Confische, arresti arbitrari, blitz per impedire il sonno. Donzelli pubblica le dure testimonianze dei militari di Israele di stanza in Cisgiordania. È l’occupazione raccontata senza filtro da chi, pur convinto del diritto di Israele a esistere e a difendersi, viene spinto a spaventare, scacciare, minacciare
Quelle che l’Espresso pubblica sono tre delle 145 testimonianze raccolte dalla Ong israeliana Breaking the Silence e tradotte in un libro, La nostra cruda logica, pubblicato ora da Donzelli (pp. 384, 30 euro). È l’altra faccia, quella sofferente del soldato che esegue ordini, del diritto di Israele a esistere e difendersi.
Le testimonianze dei soldati israeliani raccontano come, almeno tra il 2000 e il 2010, la difesa sia stata spesso un attacco, e come violenza e violazioni siano state all’ordine del giorno, con il concetto di prevenzione esteso a tutte le operazioni militari, anche le più offensive.
«Quello che ci prepariamo a leggere è sostanzialmente un libro di storia orale: "testimonianze", in tutti i sensi (giuridico, etico, storico), in forma di narrazione e di dialogo» scrive Alessandro Portelli nella prefazione: «un profondo esercizio di autoanalisi dei narratori che partono dall’interno della “cruda logica” e faticosamente cercano di districarsene». «I soldati», continua Portelli, «hanno paura, si sentono soli, sono confusi, non capiscono; sanno di essere circondati da ostilità; usano in senso anche molto estensivo il termine «terrorista» («nei Territori, ogni palestinese è un potenziale terrorista»)».
Consigliando la lettura un'avvertenza è però necessaria: «Le ragioni dei palestinesi dobbiamo cercarle altrove», precisa sempre Portelli, «l’argomento del libro non è la Palestina, ma Israele. Nessuno di questi soldati ha neanche l’ombra di un’incertezza sul diritto di Israele a esistere, a difendersi, a vivere con sicurezza. Ma cominciano a domandarsi se questo sia il modo migliore, più morale e a lungo termine più realistico di perseguire questi fini, se questo corrisponda ai principi che hanno fondato il paese al quale appartengono e che amano e servono».
Di solito, lo scopo del «Buon Purim» è impedire alla gente di dormire. Consiste nell’arrivare in un villaggio a notte inoltrata e andare in giro lanciando flashbang e facendo baccano. Non per tutta la notte, ma in certi momenti specifici. Non importa quanto dura, non ti danno un termine. Ti dicono: «Allora, visto che oggi a Husan vi hanno preso a sassate, andate lì e fate un “Buon Purim”». Non che avvenisse spesso.
È quello che si dice «dimostrare la presenza»?
Sono sicuro che hai già sentito l’espressione «Buon Purim». Se non è così, la sentirai. Sì, vuol dire dimostrare la presenza. A volte ci arrivavano istruzioni dal battaglione perché facessimo qualcosa del genere… Rientra nelle attività che avvengono prima…
Ma qual è la logica che sostiene operazioni del genere?
Se nel villaggio comincia un’operazione, allora si va lì a interrompere il sonno. Non ho mai verificato quanto effettivamente questo tipo di operazione impedisca alla gente di dormire, perché non è che stai lì dentro quattr’ore a sparare granate ogni dieci minuti – se lo facessimo tre volte la IDF finirebbe le granate. Sono operazioni che si fanno in momenti specifici, e se uno lancia un’unica granata in un punto X di Nahalin, probabilmente non farà molto rumore a cento o duecento metri da lì. In generale, può darsi che il fatto crei l’impressione che la IDF sia presente nel villaggio durante la notte, senza bisogno di fare molto altro. Ma non credo che si tratti di niente di più.
E insomma, avevamo requisito questa casa, a Hebron… avevamo preso questa casa. La procedura la conosci: la famiglia si sposta al piano inferiore. Ora, noi che facciamo? Eravamo… al terzo piano, i ragazzi misero un tubo, un tubo per pisciare, così potevano farla fuori. Sistemarono il tubo, lo posizionammo proprio in modo che la pipì potesse defluire giù nel cortile della casa. C’erano alcune stie per le galline, si riversava tutta lì. Questo era lo scherzo che facevano ogni giorno; aspettavano che il padre o uno dei bambini andasse alla stia, e a quel punto tutti si alzavano e andavano a pisciare. Oppure, ricordo un mio amico al quale piaceva lavarsi i denti e la bocca con la borraccia, e aspettava che qualcuno passasse giù di sotto per sputargli addosso, sputava fuori.
