Il 19 giugno saranno quattro anni che il fondatore di WikiLeaks è confinato nell'ambasciata dell'Ecuador. E dopo le elezioni Usa ed Ecuador, la sua vita potrebbe diventare ancora più complicata. Ecco perché
Quattro anni chiuso in un'ambasciata senza mai poter uscire a prendere una boccata d'aria fresca o un raggio di sole. Il 19 giugno sono
quattro anni che Julian Assange è rintanato nella sede diplomatica dell'Ecuador a Londra, dove si è rifugiato il 19 giugno 2012. Lo stato di detenzione va avanti dal dicembre del 2010 e, sei anni dopo, nessuno ha idea di come finirà questa incredibile storia.
Sì, perché mentre l'
inchiesta svedese contro Julian Assange non ha fatto alcun progresso, tanto da essere rimasta alla fase preliminare, tra meno di un anno alla paralisi giudiziaria e all'impasse diplomatico tra Ecuador, Svezia e Inghilterra, potrebbe aggiungersi anche un colpo di scena politico.
Nel 2017, infatti, in Ecuador si terranno le elezioni politiche e se gli equilibri attuali dovessero cambiare - come stanno cambiando in più di un paese dell'America Latina, dall'Argentina al Brasile- non è chiaro che ne sarà dell'asilo concesso a Julian Assange: verrà confermato o revocato?
L'unica certezza è che in questi quattro anni, l'Ecuador di Rafael Correa ha retto a ogni pressione, proteggendo non solo il fondatore di WikiLeaks, ma anche dichiarandosi pronto a dare asilo politico a Edward Snowden, dopo che l'intera Europa gli ha negato qualsiasi protezione.
Che l'impasse giudiziario-politico sia di difficilissima soluzione è un dato di fatto. L'Espresso lo ha seguito passo dopo passo fin dal 2010 e in questi anni ha cercato di fare luce sul caso utilizzando strumenti come il Freedom of Information Act (Foia) per acquisire i documenti dell'accusa svedese e le corrispondenze diplomatiche tra il governo inglese e quello svedese.
L'unico grande scossone in questa paralisi è stata la decisione del
Comitato Onu sulle detenzioni arbitrarie (Unwgad), che nel febbraio scorso ha riconosciuto ufficialmente che il fondatore di WikiLeaks si trova in uno stato di detenzione arbitraria. «Il Comitato Onu aveva criticato la Svezia già in occasione dell'extraordinary rendition di un uomo sospettato di terrorismo, ma con la decisione su Julian Assange è la prima volta che la Svezia viene riconosciuta colpevole di violare l'articolo 9 della Dichiarazione universale dei diritti umani e l'articolo 9 della Convenzione sui diritti civili e politici contro le detenzioni arbitrarie», spiega al nostro giornale Mads Andenas, professore di legge all'università di Oslo, che subito dopo la sentenza Onu dichiarò di essere certo che il Comitato aveva operato in un clima di
forti pressioni politiche volte a impedire una sentenza a favore di Assange.
Per quanto dirompente, però, la decisione delle Nazioni Unite sembra rimanere lettera morta: tanto la Svezia quanto l'Inghilterra la stanno completamente ignorando e due settimane fa, la corte di Stoccolma ha rigettato la richiesta della difesa di Julian Assange di revocare il mandato di arresto dopo il pronunciamento dell'Onu. Ma per quanto la Svezia potrà continuare a far finta di nulla?
Il legale svedese del fondatore di WikiLeaks,
Per Samuelsson, è convinto che il suo paese non potrà continuare a ignorarla per sempre: «Nel nostro ricorso abbiamo sostenuto che le corti svedesi sono obbligate a interpretare le nostre leggi sulla base delle decisioni del Comitato Onu. La corte ha respinto il nostro ricorso, ma noi faremo appello: siamo convinti di avere forti argomenti e sentenze della Suprema Corte che supportano le nostre deduzioni».
Di sicuro per Stoccolma il caso è diventato problematico a livello di immagine internazionale: ignorare una decisione dell'Onu che fa finire una nazione del Nord Europa celebrata per la sua cultura dei diritti in una lista con regimi che imprigionano arbitrariamente giornalisti e politici, non è una scelta facile.
Il professor Mads Andenas si dice convinto che, essendo la Svezia tenuta a rispettare le leggi internazionali, alla fine «le autorità svedesi cercheranno di fare tutto quello che possono per attenersi ad esse senza perdere completamente la faccia. E comunque, dal punto di vista delle leggi svedesi, la scelta di mantenere il mandato di arresto europeo è debole e ogni giorno lo diventa di più».
Per cercare di innescare un dibattito internazionale sul caso, a partire da domenica 19 giugno Julian Assange terrà una serie di
dibattiti in collegamento dall'ambasciata ecuadoriana di Londra con intellettuali, giornalisti, artisti, politici. Da Berlino a Quito, in Ecuador, e da Buenos Aires a Bruxelles. La lista degli interlocutori eccellenti di Julian Assange andrà da
Noam Chomsky a
Yanis Varoufakis,
Ken Loach,
Slavoj Zizek,
Srecko Horvat.
In Italia, Julian Assange si collegherà con
Napoli su iniziativa di
Franco Berardi (Bifo), che a “l'Espresso” racconta di aver voluto Napoli per la manifestazione in quanto «è la città più viva in Italia in questo periodo».
Sul caso Assange, Berardi non nasconde la propria indignazione per lo stato di detenzione del fondatore di WikiLeaks e vede la campagna elettorale americana come un momento cruciale «per aprire la questione con il prossimo presidente». Ma se alla Casa Bianca arriverà Hillary Clinton, che da Segretario di Stato andò su tutte le furie per la pubblicazione dei cablo della diplomazia Usa, e se in Ecuador le elezioni dovessero stravolgere l'attuale assetto politico, la situazione di Julian Assange potrebbe diventare, se possibile, ancora più difficile.