche o agli uomini trans», con un impatto importante sulle statistiche giovanili di cambio di genere. I numeri si riallineano in età avanzata: «Trasgredire la mascolinità costa socialmente molto più caro che trasgredire la femminilità».
Le Terf britanniche e italiane fomentano l'odio contro le persone transgender
Non aiuta l’integrazione delle persone transgender una parte della comunità femminista, le Terf (femministe radicali transescludenti), minoritarie ma abili nella propaganda, capeggiate dall’inglese J.K. Rowling, l’ultramilionaria scrittrice della saga di Harry Potter che ha preso a scagliarsi sia contro le transizioni minorili sia contro le donne transgender, accusate di volere «usurpare» spazi femminili. La loro pressione è riuscita a ottenere un mese fa dalla Corte suprema britannica che le donne transgender fossero escluse dalle tutele antidiscriminatorie per le donne.
Ma il processo di integrazione attiva delle persone transgender nella società è solo all’inizio. La sentenza ha immediatamente suscitato reazioni uguali e contrarie. La cantante Kate Nash ad esempio ha lanciato il suo nuovo singolo GERM: «È la mia risposta alla recente decisione della Corte Suprema di stabilire che la definizione legale di donna si basa sul sesso biologico», spiega Nash che attacca le Terf: «Usare il femminismo per cancellare i diritti degli altri è intrinsecamente non femminista. Infangare l’ideologia più importante della mia vita negando l’esistenza delle donne trans è qualcosa che prendo sul personale».