Rientra…
Rientra nelle cose che puoi fare, sì, è una cosa che puoi fare. Nessuno t’impedisce di farlo, neppure il comandante di campo, perché nella maggior parte dei casi sono cose ammesse, non l’eccezione. È semplicemente qualcosa che sei in grado di fare. Lo puoi fare, quindi decidi se vuoi farlo oppure no. Non ci sono giudici né giudizi. Nessuno ti giudicherà per questo.
Ci sono un sacco di episodi. Le stronzate di ogni tipo che facevamo. Picchiavamo di continuo gli arabi, niente di speciale. Giusto per passare il tempo.
Ti ricordi qualche incidente durante il quale avete aperto il fuoco sui palestinesi?
Sai quante volte è successo, quando c’erano disordini e noi aprivamo il fuoco?
Con munizioni vere?
Quando c’era bisogno sì, quando dovevi, quando ce n’erano abbastanza che ci venivano contro – allora sì, ai ginocchi, all’altezza dei ginocchi.
Avevi detto che pensavate di continuo a come surriscaldare l’atmosfera.
Naturalmente.
Cosa significa?
Beh, volevamo tenerci svegli, quindi cercavamo un modo per innervosire un po’ gli arabi, così gli sparavamo un sacco di pallottole di gomma, per tenerci impegnati, così il tempo a Hebron sarebbe passato un po’ più in fretta.
Chi è che diceva come fare?
Pensi che non ci fosse abbastanza gente? Soldati, ufficiali.
E ne parlavate col comandante della compagnia?
Il comandante della compagnia? Ma stai scherzando? No di certo, te l’ho detto, la cosa non usciva dal plotone. Il plotone è come un segreto di Stato, dicevamo così. Nessuno lo sapeva.
Quindi ne parlavate solo col comandante del plotone?
Vuoi scherzare? Neppure il comandante del plotone lo sapeva.
E allora chi è che lo sapeva?
Gli ufficiali e un sergente.
Dove ne parlavate?
Nella stanza. Hai presente la stanza dei superiori, e quella dei subalterni? Nella stanza dei superiori.
E ad esempio dicevate: «Quando andiamo di pattuglia oggi facciamo questo e quello»?
Sì.
Lo pianificavate prima?
Naturalmente.
E cosa facevate?
Stronzate di ogni tipo. Facevamo un sacco di roba, dicevamo: perché non facciamo un pattugliamento? Uno per picchiare gli arabi. Bambini, arabi, stronzate di tutti i tipi.
Chi è che dava avvio a questi pattugliamenti?
Qualsiasi persona. Il comandante della pattuglia non doveva sapere.
Quindi i sergenti e gli ufficiali della squadra?
Sì. Non avevano collegamento con altri.
Dicevano: «Ora usciamo per…»?
Lo sapevamo dove si stava andando, prima facevamo una riunione. Andavamo di pattuglia.
Arrivava il comandante della squadra e diceva: «Ora andiamo fuori di pattuglia»?
Sapevano che uscivamo di pattuglia. E poi, senti, non lo si faceva con qualsiasi comandante di squadra, lo sai con chi può farlo.
Una forza non esce di pattuglia di propria volontà.
Tutti lo sanno che c’è un pattugliamento. Siamo lì per questo, per pattugliare, per garantire la sicurezza. E questo facevamo, capisci.
E cosa dice il comandante della compagnia quando uscite?
Cosa dice? Lo sa anche lui quel che sta per succedere. Anche lui prende, sceglie le persone da portarsi dietro. Insomma, ti ho raccontato di ——, con lui non uscì mai, non c’era assolutamente modo che lo lasciasse uscire con lui.
Cosa accadeva?
Uscivamo di pattuglia, ecco un esempio, qualche ragazzino magari ci guardava in questo modo, e non ci piaceva il suo sguardo – e allora veniva immediatamente colpito.