Una Ong britannica ha realizzato il primo 'censimento' delle società che offrono tecnologie per intercettare telefoni e computer, sistemi biometrici, telecamere. In assoluta discrezione e talvolta facendo affari con governi che violano i diritti umani. Alcune sono italiane

Operano nell'ombra. Perché se è vero che tutti gli affari prosperano nella discrezione, è ancora più vero per questo tipo di affari spesso controversi. Ormai, la domanda esplode e il business è florido: in una società sempre più terrorizzata e che chiede sicurezza, a fare la parte del leone sono proprio le aziende della sorveglianza. Offrono tecnologie per intercettare telefoni e computer, sistemi biometrici di identificazione, telecamere di ogni tipo, soluzioni per sorvegliare i social network. Fanno affari con governi, forze dell'ordine e servizi segreti. Ed è vero che spesso hanno siti web accessibili a tutti, come ogni impresa che deve avere un minimo di visibilità per stare sul mercato, ma mantengono comunque un basso profilo.

Ora, però, a esporli è un database accessibile a tutti e ricercabile per parole chiave in cui sono mappate 528 società della sorveglianza, che operano in paesi che vanno dall'Italia agli Stati Uniti, dalla Francia all'Inghilterra. Ogni impresa viene “schedata” registrandone il nome, l'indirizzo, il tipo di tecnologie che offre e, quando disponibili, anche informazioni sulle esportazioni all'estero che ha effettuato. 

A crearlo è stata Privacy International, una Ong con sede a Londra, che da anni denuncia gravissime violazioni dei diritti umani perpetrate attraverso queste tecnologie, e l'organizzazione Transparency Toolkit, specializzata nell'uso del software libero per assemblare e analizzare dati. Entrambe hanno individuato e mappato le 528 aziende partecipando a eventi blindati come le fiere specialistiche per le imprese della sorveglianza e degli armamenti – tipo Iss World e Milipol – e utilizzando fonti aperte come gli articoli della stampa e le informazioni dalle camere di commercio. Poiché le fiere di settore si rivolgono soprattutto a chi fa intercettazioni delle comunicazioni, questa tipologia di aziende è la più rappresentata nel database, a scapito di chi vende videosorveglianza o sistemi biometrici e di informatica forense. 

SORVEGLIANZA TRICOLORE 

Diciotto sono i nomi delle aziende italiane che si trovano nel database, costruito in parte anche grazie alle rivelazioni di WikiLeaks sugli “Spy Files”, che nel 2011 misero per la prima volta questa industria, che tanto ama la discrezione, sotto i riflettori dell'opinione pubblica. 
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Per l'Italia si va da giganti come Finmeccanica a società arcinote come la Hacking Team e Area Spa, finite nei media internazionali per i loro affari con regimi tipo il Sudan (la Hacking) e la Siria (Area Spa), a società meno famose, come la Endoacustica di Santeramo in Colle, Bari, che commercializza di tutto: dai sistemi per vedere attraverso i muri alle tecnologie per le intercettazioni, ma anche telefoni che promettono di essere “stealth”, ovvero invisibili e capaci di sfuggire alle intercettazioni. 

“Innova” di Trieste offre sofisticati sistemi di sorveglianza e analisi dei dati a supporto delle forze dell'ordine e dell'intelligence, ma è molto meno generosa di Endoacustica nel presentare la propria mercanzia e spiegarne i meriti, Gr Sistemi di Milano non offre solo tecnologie per penetrare nei computer, ma anche soluzioni biometriche per il riconoscimento facciale di chi si presenta ai gate di controllo e di chi ha accesso a banche dati molto delicate, nonché tecnologie per il monitoraggio acustico degli ambienti esterni e interni, in modo da «riconoscere, classificare e localizzare suoni associati a situazioni di pericolo». 

Midland, con sede a Reggio Emilia, realizza dei sofisticati ricetrasmettitori ai popolari baracchini, ma anche sistemi per il tracciamento video e audio utilizzabili nelle operazioni di intelligence e controspionaggio. “Spei 2000” di Milano, tra le varie soluzioni per le intercettazioni, offre apparecchi sia digitali che analogici, capaci di sfruttare «tecnologie di modulazione criptata non convenzionali che riducono al minimo le possibilità di individuazione in caso di bonifica ambientale».

Le diciotto aziende italiane non esauriscono tutta la lista degli operatori del settore, ma costituiscono un punto di partenza per iniziare a monitorare imprese che è vero che permettono di intercettare e sorvegliare mafiosi, criminali e terroristi, ma sono anche all'origine di truci violazioni dei diritti umani di dissidenti politici, attivisti, giornalisti. 

