Dalle prime indagini pare non ci fosse un legame operativo tra il killer e i vertici dell'Is in Siria: Omar Mateen sarebbe un lupo solitario. Ma questo non rassicura: significa che il Califfo, e soprattutto il suo portavoce Al-Adnani, forniscono una cornice ideologica per colpire in tutto l'Occidente. E creano "i terroristi della porta accanto"

C’è davvero lo Stato islamico dietro la strage di Orlando? Intorno a questo interrogativo si muovono investigatori e analisti, alla ricerca di indizi che possano confermare, smentire o precisare il legame tra Omar Mateen, il 29enne statunitense responsabile dell’attentato di domenica nel nightclub Pulse di Orlando, e il gruppo terroristico guidato da Abu Bakr al-Baghdadi.

Secondo molte ricostruzioni, prima di compiere l’attentato Omar Mateen avrebbe dichiarato fedeltà al movimento del Califfo, con una telefonata alla polizia. Gli elementi raccolti finora sembrano comunque indicare un legame soltanto indiretto: Omar Mateen sarebbe stato ispirato dalla propaganda dell’IS, ma non avrebbe ricevuto addestramento o istruzioni da parte dei membri del gruppo, tanto meno dalla leadership, in Siria e Iraq.
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La stessa formula generica con cui l’agenzia Amaq – parte integrante della macchina di propaganda dell’IS - ha “rivendicato” la strage sembra confermare questa ipotesi: nel comunicato diffuso da Amaq si fa riferimento infatti a una fonte esterna, che conferma in modo indiretto l'azione di Mateen. Diverso, invece, il tenore del secondo comunicato, reso pubblico poche ore fa da radio al-Bayan - tra gli organi ufficiali del gruppo -, nel quale Omar Mateen viene presentato come «uno dei soldati del Califfato»: «Il fratello Omar Mateen – così recita il comunicato - uno dei soldati del Califfato in America, ha condotto un raid con cui è stato capace di entrare in un incontro di crociati in un nightclub per omosessuali a Orlando, in Florida. Allah gli ha permesso di sottomettere gli impuri crociati, uccidendone e ferendone più di 100 prima che venisse ucciso. Che Allah lo protegga». Le parole usate da radio al-Bayan sembrano suggerire un legame anche operativo tra Omar Mateen e lo Stato islamico. Ma è ancora troppo poco per stabilire una relazione solida tra il responsabile della strage di Orlando e la casa-madre dell’IS a Raqqa, in Siria.
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La mancanza di elementi che provino un legame diretto può sembrare rassicurante, ma non lo è: mostra infatti la capacità dell’IS di ispirare azioni terroristiche individuali, di fornire un riferimento ideologico, una cornice di legittimazione, che può essere usata e richiamata, di volta in volta, dai singoli individui, i cosiddetti lupi solitari. Coloro che, non avendo modo di recarsi sui campi di battaglia, decidono di portare la battaglia nel cuore dell’Europa e degli Stati Uniti, nell’Occidente blasfemo, o cercano legittimità superiore per azioni criminali.
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Le loro azioni sono difficili da prevedere. Lo dimostra proprio il caso di Omar Mateen, finito sotto osservazione dell’Fbi nel 2013 e nel 2014, a causa di alcune affermazioni su possibili legami con terroristi e, poi, per presunti legami con Moner Mohammad Abusalha – in “arte” Abu Hurayra al-Amriki -, il primo cittadino americano ad aver compiuto un attentato kamikaze in Siria, nel maggio 2014, per conto della branca locale di al-Qaeda, il fronte al-Nusra. Prima di farsi esplodere in aria nel nord della Siria, Abusalha aveva ricevuto addestramento militare in Medio Oriente, ed era tornato per un periodo nella Treasure Coast, in Florida. Lì, secondo l’Fbi, potrebbe aver avuto contatti con l’autore dell’attentato di Orlando.
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Che sia stato soltanto ispirato dallo Stato islamico, come sembra, o che abbia ricevuto assistenza e aiuto concreto, Omar Mateeen ha comunque risposto alla chiamata alle armi di Abu Mohammad al-Adnani, e con la sua azione terroristica mostra l'evoluzione del concetto stesso di jihad. Al-Adnani è un personaggio centrale nell’apparato dell’IS, sin dalla metà del 2011: da quando l'organizzazione si è dotata di canali di comunicazione ufficiali, è il portavoce dello Stato islamico, la “voce” del gruppo, l'uomo che mobilita, invoca attentati, suggerisce la rotta da seguire. È stato tra i primi a giurare fedeltà ad al-Zarqawi, il jihadista giordano a capo di al-Qaeda in Iraq, il gruppo da cui sarebbe poi originato lo Stato islamico; oggi, come portavoce del Califfo e suo consigliere gode di una reputazione altissima nella galassia del jihadismo salafita transnazionale.
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Le sue parole vengono ascoltate, riprese e citate dai jidadisti di tutto il mondo. Tanto che per alcuni analisti la crescita degli attentati contro l'Occidente – da Bruxelles a Parigi, passando per San Bernardino, negli Stati Uniti - si dovrebbe proprio a lui. Più in particolare, a un suo discorso. Risale al 22 settembre 2014 e recita così: «Potete uccidere un miscredente americano o europeo – specialmente il perfido e schifoso francese – o un australiano, o un canadese, o qualunque altro miscredente che sia tra i Paesi che hanno dichiarato guerra, inclusi i cittadini dei Paesi che sono entrati in una coalizione contro lo Stato islamico, potete ucciderlo, affidandovi ad Allah, e ucciderlo in qualunque modo. Non chiedete consigli e non cercate il giudizio di nessuno. Uccidete il miscredente che sia civile o militare, perché loro si comportano allo stesso modo».
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É l’invito ufficiale con cui lo Stato islamico, sotto pressione militare nei territori occupati in Siria e Iraq, chiama alle armi simpatizzanti, aspiranti jihadisti. Un invito che al-Adnani ha ribadito lo scorso maggio, in una dichiarazione audio con cui ha sollecitato i simpatizzanti del gruppo a prendere l’iniziativa e a prepararsi per nuovi attacchi da condurre durante il Ramadan, iniziato alcuni giorni fa: «Allah permettendo, rendiamo il Ramadan un mese di calamità per i miscredenti…», così ha sostenuto Al-Adnani rivolgendosi «specialmente ai combattenti e ai sostenitori del Califfato in Europa e in America». Abbiamo «sentito che alcuni di voi in Occidente non sono in grado di fare il proprio lavoro», perché non riescono a raggiungere il fronte di battaglia, ha proseguito il portavoce del Califfo, «ma sappiate che nella terra dei Crociati il sangue non ha protezione e non c’è nessuno che possa definirsi innocente».
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Nell'invitare simpatizzanti e aspiranti jihadisti a colpire nel cuore dell'Occidente, senza aspettare autorizzazioni dai leader jihadisti, lo Stato islamico non propone niente di nuovo. Si tratta, al contrario, della riproposizione di una vecchia teoria, elaborata negli anni Novanta dall'ideologo siriano Abu Musab al-Suri. Nato ad Aleppo nel 1958, una formazione da ingegnere, al-Suri finisce a Peshawar, in Pakistan, dove conosce bin Laden e al-Zawahiri, attuale numero uno di al-Qaeda, poi riparte per Londra e la Spagna, dove contribuisce a mettere in piedi i primi network qaedisti in Europa, riattivati oggi dagli uomini del Califfo. Rispetto ad altri ideologi e strateghi, Abu Musab al-Suri si distingue per l’idea di un jihad decentralizzato, non-gerarchico, senza leader. Lo fa in un pamphlet infuocato di 1600 pagine, The Call for Global Islamic Resistance, in cui auspica una rivolta popolare, auto-organizzata, senza leader né strutture, condotta da cellule unite in modo lasco. Nessuna autorità superiore. Nessun bisogno di chiedere permesso. L'importante è l'idea e l'azione, il jihad, non l'organizzazione. «Nizam la tanzim», «il sistema, non l’organizzazione», ripeteva Al-Suri.
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Negli anni Novanta sembrava peregrina, ma quell’idea avrebbe poi favorito il progressivo abbandono del jihad organizzato e centralizzato in favore di una concezione individualistica, fondata sull'attivismo militare, più che sulla legittimità teologica. É un'idea che avrebbe coltivato a lungo Anwar al-Awlaki, il reclutatore di al-Qaeda nella penisola arabica, l’ideatore di Inspire, la storica rivista patinata del gruppo dello sceicco saudita. Il primo numero, uscito nel luglio 2010, fornisce indicazioni per condurre attacchi negli Stati Uniti.

