Questa è la guerra. Come non si era mai vista prima. Una distruzione che ricorda Stalingrado nel 1943 ma avviene oggi. Con le immagini di un drone che entra nelle strade e riprende la crudezza della battaglia. Palazzi stritolati, edifici ridotti a scheletri. E in mezzo i soldati che corrono e sparano, le esplosioni delle cannonate, uomini rintanati nelle fosse, i carri armati che fanno fuoco e si spostano manovrando come in una danza macabra. Un documento incredibile.
Questa è la Siria. Quella da cui milioni di persone sono scappate e altre migliaia in queste ore si accalcano alla frontiera turca, disperate. Perché questo inferno è ciò che da cui stanno fuggendo. Un labirinto di morte che dall'alto appare svuotato di ogni vita. Ma dove nelle cantine tanti sopravvivono da mesi, aspettando una tregua per cercare acqua e cibo.
Stando alle didascalie, le macerie sono quel che resta del quartiere di Jobar, alle porte di Damasco. Un distretto abitato da una maggioranza sunnita: qui c'erano le prime piazze dove è nata la rivolta contro il regime, una primavera araba laica e borghese, che nel corso dei mesi si è radicalizzata fino ad assumere la matrice islamica. Perché nel disinteresse dell'Occidente, dalle organizzazioni jihadiste è arrivato l'unico sostegno armato alla resistenza: una dinamica comune a tanti conflitti del nuovo millennio, dalla Cecenia alla Libia. Qui un tempo vivevano 300 mila persone: ora c'è solo morte.
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Il video è stato girato dalla propaganda russa. È ha un valore indubbio: per la prima volta in assoluto permette a tutti di rendersi conto di quello che accade in Siria. Quello che da cinque anni non abbiamo voluto vedere, faticando a comprendere perché una moltitudine di persone siano pronte a rischiare la morte in mare pur di arrivare in Europa. Adesso basta andare su Youtube per entrare nell'incubo di un paese sistematicamente devastato.
Questo documento fa il paio con un altro filmato sconvolgente, in cui le abili mani della comunicazione moscovita hanno eliminato le scene di combattimento, che mostra la stessa distruzione ma la località è stata erroneamente indicata come Homs: un video è stato mandato in onda giovedì sera da Gazebo su Raitre e che sta diventando virale anche in Italia.
La propaganda di Putin ha lanciato un'offensiva mediatica sui social media per giustificare l'intervento dell'Armata Rossa. La qualità delle riprese e del montaggio tradisce l'opera di una regia esperta. Con uno slogan semplice: “Ecco il risultato del terrorismo islamico finanziato dagli Stati Uniti”. Tutti i video che vengono diffusi sono di grande effetto, fornendo il ritratto inedito della guerra moderna. Mentre le immagini americane si limitano a raid presentati in modo asettico, quasi sempre con il bianco e nero dei visori notturni, qui c'è una spettacolarizzazione compiaciuta della potenza militare.
Gli attacchi aerei dei Sukhoi vengono filmati da droni ed elicotteri, con i caccia che sfrecciano, le esplosioni e i loro effetti micidiali al suolo. Ci sono persino angoscianti prese dirette dei grappoli di bombe che scendono dal ventre dei Tupolev e lasciano una scia di detonazioni sul terreno. Hanno colori e inquadrature da film d'azione, spesso con una colonna sonora simile a quella dei videogiochi tipo Call of Duty, ma sono il volto agghiacciante del massacro siriano.
Quest'operazione mediatica però è un'arma a doppio taglio. Perché l'inferno che appare in questo video è opera del regime siriano e dei suoi alleati venuti da Mosca. I carri armati che sparano tra le vie, con proiettili mostrati mentre distruggono un palazzo con un colpo solo, sono russi. E gli edifici accartocciati, con i piani che sembrano tragici sandwich di cemento, sono frutto delle “barrell bombs” sganciate dai governativi: bidoni riempiti di tritolo e gettati dal cielo sulle case.
Quello che viene mostrato è appunto il quartiere di Jobar, la periferia orientale di Damasco e da sempre spina nel fianco del regime. Per riconquistarlo sono stati realizzati i crimini più brutali, come i due attacchi con il sarin, l'arma chimica che non dà scampo, dell'estate 2013. Nessuno conosce il numero esatto delle vittime del gas velenoso piovuto sulle strade a tarda sera, uccidendo soprattutto bambini. Nessuno conosce il numero esatto della strage che è andata avanti ogni giorno per tre anni. Ma adesso è quasi finita.
Con il sostegno degli aerei russi e dei mezzi corazzati forniti da Mosca, le truppe siriane stanno completando la conquista del distretto. La scorsa settimana hanno costruito un tunnel per arrivare sotto al comando della rivolta e l'hanno fatto saltare in aria. L'ultimo bollettino segnalava l'attacco a piazza del Parlamento e alla moschea di Al-Tayba, dove si è barricato l'ultimo nucleo di resistenza. I commandos di Bashar Assad per avanzare scavano trincee e cunicoli, come negli assedi medievali. E quando incontrano una postazione nemica, demoliscono l'intero palazzo. Fino a trasformare la città in un deserto spettrale.