Il nuovo studio di Save the Children presentato a Roma punta il dito su una realtà speso ignorata. Troppi bimbi non hanno accesso al cibo, mentre l'impegno globale sul tema non si traduce in azioni concrete
A volte compiono un anno e pesano come neonati. Messi al mondo da mamme malnutrite, sono già fragili al primo respiro. Con massimo un pasto al giorno e senza la varietà di una dieta bilanciata crescono poco, crescono male, lo sviluppo dei loro corpi è lento e innaturale. E gli effetti sulle condizioni di salute in età adulta sono potenzialmente devastanti. La
malnutrizione cronica colpisce ogni anno
159 milioni di bambini nel mondo. Nel 2030, senza inversioni di rotta a livello globale, continuerà a colpirne 129 milioni. Ogni anno ne fa morire 3 milioni e centomila.
E' quanto emerge dal nuovo
rapporto di Save the Children,
"Porzioni ingiuste. Porre fine alla malnutrizione dei bambini più vulnerabili", illustrato a Roma alla presenza di alti rappresentanti delle Nazioni Unite e dei governi di Italia, Gran Bretagna, Olanda. Un dossier che in cento pagine racconta la
fame che ancora uccide, fotografando progressi timidi, ben sotto la soglia di obiettivi e aspettative. Povertà estrema, esclusione, discriminazione etnica e pregiudizi di genere, fenomeni climatici distruttivi, conflitti e violenze che costringono a una fuga perenne. Le stesse cause di sempre continuano a privare ogni giorno migliaia di bambini del diritto al cibo, a vent'anni di distanza dal primo storico Vertice mondiale sulla sicurezza alimentare convocato dalla Fao.
Di fame si muore ancora, in quel
baratro che separa nord e sud del mondo. Su 115 paesi campionati nel rapporto, solo nove hanno tassi di arresto della crescita infantile sotto il 3 per cento. E quasi tutti sono ad alto reddito: Australia, Cile, Repubblica Ceca, Germania, Repubblica di Corea, Santa Lucia, Singapore, Ucraina e Stati Uniti. La soglia minima fissata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità è del 5 per cento. In 44 Stati si va oltre il 30.
In Burundi, Eritrea e Timor Est oltre la metà dei bambini soffre la fame e cresce a stento. In India 48,2 milioni di bambini sotto i cinque anni su un totale di 124,4 sopravvive in condizioni di malnutrizione grave. Numeri simili in Nigeria, Pakistan, Etiopia, Congo, Bangladesh, Sudan, Gibuti, Sri Lanka.
Fame e povertà vanno ancora a braccetto. Dati alla mano, su un campione di 56 Paesi analizzati, i bimbi più poveri (l'80 per cento nelle regioni dell'Africa sub sahariana e nell'Asia sud orientale) hanno un fattore 2,26 di probabilità di essere malnutriti, contro l'1,89 dei coetanei "ricchi". Le opportunità di sostentamento per il nucleo familiare, superfluo dirlo, sono alla base dei livelli nutrizionali. E le persone che vivono con meno di un dollaro al giorno senza l'appoggio di una rete welfare adeguata sono ancora 702 milioni, il 9,6 per cento della popolazione del pianeta secondo gli ultimi dati della Banca Mondiale. Alla difficoltà di accesso al cibo si sommano troppo spesso i pessimi servizi igienico sanitari e l'acqua contaminata, prime cause di infezioni intestinali letali per un corpicino pelle e ossa.
La diarrea può uccidere, e può farlo 10 volte di più se un bimbo è malnutrito.
Diseguaglianze planetarie ma non solo. Nei singoli Stati permane un
forte gap tra regioni agricole e centri urbani. In Kenya, a livello nazionale, la percentuale di bambini che soffre di malnutrizione acuta con basse probabilità di sopravvivenza si attesta al 4 per cento. Ma nella contea del Wajir, area nord est del Paese, sale al 17,8. Qui le prime infrastrutture sono a 50 chilometri di distanza e il rapporto medico-paziente è di 1 a 132mila. "Diamo ai bambini tutto quello che è disponibile" racconta una madre ai volontari. Latte e polenta. La siccità non offre alternative.
Nè la ricchezza media procapite, né i tassi di sofferenza da fame calcolati a livello nazionale sono dunque sufficienti a restituire un quadro esaustivo dei singoli casi. Basti pensare che il Perù ha un reddito nazionale lordo tre volte superiore a quello del Ghana, ma in percentuale lo sviluppo dei più piccoli è rallentato in egual misura, 19 e 18 per cento. Idem per Egitto, Camerun, Honduras, Guyana, Bangladesh, Myanmar, tra i dieci paesi con le
disuguaglianze regionali più elevate.