VIOLAZIONI CHOC

Il lavoro di ricerca di Privacy International e Transparency Toolkit ricostruisce la lunga catena di abusi che ha caratterizzato questa industria a partire dal 1979, quanto l'Uganda era sotto il tallone del dittatore Idi Amin: nelle sue camere della tortura finirono sterminati centinaia di migliaia di cittadini, attivisti, oppositori politici, individuati e spiati attraverso la tecnologia per la sorveglianza venduta al regime ugandese dall'azienda inglese “Security Systems International Ltd”. 
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Ma senza tornare così indietro nel tempo, la pubblicazione delle email della Hacking Team da parte di WikiLeaks ha fatto emergere un quadro a dir poco preoccupante: protetta dai nostri servizi segreti e dai burocrati del Ministero dello Sviluppo economico, che, stando alla corrispondenza interna filtrata, si preoccupavano perfino di dare una mano all'azienda a depotenziare giornalisti e media scomodi, come il nostro giornale, Hacking Team ha potuto vendere le sue tecnologie per la sorveglianza a paesi che hanno standard a dir poco tetri in materia di diritti umani: dall'Etiopia al Bahrein, dall'Egitto al Sudan.

UN'INDUSTRIA GLOBALE

Gli Stati Uniti risultano essere il paese con il maggior numero di aziende presenti nel database: 122 sono le imprese americane della sorveglianza schedate, una cifra che dà una misura degli investimenti del Pentagono nel settore, considerando che la ricerca e lo sviluppo di questo tipo di tecnologie è spesso finanziata dal Dipartimento della Difesa americano, che poi ricorre in modo massiccio ai contractor privati.

Senza i supercomputer di aziende come la Narus, inizialmente di proprietà della Boeing e poi dell'azienda di cyber security Symantec, la National Security Agency (Nsa) non avrebbe potuto intercettare le comunicazioni del gigante della telefonia americana AT&T, e Narus è una delle aziende che ha permesso all'Egitto del regime di Mubarak di sorvegliare la popolazione nei giorni più truci della repressione.

Anche il Regno Unito è un paradiso per le aziende della sorveglianza, con 104 imprese schedate, che vendono le loro soluzioni in tutto il mondo, ma perlomeno il Regno Unito ha introdotto strumenti di minima trasparenza di cui in Italia non c'è traccia, neppure dopo scandali come quello della Hacking Team. Il governo inglese ha iniziato infatti a rendere note informazioni notoriamente delicate, come il numero di esportazioni effettuate e i paesi a cui sono vendute queste tecnologie: nel 2015, secondo quanto riporta Privacy International, l'Inghilterra avrebbe bloccato la vendita di soluzioni per le intercettazioni a paesi come l'Etiopia e il Pakistan per il rischio di gravi violazioni dei diritti umani.

Israele e Germania, infine, sono paesi fortemente presenti nel database, con 27 e 41 aziende rispettivamente, ma se si considera che Israele è un paese di appena 8 milioni di abitanti, la proporzione è piuttosto impressionante: risulta avere 0,33 aziende per la sorveglianza ogni 100mila abitanti, contro le 0.04 degli Stati Uniti. E purtroppo, come ha documentato Privacy International, anche Israele ha esportato queste tecnologie verso paesi caratterizzati da gravi violazioni dei diritti umani, come l'Uzbekistan o il Kazakistan.

Privacy International e Transparency Toolkit analizzano che di 528 aziende presenti nel database, il 75 percento si trova in paesi Nato e quattro dei cinque paesi in cui queste imprese hanno sede sono al top della classifica degli esportatori di armi, secondo le statistiche del Sipri, l'Istituto internazionale di ricerche sulla Pace di Stoccolma.

CONTROLLARE I CONTROLLORI

Edin Omanovic, ricercatore di Privacy International, nel presentare questo database spiega che «la sorveglianza operata dallo Stato è uno dei temi più importanti e che più polarizza l'opinione pubblica, eppure la segretezza che la circonda fa sì che il dibattito su questo tema non sia fondato su fatti solidi. Capire il ruolo dell'industria della sorveglianza, e come queste tecnologie sono commercializzate e usate nel mondo, è cruciale non solo per avere un dibattito informato, ma anche per far sì che questa industria renda conto a qualcuno e per creare sistemi di controllo e regolazione efficaci». 


M.C. McGrath di Transparency Toolkit, che ha realizzato il database, aggiunge che raccogliere dati e documenti in un unico archivio permette di «avere uno dei più completi quadri della tecnologia della sorveglianza venduta nel mondo». E conclude: «speriamo che semplificare la ricerca su questo tipo di industria, schermata dal segreto, aiuterà i giornalisti, gli attivisti, i ricercatori, i legislatori e chiunque sia preoccupato per la sorveglianza a rispondere in modo mirato a questo problema».