Il presidente Islam Karimov lascia un'eredità di sangue. La successione potrebbe portare a un maggior rispetto dei diritti umani in cambio di finanziamenti e tecnologia Usa. "Ma non sarà un cambio di regime", dicono gli analisti. Il pericolo dell'estremismo islamico

Islam Karimov
E' il Paese più popolato, più impoverito e - per la geopolitica - più strategico dell'Asia centrale. Da oltre 25 anni ha un solo uomo al potere, che ha battuto un record dopo l'altro nella violazione dei diritti umani, ricorrendo a stragi di Stato seconde solo a quella di Piazza Tienanmen, e riducendo letteralmente in schiavitù i suoi concittadini. Di queste cose dalle nostre parti si parla poco, anche perché mentre accadevano noi occidentali eravamo piuttosto amici di quel paese e di chi lo governava.

FINE DI UN DITTATORE

L'Uzbekistan ora sta per cambiare padrone. Il presidente Islam Karimov, 78 anni, è già morto - secondo il sito Ferghana News, che per primo ha dato la notizia del suo ricovero in ospedale, e cita fonti vicine al governo. Il dittatore è invece solo "grave", per le fonti sentite dalle agenzie di stampa governative russe Interfax e Ria Novosti.

"E' morto ma i medici non hanno il coraggio di dirglielo", scherza qualcuno su Twitter. E il sarcasmo non stona, dato che l'ufficializzazione del decesso con ogni probabilità non avrà niente a vedere con l'evento naturale. La si comunicherà solo quando le persone che circondano il capo saranno pronte sul da farsi e daranno il permesso.

Per ora le cose certe sono due. Karimov ha avuto "un'emorragia cerebrale", come ha scritto lunedì su Instagram la figlia minore Lola Karimova-Tillayeva, 38 anni, ambasciatrice uzbeka presso l'Unesco a Parigi. Il padre "è in rianimazione e non si può esser certi di quali potranno essere le sue condizioni in futuro", ha spiegato nel suo post.

L'altra cosa certa è che il giorno precedente il governo aveva reso noto, senza elaborare oltre, che Karimov era stato ricoverato in un ospedale di Tashkent, la capitale. Cosa inusitata: mai successo prima, che si dessero informazioni sulla salute del capo. Deve stare parecchio male, se si sente il bisogno di avvertire il Paese e il mondo che a Tashkent sta succedendo qualcosa. "Se la malattia presidenziale è stata resa pubblica, significa che ci si sta già accordando sulla successione", dice l'accademico Luca Anceschi, esperto di Asia centrale all'Università di Glasgow.

CONTINUITA' E DIRITTI UMANI

Le incertezze sulla successione del dittatore che - usando l'assassinio, la galera e l'esilio contro gli oppositori, servendosi del lavoro forzato in economia - governa l'Uzbekistan fin da quando faceva ancora parte dell'Urss, potrebbero risolversi rapidamente nella direzione di una stabilità politica, del mantenimento del controllo assoluto sui governati e del pugno di ferro contro l'estremismo islamico, ma anche di una maggiore attenzione ai diritti umani - per compiacere l'Occidente e ottenere gli investimenti e la tecnologia di cui il Paese ha disperatamente bisogno.

"I vertici politici hanno tutto l'interesse di evitare sconvolgimenti e garantire la conservazione", dice all'Espresso Alexei Malashenko, esperto dei paesi ex-sovietici a maggioranza musulmana e docente alla facoltà di relazioni internazionali (Mgimo) dell'università statale di Mosca. "Quello uzbeko resterà un regime di controllo totale, anche se è probabile un relativo ammorbidimento nel modo di trattare i cittadini, per evitare troppe critiche sul rispetto dei diritti dell'uomo da parte di Stati Uniti e Unione Europea - i soli soggetti internazionali che possano fornire all'Uzbekistan finanziamenti e tecnologie per una modernizzazione non più rinviabile", spiega l'analista.

Nonostante le molteplici accuse di violazione dei diritti umani, fino almeno al 2005 l'Uzbekistan ha avuto ottimi rapporti con l' Occidente: affiancò immediatamente George W. Bush nella Guerra al terrore, fornendo agli americani una preziosa base sul suo territorio dopo l'invasione del confinante Afghanistan. Dal 2005 Karimov diventò impresentabile anche per gli Usa, che presero le distanze. Nel maggio di quell'anno, ad Andijan, nella valle di Ferghana, cuore della cultura centro-asiatica, su ordine del dittatore militari e polizia massacrarono centinaia di dimostranti inermi vagamente ispirati da leader islamisti ma soprattutto disperati per una situazione economica da fame. 

Con i veri estremisti islamici, i metodi sono stati ancora più duri: bolliti vivi, secondo i rapporti di alcuni osservatori internazionali.

Il dito di Anti-Slavery International, la più antica delle organizzazioni per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, attualmente è puntato soprattutto su le deportazioni per la raccolta del cotone, di cui l'Uzbekistan è tra i maggiori esportatori al mondo: ogni anno, nella stagione della raccolta, oltre un milione di cittadini è costretto a lasciare tutto e andare a lavorare nei campi. E' vera e propria schiavitù.

Secondo Anti-Slavery la produzione di cotone vale un miliardo di dollari, ma il paese continua a impoverirsi: secondo dati della Banca Mondiale, nel 2012 il reddito pro-capite calcolato a parità d'acquisto - era di circa 300 dollari al mese. E' come dover vivere in Italia con 300 euro. Il baratto, infatti, resta una delle più comuni forme di scambio, per gli uzbeki.