Tra gli articoli più gettonati, quello sul «costruire una bomba nella cucina di tua madre» e la rubrica “Open Source Jihad”, che dà una serie di istruzioni pratiche per i jihadisti. Inspire si rivolgeva e si rivolge a un pubblico giovane: i ragazzini della classe media occidentale, gli individui già radicalizzati ma privi di know-how. «Cari musulmani americani», recita una lettera di “Jonas il ribelle” sul secondo numero della rivista, «è vostro compito risvegliare la popolazione americana dal suo lungo sonno. Servitele da bere nelle stesse tazze da cui abbiamo bevuto noi, le tazze della guerra e delle battaglie, delle esplosioni e degli assassinii, dei morti e dei feriti».

Il terrorismo è presentato come una forma di protesta politica. Ai giovani lettori viene proposto uno strumento di affermazione insieme individuale e collettiva, la possibilità di dimostrare quanto valgano. «Sei letale! Sei devastante! Sei il cavaliere che colpisce al cuore il nemico. Tu, e soltanto tu, il terrorista della porta accanto».

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Il terrorista della porta accanto. Come Omar Mateen, nato a New York, cittadino americano. Per adempiere ai propri doveri, viene spiegato nel primo numero di Inspire, non c'è bisogno di partire per il Medio Oriente. Il nemico va colpito dove si sente più sicuro: in Occidente. Ancora meglio negli Stati Uniti. Il terrorismo fai-da-te. Era il sogno di uno dei maggiori reclutatori di al-Qaeda. Oggi è l'invito che il portavoce del Califfo indirizza a tutti i simpatizzanti dello Stato islamico, che non a caso sui social network hanno celebrato la strage di Orlando con la formula #sul vostro uscio di casa.

Se fosse confermato il legame, anche solo ideale, con il Califfato, la strage di Omar Mateen mostrerebbe che si sta avverando la distopia del maggior ideologo jihadista, Abu Musab al-Suri: più che la singola organizzazione – ieri al-Qaeda, oggi lo Stato islamico -, conta l'idea, il sistema. Il jihad, fonte di ispirazione per i terroristi della porta accanto.