Mondo
25 ottobre, 2017

L'unico antidoto contro il nazionalismo populista è una Ue più forte

Il leader dell'estrema destra austriaca Heinz-Christian Strache e il futuro premier Sebastian Kurz
Il leader dell'estrema destra austriaca Heinz-Christian Strache e il futuro premier Sebastian Kurz

Le elezioni di Vienna sono un caso di scuola: l’europeismo timido e ambiguo dei partiti tradizionali non smonta i populismi, ma anzi li fa vincere

Il leader dell'estrema destra austriaca Heinz-Christian Strache e il futuro premier Sebastian Kurz
L'Austria è un piccolo e ricco Paese, il primo in Europa in cui i nazionalisti-populisti andarono al governo già nel 2000. Allora la dura risposta europea e la crescita economica legata all’avvio dell’euro ridussero i loro consensi. Ora cavalcando la paura dei migranti hanno ottenuto il 26 per cento dei voti e potrebbero nuovamente entrare nel governo.

Una dinamica simile è osservabile in Francia. Nel 1992 a Maastricht i Paesi europei hanno avviato la creazione di una sovranità monetaria europea e rinunciato alla sovranità nazionale sul bilancio senza però crearne una europea. Fu la Francia a preferire i parametri a un governo federale dell’economia. Nessuno avvertì i francesi, che votarono chiunque fosse contrario al risanamento. Si passò così da un presidente e un premier socialisti (Mitterrand e Jospin), alla coabitazione tra Mitterrand e Chirac. Alle successive presidenziali il gaullista nazionalista Chirac batté Jospin - nonostante la presenza di un candidato gaullista europeista Balladour - e nominò Juppé come premier. Alle successive politiche anticipate Jospin vinse con una campagna contro il rigore, e subito presentò un bilancio per entrare nell’euro. Poi alle presidenziali nel 2002 Jean-Marie Le Pen arrivò al ballottaggio e Jospin no. L’euro portò bassi tassi di interesse, investimenti e occupazione ed erose il consenso del Fronte Nazionale. La crisi economica e dei migranti l’ha nuovamente rafforzato e portato al ballottaggio del 2017.

Il nazionalismo populista è figlio della crisi degli Stati nazionali, troppo piccoli per affrontare i grandi problemi in un mondo globale dove contano gli Stati di dimensioni continentali come Usa, Cina, India, Russia, Brasile. Ma il riferimento dei cittadini restano gli Stati nazionali, e l’impotenza viene quindi attribuita ai partiti di governo invece che alla dimensione dello Stato. Si sa che servono soluzioni europee, si reclama l’aiuto e la solidarietà dell’Unione, ma poi non la si dota delle competenze, dei poteri e delle risorse necessarie ad agire: il bilancio dell’Ue è lo 0,9 per cento del Pil, quello degli Stati membri circa il 50 per cento del Pil. Così una parte dei cittadini ha iniziato a considerare le classi politiche al governo e perfino l’Ue come parte del problema piuttosto che della soluzione, aprendo uno spazio a chi cavalca le paure e offre una risposta identitaria illusoria rispetto ai problemi da affrontare.

Il nazionalismo populista è alimentato dal moderatismo europeista. L’Austria mostra che le forze di governo che sperano basti l’ordinaria amministrazione per superare la crisi perdono il confronto o si riducono a inseguire e copiare i nazionalisti populisti, come i popolari austriaci. Il partito di Orbán in Ungheria è già membro del Partito popolare europeo (Ppe). Ciò ha inizialmente impedito una reazione europea alla sua deriva autoritaria, che c’è stata verso la Polonia, il cui partito di governo è fuori dal Ppe. Per stare al potere alcune forze tradizionali di destra contribuiscono all’erosione della democrazia liberale, che pure storicamente hanno contribuito a raggiungere.