Credenze bizzarre, diffuse in villaggi e tribù dove l'accesso all'istruzione è una chimera, si sommano a un quadro già drammatico. In alcuni villaggi del Corno d'Africa è opinione diffusa che le donne non debbano mangiare alimenti ricchi di proteine e ferro negli ultimi mesi di gravidanza, pena una crescita "smisurata" del feto. Insieme alla
scarsa autonomia della figura femminile nelle gerarchie familiari, altro fattore che può ostacolare la dieta di un bambino.
In alcuni distretti del nord della Sierra Leone, le donne non possono decidere niente che riguardi l'approvvigionamento del cibo. I pasti più abbondanti e migliori sono un omaggio al marito. Occupano il
gradino più basso della piramide sociale anche le madri di Cambogia e nord della Nigeria. Qui uscire di casa è quasi un lusso, l'80 per cento delle morti infantili avviene tra le mure domestiche e i tassi di alfabetizzazione femminile rasentano il 10 per cento contro il 50 per cento maschile. E da mamme malnutrite nascono bimbi malnutriti, già sottopeso dal primo giorno di vita, specie se vengono al mondo da ragazze adolescenti, che portano avanti gravidanze precoci, talvolta figlie di violenze sessuali, in condizioni di salute precarie. In Honduras, nella regione di Intibucà, il 14 per cento dei bambini sono denutriti appena nati, il 20 per cento sono figli di giovani madri.
Di fame si muore ancora, per quanto il rapporto registri
progressi significativi dal 1990, quando la malnutrizione cronica riguardava 255 milioni di bambini, il 40 per cento sul pianeta. Il tasso è sceso ma non abbastanza. L'analisi fornita nel rapporto racconta di "progressi troppo lenti e con troppe diseguaglianze". Ai ritmi attuali di intervento, la riduzione dei casi di malnutrizione cronica del 40 per cento entro il 2025 e l’eliminazione del fenomeno entro il 2030,
obiettivi fissati dall'Assemblea mondiale della sanità, rimangono lontani. Parlano le proiezioni: solo 39 paesi su 114 campionati arriveranno al risultato nei tempi stabiliti, di questi solo sei sono a basso reddito. Per 53 paesi su 137 campionati, se ne riparlerà il prossimo secolo. Malawi e Niger taglieranno il traguardo nel 2152, il Burundi nel 2146, il Timor Est nel 2145, l'Eritrea nel 2135.
Quanto spende il pianeta per debellare la fame? Per anni la mancanza di fondi diretti destinati alla sicurezza alimentare e di coordinamento tra organismi dell'Onu, governi, società civile e donatori privati si è risolta in un flusso di finanziamenti internazionali inadeguato e poco mirato. Il trend è migliorato ma è sempre sotto soglia.
"La nutrizione è ancora sottofinanziata - si legge nel dossier - sia da parte dei governi che se ne occupano direttamente nel proprio Paese (la quasi totalità) sia da parte dei Paesi donatori". Oggi dei 29 maggiori donatori di fondi per progetti di assistenza ai Paesi in via di sviluppo, sei non spendono niente per misure direttamente legate alla nutrizione, sei spendono meno di un milione di dollari l'anno. E il divario tra budget necessario e budget disponibile è di 10 miliardi di dollari.
Da qui l'appello ai leader mondiali, perché all'imperativo morale assunto all'unanimità si aggiunga un quadro legale, normativo, finanziario da tradurre in
obiettivi nazionali e in applicazione di politiche concrete. Sarà materia di discussione del prossimo incontro tra i Capi di Stato, il G7 di Taormina nel 2017, quando il nostro Paese presiederà al tavolo dei big mondiali. "Auspichiamo che la futura presidenza italiana sia l’occasione per i leader globali di impegnarsi a sostenere un piano d’azione per la nutrizione concreto con la mobilizzazione delle risorse necessarie" ha dichiarato Daniela Fatarella, vicedirettore generale di Save the Children Italia.
Già, anche il nostro Paese dovrà fare la sua parte memore di quando, un anno fa, apriva i cancelli dell'Esposizione Universale dedicata al tema "Nutrire il pianeta, energia per la vita". E ancor più memore di quella
Carta di Milano sottoscritta per l'occasione da tutti i grandi della Terra. Un altro manifesto per sconfiggere la fame, definito dal premier Renzi "la più grande eredità di Expo", ora da tradurre in strategie d'azione.