IL NODO DELLA SUCCESSIONE

Che la fine sia arrivata o sia solo imminente, e anche se Karimov dovesse continuare a vivere restando menomato, gli interessi dei suoi complici al vertice della nazione saranno sempre garantiti dall'apparato di polizia che Karimov, da bravo ex burocrate del partito comunista sovietico, ha creato a immagine e somiglianza del Kgb.

"Islam Karimov ha costruito un sistema di potere molto stabile, fondato sulle forze speciali e i servizi", dice il direttore di Ferghana News Daniil Kislov, in esilio a Mosca come la sua testata, dichiarata fuorilegge in patria nel 2005. "Chiunque sia il numero uno nel Paese, il potere reale sarà nella mani dei servizi", spiega. "Vogliono la continuità: sarà un cambio di leadership, non un vero cambio di regime", sottolinea da Glasgow Luca Anceschi.

Ma allora sarà l'uomo più potente dell'Uzbekistan, il capo dei servizi segreti  Rustan Inoyatov, 72 anni, a succedere a Karimov? "Assolutamente no", risponde Alexei Malaschenko: "Inoyatov ha smentito più volte di ambire alla presidenza, vuole continuare ad avere il potere che ha e che vale più di quello del dittatore", aggiunge. Come anche la moglie di Karimov, Tatyana Karimova, il capo della polizia segreta avrà comunque un'influenza decisiva sulla nomina del nuovo presidente.

Il problema è che - per quanto si sappia - Karimov non ha mai designato un successore. La figlia maggiore Gulnara Karimova, 44 anni, pop star, stilista di moda e diplomatica (sceglietevi un autocrate per genitore e avrete una vita interessante), era papabile fino al 2012. Ma in quell'anno il coinvolgimento in inchieste dei magistrati svedesi e svizzeri che ipotizzavano il reato di corruzione per alcuni affari dell'ereditiera connessi al tentativo del gigante della telefonia Teliasonera di entrare nel mercato uzbeko, provocò una marginalizzazione della "prima figlia" - così la si chiamava a Tashkent - nonché il crollo del suo impero finanziario. I concorrenti alla successione presero al volo l'opportunità per farla fuori, secondo Anceschi.

Un candidato meno improbabile è il vice premier e ministro delle finanze Rustan Azimov, 56 anni, considerato vicino all'Occidente per aver trattato in prima persona, nei primi anni dopo l'indipendenza, con la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers). Forse però è un personaggio troppo sofisticato per impugnare il bastone del potere e usarlo con la dovuta violenza quando i suoi associati lo ritengano necessario. Potrebbe mancargli il loro benestare.

ESTREMISMO ISLAMICO E OCCIDENTE

Il successore di Karimov potrebbe quindi essere l'attuale premier, Shavkat Miriziyoev, 58 anni, al governo dal 2003, inflessibile e aggressivo contro le opposizioni (addirittura personalmente manesco in alcuni episodi raccontati da Radio Free Europe), quindi in grado di garantire continuità (la presupposizione di cinismo in questi casi è d'obbligo). E' il primo sospetto anche perché fino a prova contraria è dal suo ufficio che è partito il comunicato sull'ospedalizzazione del presidente.

Soprattutto, Miriziyoev è sempre stato molto abile nel trattare con i clan su cui si fonda la vita sociale in Uzbekistan, dopo le trasformazioni della struttura sovietica operate da Karimov, che ha rilanciato gli antichi costumi del Khanato di Chiva dell'Emirato di Bukhara e dei tempi d'oro di Samarkanda - rendendo di nuovo attuali i millenari concetti tribali di questa zona del mondo. Il premier ha spesso giocato un clan contro l'altro, ottenendo favori senza pregiudicare gli equilibri.

"Probabilmente ha dalla sua parte sia il clan di Jizzakh, la provincia dove è nato, sia quello della provincia confinante Samarkanda - a cui appartiene Karimov", scrive sul suo blog l'esperto di Asia centrale di Radio Free Europe Bruce Pannier - peraltro aggiungendo che ci sono dubbi sul fatto che il potere del clan di Samarkanda sia forte come un tempo.

Recentemente la costituzione uzbeka è stata emendata dando maggiori poteri al premier, e anche questo viene visto come un segnale a favore di Miriziyoev, se non una vera e propria investitura. Il fatto che sia considerato il più "russo" dei leader uzbeki non significa che Mosca avrebbe più influenza a Tashkent. "Se sarà lui il presidente, e mi pare la cosa più probabile", dice Malashenko, manterrà l'attuale equidistanza equidistanza con Russia. Usa e Cina, privilegiando semmai Washington, che è il partner economico più appetibile e potenzialmente più generoso".  

In un caso, però, la successione a Karimov diverrebbe tumultuosa e comporterebbe non solo instabilità ma anche una pericolosa escalation militare dell'estremismo islamico in Uzbekistan: il periodo di transizione dovrà esser gestito in modo da non scontentare del tutto quei clan che hanno già di che lamentarsi perché in buona parte esclusi dalla cerchia del potere. "Potrebbero usare il terrorismo islamico come mezzo per sconvolgere una situazione che li vede del tutto perdenti e creare il caos nel Paese", dice Alexei Malashenko.

Le incertezze sul futuro, quindi, restano e sono legittime. Quelle sul passato, no: l'eredità politica di Ismail Karimov gronda sangue e - anche se in Occidente molti non han voluto vedere e pochi ricordano - su questo non vi sono dubbi né incertezze.