Per battere il nazionalismo populista, Macron ha creato un nuovo partito radicalmente europeista che ha vinto presidenziali e politiche. L’alternativa tra nazionalismo e federalismo proposta da Altiero Spinelli domina oggi la politica europea. I nazionalisti si possono battere con una proposta europeista ambiziosa, non con la mera difesa dell’Ue attuale, che è utile, indispensabile, ma comunque insufficiente. Macron ha proposto una sovranità europea su economia, difesa e migranti, scommettendo la sua presidenza sulla riforma dell’Ue e per rispondere ai bisogni dei cittadini. Anche Renzi in alcuni momenti ha preso quella linea - la posizione italiana sulla riforma dell’Unione monetaria nel 2015, il vertice di Ventotene con Merkel e Hollande - ma in modo intermittente e contraddittorio. Per arginare il nazionalismo populista il Pd dovrebbe avere più coraggio e coerenza, rivendicare che Macron ha ripreso molte delle proposte italiane, e smettere di inseguire i nazionalisti. Con l’europeismo può unire il centrosinistra, spaccare il centrodestra, mostrare le contraddizioni grilline. A livello nazionale nel contesto del mercato globale sono possibili solo politiche liberali, cui anche la sinistra è costretta quando va al governo. La federazione europea è il campo in cui una sinistra di governo potrebbe realizzare politiche finalizzate a garantire crescita, solidarietà e sicurezza. Solo a livello europeo si può superare la crisi della sinistra e riconquistare gli elettori.

Macron ha rivolto la sua storica proposta di condivisione della sovranità a Germania, Italia e agli altri Stati disponibili. In Germania tra verdi, socialdemocratici, popolari e liberali c’è una larga maggioranza europeista. Per la sua storia la Germania non potrà dire di no. Negozierà sui modi, le forme, i tempi, le politiche da realizzare a livello europeo, ma sarà della partita. L’Italia è la più esposta su economia, difesa e migranti. Ha più da guadagnare dalla federazione, e sulle politiche ha interessi comuni con la Francia. Deve essere nella locomotiva che traina il convoglio e ne definisce la direzione, anche per far sì che si tenga conto dei suoi interessi e delle sue fragilità, permettendole di stare dentro e coglierne i benefici.

Alle elezioni l’Italia sceglierà la risposta a Macron: pro o contro, dentro o fuori l’avanguardia europea? Con un governo M5S o a trazione leghista sceglierebbe di stare fuori; anche perché nessuno in Europa condividerebbe la sovranità con loro. Macron cercherebbe di andare avanti, perché sulla riforma dell’Ue gioca la sua sopravvivenza politica. L’idea di un nucleo duro senza l’Italia tornerebbe rapidamente in auge. Se invece un’Italia nazionalista avesse la forza di bloccare il processo le conseguenze sarebbero ancora peggiori: nessuna speranza di risposte e solidarietà europee rispetto a investimenti, sicurezza e migranti; probabile sconfitta di Macron e svolta nazionalista in Francia; fine del processo di unificazione che ha garantito sviluppo e pace all’Europa.

L’abbiamo appena visto negli Usa. Dopo che Bush ha demolito l’ordine mondiale sul piano della sicurezza e accumulato gli squilibri alla base della crisi del 2008, Obama è stato chiamato a ricreare una governance mondiale cooperativa e multilaterale in grado di governare la globalizzazione e affrontare i problemi globali (premio Nobel per la pace per la speranza che ha creato!). Non c’è riuscito: per le difficoltà interne, per il contesto internazionale, per l’assenza di un’Europa federale in grado di agire unita sul piano della sicurezza e dell’economia e di aiutarlo nell’impresa. Così è arrivato Trump, che ha acuito tutti i problemi mondiali e aperto spazi all’azione cinese nel mondo.

Se le forze democratiche non hanno un progetto per il futuro - o se quando ce l’hanno non riescono a realizzarlo, magari per mancanza di alleati - il nazionalismo populista cresce, fino ad andare al governo. È successo negli Usa con Trump. Può accadere in Europa: Orbán, Kaczinsky e probabilmente il prossimo governo austriaco ce lo ricordano. È l’unità europea il progetto che può sconfiggere il nazionalismo populista e salvare la sinistra e la democrazia liberale.

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